COVID – 19 E AMBIENTI DI LAVORO

Come ormai noto, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi della pandemia da COVID-19, sull’intero territorio nazionale sono adottate e sono tuttora in essere (quantomeno sino al 13 aprile 2020) misure di sospensione di tutte le attività diverse da quelle elencate nell’allegato 1 DPCM 22.03.2020 (come modificato dal D. Ministero Sviluppo Economico 25.03.2020).

Tuttavia, anche alcune altre attività sono consentite: quelle funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1 – previa comunicazione al Prefetto territorialmente competente che ha il potere di sospendere l’attività in questione nella propria provincia – nonché i servizi di pubblica utilità, i servizi essenziali (farmacie, alimentari, edicole) e le attività di ristorazione con consegna a domicilio (cui è riservata una nota informativa a parte, nel nostro sito).

E’ sempre consentita l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici nonché di prodotti agricoli e alimentari. Resta altresì consentita ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza.

  • Come devono comportarsi e come devono organizzarsi i datori di lavoro che gestiscono attività consentite?

Considerata la eccezionalità della situazione, si raccomanda di attenersi esclusivamente alle disposizioni provenienti da fonti istituzionali.

Va premesso che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione, e che devono essere sospese le attività dei reparti aziendali ritenuti non indispensabili.

In particolare, si sottolinea che la responsabilità di tutela del rischio biologico è in capo al datore di lavoro, che si avvale della collaborazione del Medico competente, del Responsabile del Servizio di Protezione Prevenzione e del Rappresentante dei Lavoratori, ai fini della valutazione dei rischi ai sensi del D. Lgs.81/2008.

La Regione Veneto ha pubblicato (ultimo aggiornamento il 26.03.2020) le

Indicazioni operative per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari.

La Regione Veneto precisa che non è necessario aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) in relazione al rischio da COVID-19, ad eccezione del caso in cui il rischio biologico sia un rischio di natura professionale già presente nel contesto espositivo dell’azienda.

È utile tuttavia che l’azienda rediga, in collaborazione con i soggetti sopra indicati, un piano di intervento o una procedura per la gestione dei casi specifici, esemplificativamente analizzati e trattati nella stessa Circolare della Regione Veneto:

  • Lavoratore sottoposto alla misura della quarantena che non rispettando il divieto assoluto di allontanamento dalla propria abitazione o dimora si presenta al lavoro.
  • Lavoratore che riferisce di essere stato nei 14 giorni precedenti a contatto stretto con un caso di COVID-19 che si presenta al lavoro.
  • Lavoratore che, inizialmente asintomatico, durante l’attività lavorativa sviluppa febbre e sintomi respiratori (tosse e difficoltà respiratoria).
  • Lavoratore asintomatico durante l’attività lavorativa che successivamente sviluppa un quadro di COVID-19.
  • Lavoratore in procinto di recarsi all’estero in trasferta lavorativa.
  • Lavoratore in procinto di rientrare dall’estero da trasferta lavorativa.

Sempre nella Circolare della Regione Veneto, troviamo le seguenti

Indicazioni per il Datore di Lavoro (e suoi collaboratori)

  • Tutela della salute pubblica

La diffusione dell’infezione rappresenta una questione di salute pubblica: la gestione delle misure preventive e protettive deve necessariamente seguire i provvedimenti adottati dalle istituzioni competenti in conformità all’evoluzione dello scenario epidemiologico. In ragione di ciò il Datore di Lavoro deve collaborare facendo rispettare i provvedimenti delle istituzioni competenti; in tal senso, anche la semplice diffusione interna delle informazioni e delle raccomandazioni provenienti da soggetti istituzionali costituisce uno strumento utile al contrasto dell’epidemia.

  • Limitazione delle occasioni di contatto

Al fine di limitare i contatti tra le persone, riducendo le occasioni di aggregazione, si riportano alcune misure di precauzione ritenute appropriate, da adattare, qualora possibile anche dal punto di vista organizzativo ed economico, alle peculiarità della propria organizzazione (sono altresì possibili soluzioni alternative o integrative di pari efficacia o più incisive):

