Abstract sulle nuove linee guida 231 di confindustria (2021) per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo

Via libera per il risarcimento ai clienti di Poste Italiane Spa che hanno investito nelle quote del fondo Invest Real Security

Sospensione della provvisoria esecutorietà del provvedimento monitorio in ambito di fidejussione

Lo studio legale Wise, con l’Avv. Veronica Destro, ottiene la sospensione della provvisoria esecutorietà di un provvedimento monitorio ottenuto da primario istituto di credito per nullità della fidejussione omnibus sottoscritta dall’ingiunto.

In particolare in accoglimento, sebbene in via di delibazione sommaria, delle censure sollevate dall’attore opponente, il giudice patavino ha ritenuto l’opposizione plausibilmente fondata sulla scorta della nullità parziale della garanzia personale rilasciata dall’ingiunto per violazione della normativa antitrust, così come rilevato con il noto provvedimento di Banca d’Italia del 2005. Tale nullità parziale, travolgendo la clausola di deroga ai termini ex art. 1957 c.c., ha infatti determinato l’estinzione della fidejussione per decadenza dal potere di azione della banca la quale non si è attivata nei confronti del debitore principale nel termine semestrale prescritto dalla norma.

Moby Spa ammessa al concordato

Pubblicato il decreto di ammissione del tribunale di Milano (scaricalo qui).

Moby è stata ammessa al concordato in data 5.07.2021 con decreto del Tribunale di Milano; l’adunanza dei creditori è stata fissata il giorno 13 dicembre.

Lo studio legale Wise sta prestando  assistenza agli obbligazionisti del Gruppo Moby nell’ambito della procedura concordataria di Moby S.p.A. e della controllata C.I.N. S.p.A. (Compagnia Italia di Navigazione).

Responsabilità medica per errato trattamento di una frattura/lussazione del gomito riportata da un bambino di undici anni

Lo studio legale ha ottenuto il risarcimento dei danni (euro 25.000) subiti da un bambino di unici anni che, a seguito di una caduta in bicicletta, si procurava una frattura/lussazione al gomito destro, trattata con la riduzione incruenta anziché con la riduzione chirurgica mediante placca e filo di K.

A causa dell’errore professionale, il paziente riportava postumi invalidanti permanenti e non riacquistava la piena funzionalità dell’articolazione del gomito destro.

Il caso di malpractice

Il caso riguarda un bambino di undici anni, che, a seguito di una caduta in bicicletta, veniva portato al locale pronto soccorso, dove veniva diagnosticata la frattura e la lussazione del gomito destro, che veniva immobilizzato in doccia di posizione.  Il paziente veniva, quindi, trasferito presso un altro ospedale del territorio, dove veniva sottoposto in urgenza a riduzione incruenta e confezionamento di doccia gessata. Dopo la rimozione del gesso, poiché il bambino accusava rigidità del gomito, veniva sottoposto ad ulteriori esami presso un’altra struttura ospedaliera, dove, accertate le gravi limitazioni funzionali dell’articolazione del gomito destro, “guarito in viziosa posizione”, veniva consigliato l’intervento chirurgico di riallineamento con sintesi del capitello radiale. Veniva, quindi, eseguito un intervento di osteotomia correttiva del radio e sintesi con filo di K e placca-viti e a rieducazione funzionale.

Le conseguenze della negligenza dei sanitari

Il consulente medico legale di parte, all’esito del lungo periodo di cure ed interventi chirurgici, accertava una riduzione dell’iperestensione fisiologica dell’avambraccio, un deficit di 10° della flessione dell’avambraccio e prono-supinazione quasi abolita. Il professionista ravvisava un errore professionale in occasione del primo trattamento della frattura-lussazione del gomito destro: la lesione subita dal paziente richiedeva sin dall’inizio un intervento di riduzione chirurgica della frattura mediante placca e filo di K, non la riduzione incruenta. Tale tipo di intervento avrebbe evitato i successivi ricoveri per sintetizzazione chirurgica della frattura e per asportazione dell’ossificazione eterotopico-anchilosante e con buona probabilità avrebbe evitato anche discreta parte della rigidità articolare oggi presente, riducendo altresì gli esiti cicatriziali.

Il medico legale accertava, quindi, che le conseguenze derivate dalla condotta censurabile dell’ortopedico che eseguiva il primo intervento determinavano un danno biologico permanente del 10-12%, oltre al danno biologico temporaneo.

Le trattative e la risoluzione dell’episodio di malasanità

Istruito il caso, lo Studio formalizzava una richiesta risarcitoria in via stragiudiziale nei confronti dell’azienda sanitaria che per prima aveva avuto in cura il bambino, quantificando i danni di natura patrimoniale e non patrimoniale patiti dal paziente.

Le trattative duravano qualche mese e non portavano ad una soluzione della vertenza, poiché la   controparte si ostinava a negare la sussistenza della responsabilità.

Si decideva, pertanto, di procedere con il deposito di un ricorso ex art. 696 bis c.p.c., non essendovi ancora l’obbligo, imposto dalla successiva legge Gelli Bianco, di precedere ex art. 702 bis c.p.c.