  • promuovere la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti di periodi di congedo, ferie e altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva e favorire il massimo utilizzo delle modalità del lavoro a distanza (cosiddetto “lavoro agile” o “smart working”);
  • adottare misure organizzative per favorire orari di ingresso/uscita scaglionati, al fine di limitare al massimo le occasioni di contatto nelle zone di ingresso/uscita;
  • limitare al massimo gli spostamenti all’interno dei siti produttivi;
  • limitare al massimo l’accesso ai visitatori;
  • individuare procedure di ingresso, transito e uscita di fornitori esterni, mediante modalità, percorsi e tempistiche predefinite, al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale aziendale;
  • evitare l’organizzazione e la partecipazione a incontri collettivi in situazioni di affollamento in ambienti chiusi (es. congressi, convegni), privilegiando soluzioni di comunicazione a distanza;
  • privilegiare, nello svolgimento di incontri o riunioni, le modalità di collegamento da remoto, o in alternativa dare disposizioni di rispettare il “criterio di distanza droplet” (almeno 1 metro di separazione);
  • regolamentare l’accesso a spazi comuni, spogliatoi, spazi destinati alla ristorazione (es. mense), allo svago o simili (es. aree relax, sala caffè, aree fumatori), limitando il numero di presenze contemporanee, il tempo di permanenza massima e dando in ogni caso disposizioni di rispettare il “criterio di distanza droplet” (almeno 1 metro di separazione);
  • laddove presente un servizio di trasporto organizzato dall’azienda, dare disposizioni di rispettare il “criterio di distanza droplet” (almeno 1 metro di separazione);
  • qualora, infine, non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di 1 metro come principale misura di contenimento, o non fossero possibili altre soluzioni organizzative, adottare strumenti di protezione individuale.
  • Norme di comportamento e corretta prassi igienica

Oltre alle misure organizzative sopra riportate, si ritiene necessario che il Datore di Lavoro, in collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione, con il Medico Competente e con i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, disponga misure rafforzative delle ordinarie norme di comportamento e corretta prassi igienica, sia a tutela dei lavoratori, sia degli utenti esterni (anche occasionali), da estendere anche ai possibili utenti esterni (visitatori, fornitori, trasportatori, lavoratori autonomi, imprese appaltatrici). Tali misure comprendono:

 informare tutti i lavoratori che in caso di febbre (>37.5 °C), tosse o difficoltà respiratoria non si presentino al lavoro;

  • evitare contatti stretti con soggetti che presentano sintomi respiratori senza adottare opportune precauzioni;
  • sensibilizzare al rispetto delle corrette indicazioni per l’igiene delle mani e delle secrezioni respiratorie, mettendo altresì a disposizione idonei mezzi detergenti per le mani;
  • disporre una adeguata pulizia dei locali e delle postazioni di lavoro più facilmente toccate da lavoratori e utenti esterni; a tal proposito, per gli utenti esterni (fornitori, trasportatori, altro personale), individuare servizi igienici dedicati e vietare l’utilizzo di quelli del personale aziendale.

Per la pulizia di ambienti non sanitari (es. postazioni di lavoro, uffici, mezzi di trasporto) dove abbiano eventualmente soggiornato casi di COVID-19, applicare le misure straordinarie di seguito riportate: a causa della possibile sopravvivenza del virus nell’ambiente per diverso tempo, i luoghi e le aree potenzialmente contaminati devono essere sottoposti a completa pulizia con acqua e detergenti comuni prima di essere nuovamente utilizzati. Per la decontaminazione, si raccomanda l’uso di ipoclorito di sodio 0.1% dopo pulizia. Per le superfici che possono essere danneggiate dall’ipoclorito di sodio, utilizzare etanolo al 70% dopo pulizia con un detergente neutro. Durante le operazioni di pulizia con prodotti chimici, assicurare la ventilazione degli ambienti. Tutte le operazioni di pulizia devono essere condotte da personale provvisto di DPI (filtrante respiratorio FFP2 o FFP3, protezione facciale, guanti monouso, camice monouso impermeabile a maniche lunghe) e seguire le misure indicate per la rimozione in sicurezza dei DPI. Dopo l’uso, i DPI monouso vanno smaltiti come materiale potenzialmente infetto.

Vanno pulite con particolare attenzione tutte le superfici toccate di frequente, quali superfici di muri, porte e finestre, superfici dei servizi igienici e sanitari. Per la pulizia di ambienti non frequentati da casi di COVID-19, è sufficiente procedere alle pulizie ordinarie degli ambienti con i comuni detergenti, avendo cura di pulire con particolare attenzione tutte le superfici toccate di frequente (es. muri, porte, finestre, superfici dei servizi igienici)

  • Sorveglianza sanitaria

Considerato che, per la durata delle misure di restrizione disposte dai provvedimenti citati in premessa, le attività non indispensabili devono essere sospese e che devono essere incentivate ferie, congedi e altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva, si ritiene che i lavoratori non effettivamente in servizio non debbano essere inviati alla visita medica periodica finalizzata all’espressione del giudizio di idoneità alla mansione, se in scadenza e/o scaduta. In ogni caso, per quanto riguarda l’attività di sorveglianza sanitaria, si rimanda alle indicazioni riportate nella sezione successiva “Indicazioni per il Medico Competente (e suoi collaboratori)”

Ricordiamo che il datore di lavoro, prima dell’accesso al luogo di lavoro, può sottoporre il personale al controllo della temperatura corporea. Può anche vietare l’accesso a chiunque risulti avere una temperatura superiore a 37,5° C.

In presenza di febbre (oltre 37.5° C) o altri sintomi influenzali, il lavoratore ha l’obbligo di restare nel proprio domicilio e avvisare il medico di famiglia e l’autorità sanitaria.

Il Garante per la protezione dei dati personali ha chiarito che i datori di lavoro devono astenersi dal raccogliere a priori e in modo sistematico e generalizzato informazioni su eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o che comunque rientrano nella sfera extralavorativa. Resta tuttavia fermo per i lavoratori l’obbligo di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.

  • Verifiche e manutenzioni periodiche

 Ai sensi del D.l. n. 18/2020 tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020 conservano la loro validità fino al 15 giugno 2020. Si ritiene che tale disposizione sia applicabile anche agli adempimenti e alle manutenzioni ordinarie degli impianti e dei presidi di sicurezza negli ambienti di lavoro previste dal D.Lgs. n. 81/2008

  • Risposte ad alcuni dubbi
  • Quale tipo di mascherine è necessario fornire ai lavoratori?

Salvo diverse future indicazioni, ad oggi le mascherine FFP2 o FFP3 sono previste solo per:

  • personale sanitario in contatto con un caso sospetto o confermato di COVID-19 (utilizzare sempre FFP3 per le procedure che generano aerosol);
  • personale addetto alle operazioni di pulizia di ambienti dove abbiano soggiornato casi confermati di COVID-19 prima di essere stati ospedalizzati.

Al di fuori di questi casi, non è previsto l’utilizzo di tali DPI, a meno che i rischi specifici legati all’attività svolta non lo prevedano già (necessità di protezione da polveri, fumo e aerosol solidi e liquidi tossici e dannosi per la salute).

La mascherina del tipo “chirurgico” non è strettamente obbligatoria ma fortemente consigliata, ma deve invece essere necessariamente utilizzata dai lavoratori che non possono lavorare sistematicamente a distanza superiore ad un metro.

Le mascherine chirurgiche devono essere utilizzate in conformità a quanto previsto dalle
indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità.

  • Cosa si intende per “stretto contatto”? 

E’ importante comprendere cosa si intenda per “stretto contatto”, tenendo presente che il collegamento epidemiologico può essere avvenuto entro un periodo di 14 giorni prima dell’insorgenza della malattia nel caso in esame.

Si riportano i criteri per stabilire il concetto di stretto ad alto rischio di esposizione (Fonte Circolare Ministero della Salute 27 febbraio 2020):

  • persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19;
  • persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (es. stretta di mano);
  • persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (es. toccare a mani nude fazzoletti di carta usati);
  • persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore di 15 minuti;
  • persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa, veicolo) con un caso di COVID-19 per almeno 15 minuti, a distanza minore di 2 metri;
  • persona che abbia viaggiato seduta in aereo nei due posti adiacenti, in qualsiasi direzione, di un caso di COVID-19, i compagni di viaggio o le persone addette all’assistenza e i membri dell’equipaggio addetti alla sezione dell’aereo dove il caso indice era seduto (qualora il caso indice abbia una sintomatologia grave o abbia effettuato spostamenti all’interno dell’aereo determinando una maggiore esposizione dei passeggeri, considerare come contatti stretti tutti i passeggeri seduti nella stessa sezione dell’aereo o in tutto l’aereo).
  • Infine, alcuni documenti particolarmente utili per orientare le imprese in questa situazione di emergenza.

Anzitutto:

COVID-19: Sintesi delle principali disposizioni e indicazioni fornite per i Datori di Lavoro

a cura del Servizio SPISAL Azienda AULSS 9 Scaligera

Facciamo presente che ancora in data 14.03.2020 le parti sociali hanno condiviso con il Governo un

Protocollo Condiviso di Regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro

In applicazione di tale Protocollo, sono stati elaborati Protocolli di Settore con indicazioni di dettaglio per alcuni settori produttivi; si veda

Scheda riassuntiva dei Protocolli condivisi con le parti sociali (Settore del Trasporto e della Logistica; Cantieri Edili; Regione Veneto: accordo per l’applicazione del Protocollo Condiviso sottoscritto a Roma il 14.03.2020;)

Anch’esso a cura del Servizio SPISAL Azienda AULSS 9 Scaligera

Particolarmente utile, poi, potrebbe risultare il fac-simile di

Protocollo aziendale di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro

predisposto da Confindustria, da utilizzare (una volta debitamente compilato, previa consultazione delle rappresentanze sindacali e/o del RLS) per adottare singoli Protocolli aziendali, da ritenersi quantomai opportuni.