Incardinato il giudizio nei confronti dell’azienda sanitaria, che chiamava in causa la compagnia di assicurazioni, veniva disposta una consulenza tecnica d’ufficio.

Il procedimento, agli esiti della CTU, che confermava la responsabilità del personale sanitario, si concludeva con una transazione con un risarcimento dei danni per malasanità pari ad euro 25.000, corrisposti dalla compagnia assicurativa.

La responsabilità ospedaliera per l’inserimento tardivo nella lista trapianti

Lo studio legale ha ottenuto il risarcimento dei danni (euro 60.000,00) subiti da una donna di 43 anni a cui era stata diagnosticata una leucemia degenerativa cronica. Il reparto ospedaliero di Oncologia ed Ematologia in cui era ricoverata le aveva garantito l’inserimento immediato nella lista trapianti di midollo auspicandosi altresì di trovare nel più breve tempo possibile un donatore con lei compatibile. Solo grazie ad un successivo consulto in una struttura privata, però, venne reso noto alla famiglia l’assoluta inesistenza del nominativo nella predetta lista. Lo studio legale si è pertanto occupato di ottenere un giusto risarcimento del danno per il marito e per la figlia della donna che, a causa di tale negligenza, hanno visto la propria cara perdere la vita.

Il caso

Nel novembre 2007 una giovane donna e madre veniva ricoverata presso l’ospedale di N. dove le veniva diagnosticata la Leucemia degenerativa cronica. Durante il ricovero le veniva imposto un immediato ciclo chemioterapico nonché, ove possibile, un trapianto allogenico di midollo. Dopo un mese, il Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Oncologica dell’ospedale di N. informò la paziente dell’inserimento della stessa nel registro MUD per trapianto allogenico di midollo.

Nell’agosto 2008 la donna si rivolgeva, per un secondo consulto, alla Fondazione I. dove venne informata che, diversamente da quello che le era stato prospettato, non era stata inserita in alcuna lista: fu quindi premura della Fondazione, nel mese di settembre, attivare la ricerca di cellule staminali compatibili con la paziente.

Tuttavia, a causa del male incurabile, la donna morì il 29.04.2009 all’età di 43 anni.

L’intervento dello studio Wise

Il marito, a seguito della triste vicenda, si rivolgeva allo studio legale affinché fossero soddisfatte le sue pretese risarcitorie (nonché quelle della figlia minorenne), per la negligente omissione dell’Azienda Ospedaliera colpevole di aver determinato otto mesi di ritardo nell’inserimento della paziente nella lista nazionale trapianti.

Veniva così richiesta una perizia medico legale, effettuata con l’ausilio di specialisti nel settore ematologo oncologico, dalla quale emergeva che solo un trapianto allogenico di midollo osseo avrebbe potuto aumentare le chance terapeutiche della paziente, sebbene il suo stato di salute fosse comunque compromesso.

Alla luce di quanto detto e del fatto che i tempi medi per reperire un donatore compatibile di midollo osseo oscillano statisticamente tra un minimo di 35 giorni fino ad un massimo di 6 anni, la cartella clinica della paziente venne attentamente vagliata e ne derivò che il ritardo con cui la paziente venne inserita nelle liste trapianti fu una mera concausa dell’evento morte e non ragione esclusiva, unica e determinante del decesso della paziente.

La definizione stragiudiziale della vertenza

 A seguito di una trattativa stragiudiziale serrata da parte dello studio legale, la compagnia assicuratrice del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia, pur disconoscendo qualsiasi tipo di responsabilità nell’operato della struttura ospedaliera, pro bono pacis presentò offerta transattiva per un importo complessivo pari ad euro 60.000,00, di cui 25.000,00 per la figlia minorenne della donna.

Responsabilità medica per ritardata diagnosi e ritardato approccio terapeutico dell’ernia discale

Lo studio legale ha ottenuto il risarcimento dei danni (euro 380.000) subiti da una donna di 36 anni, che, a causa della ritardata diagnosi di mielopatia acuta da compressione dorsale e del conseguente ritardo nell’esecuzione dell’intervento di asportazione dell’ernia discale, ha riportato postumi invalidanti, consistenti in paraplegia dell’arto inferiore sinistro e vescica neurologica.

Il caso di malpractice

Il caso riguarda una giovane donna di 36 anni, portatrice di ernie discali multiple strumentalmente rilevate anni prima, che alle 9,30 del mattino si rivolgeva al locale Pronto Soccorso, lamentando un forte dolore lombo-sacrale.

Ricoverata in astanteria, dopo una visita ortopedica effettuata a due ore circa dall’ingresso in Pronto Soccorso, veniva richiesta una risonanza magnetica, che i medici eseguivano solo nella tarda mattinata del giorno seguente. A seguito di una progressiva perdita di forza negli arti inferiori e di comparsa di vescica neurologica, la paziente veniva sottoposta ad una seconda RMN e quindi inviata d’urgenza al Pronto Soccorso di un altro Ospedale pubblico della Regione Veneto, dove, previ ulteriori accertamenti diagnostici, veniva sottoposta ad intervento chirurgico d’urgenza di asportazione dell’ernia.