La stessa Confindustria ha proposto inoltre un modello di

Informativa sul trattamento dei dati personali

relativa ai dati che possono venire trattati in occasione della emergenza COVID-19 (temperatura corporea, informazioni sugli spostamenti o contatti con persone a rischio ecc.).

CONTAGIO DA CORONAVIRUS E TUTELE INAIL

Sommario:  1. Premesse; 2. Garanzie e tutele offerte in generale dall’Inail; 3. Tre quesiti in concreto sulle tutele Inail in caso di coronavirus

  1. Premesse.

In epoca di pandemia da coronavirus Covid-19, ci si può chiedere se e quali siano le tutele offerte dall’Inail ai soggetti che abbiano contratto il virus a causa del loro lavoro (tipicamente, i lavoratori del comparto sanitario) o in occasione del loro lavoro (ad esempio, i lavoratori del comparto alimentare, si pensi ai cassieri dei supermercati, o dei trasporti, si pensi agli autisti degli autobus, cioè in genere i lavorativi dei settori che non hanno subito i provvedimenti interdittivi o restrittivi del Governo).

A questi interrogativi offre un’ampia risposta l’art. 42, secondo comma, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18 del (“Cura Italia”), ai sensi del quale: “Nei casi accertati di infezione da Coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019. La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati”.

  1. Garanzie e tutele offerte in generale dall’Inail.

In via generale, l’Inail eroga prestazioni economiche e socio-sanitarie ai lavoratori subordinati, parasubordinati e a certe condizioni autonomi, nonché ad altre specifiche categorie di soggetti equiparati (ad esempio gli studenti e le casalinghe, non invece i liberi professionisti), sia italiani che stranieri, sia regolari che “in nero”, che per causa violenta – concentrata  nel tempo ed esterna all’organismo del lavoratore – in occasione di lavoro abbiano subito un infortunio (art. 2 T.U. n. 1124/65) oppure che nell’esercizio – protratto nel tempo – e a causa delle lavorazioni esercitate abbiano contratto una malattia professionale (dell’art. 3 T.U.  n. 1124/65), e ciò in genere indipendentemente dal fatto che il datore di lavoro abbia pagato o meno i premi assicurativi (ossia i cosiddetti contributi) e indipendentemente anche da chi sia il responsabile dell’infortunio o della malattia e anzi anche qualora responsabile ne sia il lavoratore stesso (tranne il caso di rischio cosiddetto “elettivo”, che si ha quando l’infortunio o la malattia siano stati provocati da una condotta del lavoratore assolutamente arbitraria e sconsiderata, cioè del tutto estranea ed aliena al lavoro che gli era richiesto), fermo restando comunque il diritto del lavoratore vittima dell’infortuno o della malattia professionale al risarcimento del danno differenziale (ossia del danno o della parte di danno non indennizzato dall’Inail) da parte di chi ne sia responsabile civile per aver violato le norme di sicurezza sul lavoro.

Giova ricordare sinteticamente, per completezza, che le prestazioni economiche e socio-sanitarie erogate dall’Inail, ai sensi del T.U. n. 1124/65 e del d.lgs. n. 38/2000, al lavoratore vittima di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale sono le seguenti:

  • indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta (ossia quella che impedisce totalmente e di fatto di attendere al lavoro) , che viene corrisposta dal quarto giorno successivo alla data dell’evento fino alla cessazione del periodo di inabilità temporanea assoluta ed è rapportata in percentuale alla retribuzione media del lavoratore;
  • indennizzo in capitale per la lesione dell’integrità psicofisica (danno biologico), con postumi permanente compresi tra il 6% e il 15%;
  • indennizzo in rendita, di cui una quota per danno biologico ed una quota aggiuntiva per le conseguenze patrimoniali della menomazione,  per lesioni con postumi permanenti compresi tra il 16% e il 100%;
  • assegno funerario e rendita ai superstiti di lavoratori vittime di infortunio o malattia professionale;
  • prestazioni sanitarie gratuite (esenti da ticket) per cure mediche e chirurgiche, erogate a carico del Servizio sanitario nazionale, compresi gli accertamenti clinici, per terapie farmacologiche, per cure integrative e riabilitative, per protesi e per attività medico-legali;
  • interventi socio-sanitari di sostegno per il reinserimento nella vita di relazione (ad esempio, strumenti per il superamento di barriere architettoniche, installazione di dispositivi domotici, fornitura di comandi speciali e adattamenti di veicoli) e per il reinserimento lavorativo (ad esempio, corsi di formazione).
  1. Tre quesiti in concreto sulle tutele Inail in caso di contagio da coronavirus: a) Il contagio da Covid-19 è da considerare, ai sensi e per gli effetti della tutela Inail, un infortunio o una malattia professionale?; b) Come va provato che il contagio è stato causato o occasionato dal lavoro di chi ne è stato colpito e va quindi indennizzato dall’Inail?; c) Che cosa accade quando il lavoro sia stato una semplice concausa del contagio da coronavirus  e questo sia stato una semplice concausa del danno subito dal lavoratore?

Se questa è la disciplina generale, rapportandola al contagio da Covid-19 e alla disciplina per questo prevista dal citato art. 42 del d.l. “Cura Italia”, per sapere quali siano le tutele previdenziali garantite dall’Inail vanno dunque risolti i seguenti ulteriori interrogativi. 

a – Il contagio da Covid-19 è da considerare, ai sensi e per gli effetti della tutela Inail, un infortunio o una malattia professionale? 

La questione non è solo teorica e astratta ma al contrario è rilevante in concreto perché, come detto, la malattia professionale, per essere indennizzata dall’Inail deve essere stata direttamente causata dalle lavorazioni esercitate (art. 3 T.U. n. 1124/65), mentre perché sia indennizzato l’infortunio basta che questo sia accaduto per causa violenta in occasione di lavoro (art. 2 T.U. n. 1124/65). 

Ebbene, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è consolidata da tempo (tra le tante, v. Cass., 3.11.1982, n. 5764; Cass., 19.7.1991, n. 8058; Cass., 13.3.1992, n. 3090; Cass., 27.6.1998, n. 6390; Cass., 1.6.2000, n. 7306; Cass., 28.10.2004, n. 20941) nel ritenere che l’infezione di virus o batteri che alteri la salute del lavoratore costituisca “causa violenta” ai sensi della normativa Inail, per cui l’evento va considerato quale infortunio sul lavoro (si parla anche, al proposito, di “malattia-infortunio”); nello stesso senso, peraltro, si sono pronunciate anche svariate Circolari dell’Inail degli anni Novanta in tema di epatite virale e di AIDS, nonché da ultimo l’Istruzione operativa Inail del 17 marzo 2020  in tema appunto di contagi da Covid-19, la quale ha ulteriormente confermato che la malattia da Coronavirus, contratta nell’ambiente di lavoro o a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa, è tutelata a tutti gli effetti come infortunio sul lavoro.

Di conseguenza, tanto il contagio che ha colpito il personale sanitario, quanto quello che ha colpito i lavoratori di altri comparti, vanno qualificati e trattati ai fini Inail come infortuni sul lavoro e non come malattie professionali, con maggior vantaggio per i lavoratori in quanto, come detto, tale qualificazione consente una più ampia tutela, se non altro perché così l’Inail interviene non solo nelle ipotesi in cui il lavoro sia stato la causa del contagio (come avverrebbe, ai sensi dell’art. 3 T.U. n. 1124/65, se si trattasse di malattia professionale), ma anche quando il lavoro ne rappresenti la semplice occasione (v. art. 2 T.U. n.1124/65) ed inoltre perché così viene tutelato anche il lavoratore che abbia contratto l’infezione “in itinere”, ossia andando e tornando dal lavoro (se si trattasse di malattia professionale, invece, tale evento sarebbe escluso dalla tutela, in ragione dell’assenza della causa lavorativa in senso stretto di cui all’art. 3 T.U. n. 1124/65; in tal senso, v. Cass., 9.10.2013, n. 22974).

b – Come va provato che il contagio è stato causato o occasionato dal lavoro di chi ne è stato colpito e va quindi indennizzato dall’Inail? 

Premesso che l’esistenza della patologia ai fini della tutela previdenziale può ritenersi accertata non solo dall’esito positivo del tampone faringeo (che costituisce la prova più certa dell’infezione ma nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, non viene somministrato a tutti gli ammalati), ma anche in base a presunzioni gravi, precise e concordanti quali possono essere ad esempio quelle fornite dai sintomi manifestati, dalla specifica professione (es. operatore sanitario) o dalla peculiarità delle mansioni (es., commesso di supermercato) e dalla diffusione del virus nel territorio, le stesse presunzioni possono venire in soccorso anche ai fini della prova la prova del rapporto tra il lavoro e il contagio per gli operatori sanitari e la prova del nesso eziologico tra specifica prestazione lavorativa e patologia da Coronavirus per i lavoratori che non operano nel settore sanitario.