A causa del ritardo nell’approfondimento diagnostico strumentale da parte dei medici della prima struttura ospedaliera (RMN eseguita a oltre 24 ore dall’accettazione) e, di conseguenza, nell’adeguato approccio terapeutico, all’esito dell’intervento di asportazione di ernia discale, eseguito con urgenza presso la seconda struttura, e di un lungo periodo di riabilitazione, la paziente riportava dei postumi permanenti invalidanti, consistenti in paraplegia all’arto inferiore sinistro e vescica neurologica, valutati dal consulente di parte dell’assistita in 60 punti percentuali.

L’azione legale: querela nei confronti dei sanitari e richiesta di risarcimento all’azienda ospedaliera

La danneggiata, con l’assistenza degli avvocati dello studio, proponeva denuncia-querela nei confronti del medico del Pronto Soccorso, dell’ortopedico e del medico di guardia che l’avevano avuta in cura.

Dopo il deposito della consulenza medico legale disposta dal P.M., detti medici venivano rinviati a giudizio per il reato di lesioni personali colpose gravi, con l’imputazione di aver omesso di sottoporre o far sottoporre con urgenza la paziente ad accertamenti mediante risonanza magnetica e/o di inviare la paziente presso altra struttura ospedaliera, di aver omesso con colpa, in particolare per imprudenza, imperizia e negligenza, di diagnosticare una mielopatia acuta da compressione dorsale, causando alla paziente un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni e una riduzione permanente della capacità di deambulare, in particolare a carico dell’arto inferiore sinistro.

La danneggiata, sempre con il patrocinio dei professionisti dello studio, visto l’esito della perizia medico legale depositata nel procedimento penale, inoltrava anche una richiesta stragiudiziale di risarcimento danni all’Azienda Ospedaliera cui appartenevano i medici rinviati a giudizio.

L’accertamento della fondatezza della pretesa risarcitoria

La relazione peritale redatta dal consulente medico legale incaricato dal P.M. nel procedimento penale a carico dei medici evidenziava, innanzitutto, che le ernie sintomatiche del disco intervertebrale toracico sono le più rare e tuttavia le più devastanti di tutte le lesioni discali e che la diagnosi viene fatta con l’esame anamnestico e con l’esame obiettivo e la conferma della diagnosi avviene mediante risonanza magnetica.

Il perito accertava che c’era stato un notevole ritardo nella diagnosi di mielopatia acuta da compressione dorsale, in quanto già al momento dell’accettazione al P.S. vi erano i sintomi e i segni indicativi di un danno neurologico e nella serata dello stesso giorno si manifestava in tutta evidenza l’ingravescenza dei sintomi, con ritenzione vescicale, segno evidente di compromissione neurologica, che rendeva necessaria l’applicazione di un catetere.

Il perito medico legale rilevava che, a fronte di un tale quadro clinico è pratica consolidata procedere con urgenza alla risonanza magnetica e all’intervento chirurgico, cosa che nel caso in esame non è avvenuto, poiché la risonanza fu eseguita soltanto nella tarda mattinata del giorno successivo all’ingresso al P.S..

Il perito medico legale accertava, in conclusione, che vi era stato un ritardo diagnostico e un conseguente ritardo terapeutico, che avevano cagionato alla paziente un aggravamento delle condizioni neurologiche e dell’esito finale, poiché un intervento chirurgico tempestivo avrebbe esitato probabilmente solo una minima compromissione della deambulazione.

La trattativa stragiudiziale e la definizione del sinistro

Sulla scorta dell’esito favorevole della perizia medico legale eseguita dal consulente del P.M., nonché della perizia di parte resa dal consulente della danneggiata, lo studio avviava una serrata trattativa stragiudiziale con la compagnia assicuratrice dell’Azienda Ospedaliera.

La trattativa portava in breve al graduale incremento della somma inizialmente offerta e si concludeva con una transazione ante causam e con la conseguente remissione della querela sporta nei confronti dei medici.

La transazione avveniva per un risarcimento di euro 380.000,00, tenuto conto del fatto che al tipo di intervento chirurgico in questione sarebbe conseguita comunque una minima compromissione della deambulazione, come rilevato dal consulente del P.M., nonché dal consulente della compagnia assicurativa, che quantificava l’invalidità permanente che sarebbe comunque residuata in almeno 25 punti percentuali.

Pertanto, la compagnia assicurativa si rendeva disponibile a riconoscere soltanto il risarcimento della percentuale di invalidità riconducibile causalmente alla condotta dei medici, al netto dell’invalidità che sarebbe con buona probabilità comunque residuata.

L’assistita valutava la convenienza della definizione transattiva della vertenza, anche alla luce delle puntuali informazioni rese dal proprio legale in merito alla congruità dell’offerta e ai tempi, ai rischi e agli oneri di un eventuale procedimento giudiziale.

Contestualmente al risarcimento del danno per lesione dell’integrità psico-fisica della paziente, veniva riconosciuto anche il risarcimento del danno morale/esistenziale subito dal marito e dal figlio di costei, liquidato in via equitativa in Euro 10.000 a favore del marito ed Euro 20.000 a favore del figlio.