Difatti, una volta accertata l’esistenza della patologia da Covid-19, almeno perchi opera in ambienti sanitari, come ospedali, cliniche, ambulatori medici o farmacie, deve comunque valere la presunzione della sussistenza del rapporto causale tra la stessa e il lavoro, anche quando l’identificazione delle specifiche cause lavorative del contagio si presenti problematica; ciò in adesione al principio secondo il quale, sebbene alcune infezioni si possano contrarre anche in condizioni estranee al lavoro, per quei lavoratori che operano in un determinato ambiente e che sono adibiti a specifiche mansioni, con una ripetuta e consistente esposizione ad un particolare rischio, la presunzione dell’origine lavorativa è così grave da raggiungere quasi la certezza (in tal senso, si esprime lo stesso Inail nelle “Linee guida per la trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie” del 1° dicembre 1998”, pag. 5 s.).

Del resto, possono essere considerate risolutive a questo proposito le istruzioni fornite a suo tempo dall’Inail con i provvedimenti sopra citati in tema di epatite virale e AIDS, coerenti con le sentenza della Cassazione pure citate: in particolare, l’Istituto, sin dagli anni Novanta, ha chiarito che per il personale sanitario, inteso in senso lato, ai fini dell’accertamento del nesso tra il lavoro e le malattie infettive e parassitarie, ivi comprese le epatiti virali, l’AIDS e, quindi, sicuramente, anche l’infezione da Coronavirus, è senz’altro legittimo il ricorso a presunzioni semplici ex art. 2729 c.c.

Per quanto riguarda, poi, i lavoratori che non operano nel settore sanitario, essi meritano tutela non solo quando il lavoro rappresenti la causa del contagio (come pure potrebbe verificarsi), ma anche quando contraggano la patologia da Coronavirus in occasione di lavoro (trattandosi appunto – come si è detto – di infortunio sul lavoro), purché dimostrino l’esistenza della patologia e il contatto con persone ammalate in ambiente lavorativo; il problema, per questi soggetti, è rappresentato piuttosto dalla minore forza riconosciuta alla presunzione di sussistenza del nesso eziologico con l’attività lavorativa rispetto a quanto avviene per gli operatori sanitari: tuttavia, la maggiore difficoltà di avvalersi delle presunzioni non impedisce agli interessati di far comunque riferimento alla specificità delle mansioni e del lavoro svolto, alla diffusione del virus nella località o nell’azienda dove sono stati costretti ad operare e agli altri fatti noti dai quali sia possibile trarre presunzioni gravi, precise e concordanti, ai fini della prova presuntiva del rapporto causale o, meglio, di occasionalità della patologia da Covid-19 con l’attività protetta.

c – Che cosa accade quando il lavoro sia stato una semplice concausa del contagio da coronavirus  e questo sia stato una semplice concausa del danno subito dal lavoratore?

Come si è già visto, la patologia da Covid-19 viene tutelata come infortunio e, quindi, rilevando appunto anche la mera occasione di lavoro, in forza dell’art. 2 T.U. n. 1124/65, sarà nuovamente un problema di prova e, ancora una volta, si dovrà probabilmente ricorrere esclusivamente a presunzioni (es. uso di mezzi pubblici affollati in zona ad alto rischio), salvo che, per esempio, non si dimostri di aver dovuto viaggiare con un compagno di lavoro, precedentemente infettato dal virus.

A ogni modo, il fatto che la malattia da Coronavirus provochi le conseguenze più significative soprattutto in persone che già soffrono di altre patologie importanti o comunque molto anziane, sicché  il virus è spesso una semplice concausa del danno, è in buona sostanza irrilevante, dato che è pacifico in giurisprudenza il principio secondo il quale, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, trova applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dalla regola dell’equivalenza delle condizioni, sicché va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, anche soltanto quale fattore accelerante (cfr., tra le tante, Cass. 7.11.2018, n. 28454; Cass. 19.6.2014, n. 13959; Cass. 21.1.1998, n. 535).

Pertanto, in conclusione, sempre fatte salve le eventuali difficoltà di prova, tali circostanze non precludono né limitano la tutela Inail.

CORONAVIRUS E ATTIVITÀ PROFESSIONALI

Sommario:  1. Premesse; 2. Impossibilità temporanea e parziale ovvero impossibilità permanente e assoluta della prestazione professionale; le relative conseguenze: sospensione del rapporto, risoluzione o recesso; 3. Le attività professionali continuative.

  1. Premesse.

Anche le attività professionali possono risentire degli effetti negativi del Covid-19, in quanto:

  1. il professionista incaricato potrebbe trovarsi nell’impossibilità di svolgere la propria prestazione (impossibilità che può derivare, ad esempio, dai provvedimenti governativi che hanno limitato gli spostamenti e in genere il movimento delle persone, imponendo inoltre il loro distanziamento sociale, oppure dallo stato di malattia o quarantena o isolamento del professionista); oppure
  2. la prestazione professionale potrebbe diventare inutile, a causa della sopravvenuta irrealizzabilità dello scopo per cui le parti avevano contrattato (ad esempio, la progettazione di uno stand fieristico laddove la fiera sia stata annullata sempre in ragione delle norme sul distanziamento sociale); oppure
  3. le prestazioni a carico dell’una e dell’altra parte (ossia l’attività professionale e il pagamento del corrispettivo) potrebbero diventare tra loro sproporzionate o squilibrate nel loro valore “reale”, rispetto a quanto era stato originariamente convenuto, a causa delle circostanze conseguenti al diffondersi della pandemia.

Ebbene, la regola generale è che, nel rapporto di lavoro autonomo qual è solitamente quello professionale, il rischio grava in linea di principio sul prestatore d’opera (professionista), con la conseguenza che chi si impegna a compiere un’opera o fornire un servizio si assume il rischio di non poterla compiere (o che il suo “guadagno” perda valore) per cause che esulano dalla propria sfera d’azione: non a caso, l’assunzione del rischio rappresenta uno degli indici maggiormente rappresentativi del rapporto d’opera professionale e, in genere, del lavoro autonomo.

  1. Impossibilità temporanea e parziale ovvero permanente e assoluta della prestazione professionale; le relative conseguenze: sospensione del rapporto, risoluzione o recesso.

In generale, trattandosi di contratti a prestazioni corrispettive,  le dette circostanze determinano l’impossibilità sopravvenuta della prestazione (ovvero del raggiungimento dello scopo del contratto) o l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione a carico dell’una o dell’altra parte, il che comporta (qualora l’impossibilità e/o inutilità sopravvenuta siano permanenti e assolute) la risoluzione del contratto, con la conseguenza che questo si scioglie e che la parte onerata della prestazione divenuta impossibile o inutile o eccessivamente onerosa non è più tenuta ad eseguirla e che l’altra parte non è più tenuta a pagarne il prezzo e ha anzi diritto alla sua restituzione, se l’ha già pagato (artt. 1463 e 1467 c.c.).

Ciò posto in termini generali, è però necessario considerare il caso concreto, sia perché la disciplina di ciascun tipo contrattuale può contenere norme specifiche, sia perché la regolamentazione contrattuale adottata tra le parti potrebbe avere concordato previsioni particolari, sia ancora perché, più in generale, è di volta in volta possibile che l’emergenza coronavirus determini un’impossibilità di svolgere la prestazione professionale (o la sua “inutilità”, nel senso suddetto di irrealizzabilità dello scopo) parziale anziché totale o temporanea anziché permanente, con la conseguenza che i contraenti possono evitare la risoluzione e mantenere in vita il contratto concordandone una modifica nel senso della riduzione e/o rinvio della prestazione professionale ovvero della riduzione del compenso (artt. 1464 e 1467, terzo comma, c.c.).

Ebbene, immaginando dunque che l’impossibilità sia solo temporanea (perché è prevedibile o almeno auspicabile che l’emergenza sanitaria termini, così come la vigenza dei conseguenti provvedimenti governativi), può sostenersi che in tal caso il contratto sia semplicemente “sospeso”, nel senso che il committente (cliente) non potrà pretendere l’esecuzione finché perdura la detta impossibilità e il prestatore d’opera (professionista) dunque non sarà tenuto a nessun risarcimento per il ritardo nell’esecuzione dell’opera.

Si può del resto anche immaginare che l’impossibilità in questione sia solo parziale (sia perché il lavoro professionale può generalmente svolgersi “a distanza” e con modalità smart working, sia perché l’Allegato 1 del DPCM 23 marzo 2020 ha comunque stabilito che, tra le attività “non sospese” per l’emergenza coronavirus, rientrino anche, a titolo di esempio, le attività legali e contabili, nonché le attività degli studi di architettura e di ingegneria): in tal caso, dunque, il professionista sarà obbligato ad eseguire la propria prestazione e il cliente sarà obbligato a pagarlo.

In entrambe le ipotesi, si ripete, resta però ferma, sia per il committente che per il professionista, la possibilità:

  1. di risolvere il contratto per impossibilità sopravenuta ex art. 1463 c.c., qualora ne sussistano la condizioni di impossibilità totale (ad esempio, perché qualora ai fini dell’esecuzione del suo lavoro il professionista debba necessariamente recarsi in studio e/o azienda e/o cantiere e ciò non gli sia consentito a causa dei provvedimenti dell’Autorità pubblica) e permanente, ovvero qualora le parti non abbiano intesse alla sua esecuzione parziale o “rinviata” nel tempo (ma, in tal caso, l’altra parte potrà evitare la risoluzione proponendo una diminuzione della prestazione rimasta possibile, ex art. 1464 c.c.): in tal caso, il professionista ha comunque diritto ad avere un compenso per il lavoro prestato, in proporzione all’utilità per il cliente della parte dell’opera compiuta, ex art. 2228 c.c.;
  2. di risolvere il contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., qualora a causa del “verificarsi dell’avvenimento straordinario ed imprevedibile” senza dubbio costituito dall’emergenza coronavirus, la sua prestazione sia diventata eccessivamente “squilibrata” o “sproporzionata” rispetto alla controprestazione a carico della controparte (ma, ugualmente, l’altra parte potrà evitare la risoluzione proponendo una diminuzione della prestazione rimasta possibile, ex art. 1467, terzo comma, c.c.): anche in tal caso, il professionista ha comunque diritto ad avere un compenso per il lavoro prestato, in proporzione all’utilità per il cliente della parte dell’opera compiuta, ex art. 2228 c.c.;
  3. di recedere dal contratto ex artt. 2227 e 2237 c.c. (possibilità che va riconosciuta al cliente ma anche al professionista, rappresentando l’emergenza coronavirus una “giusta causa” ex art. 2237, secondo comma, c.c., con la precisazione però che il suo recesso deve comunque avvenire “in modo da evitare pregiudizio al cliente” ex art. 2237, terzo comma, c.c.): in tal caso, il professionista ha diritto al rimborso delle spese sostenute e al compenso per l’opera professionale eventualmente già svolta, che va però rapportato, nel solo caso di suo recesso, non solo e non tanto all’opera svolta (com’è invece nel caso di recesso del cliente), ma anche e soprattutto all’utilità che ne abbia tratto il cliente e al valore del risultato  da questi ottenuto; al riguardo, si ricorda che anche in caso di impossibilità sopravvenuta nel contratto d’appalto, all’appaltatore spetta ex art. 1672 c.c. un  compenso per l’opera svolta, rapportato però non solo all’utilità che il committente ne abbia conseguito (come abbiamo appena visto essere nel caso di contratto d’opera e d’opera professionale), ma anche al prezzo pattuito per l’opera intera.
  1. Le attività professionali continuative.

Pare poi opportuno distinguere, tra le attività professionali, quelle che non consistono nel compimento di una singola opera specifica e, diremmo, puntuale, ma piuttosto nello svolgimento di un “servizio” (ad esempio, una generale consulenza) continuativo o comunque duraturo, prolungato o ripetuto nel tempo, con o senza previsione di un termine finale, determinando così in buona sostanza una sorta di collaborazione coordinata e continuativa a favore del committente.

In questi casi, premesso che gli obblighi previsti dal d.lgs. n. 81 del 2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro trovano applicazione anche in riferimento ai lavoratori autonomi che svolgano l’attività nell’ambito dell’organizzazione del committente, occorre infatti chiedersi se l’eventuale sospensione delle attività di quest’ultimo possa legittimare la sospensione del rapporto e con quali conseguenze sul piano del compenso dei primi.

Ebbene, trattandosi come detto di una sorta di collaborazione coordinata e continuativa svolta nell’ambito dell’organizzazione aziendale del committente, sembra corretto sostenere che tale questione vada affrontata come quella analoga che può porsi in riferimento al rapporto di lavoro subordinato (sebbene, nel caso di lavoro libero professionale o in genere autonomo, non sia possibile il ricorso agli strumenti previdenziali, come ad esempio la Cassa integrazione, previsti a sostegno del lavoratore dipendente).

Occorre quindi distinguere le diverse possibili ipotesi:

  1. se la prestazione può essere svolta a distanza, non può parlarsi di impossibilità assoluta e dunque la prestazione potrà essere resa, con diritto del professionista al corrispettivo;
  2. se la prestazione non può essere svolta a distanza, ma richiede la presenza in azienda (e/o cantiere) ed essa è impraticabile, occorre verificare:
  3. se ci si trova in un’ipotesi di impossibilità oggettiva, non imputabile ad alcuna delle parti (ma, ad esempio, conseguente ai provvedimenti restrittivi del Governo o altra Autorità pubblica), nel qual caso si avrà sospensione di entrambe le obbligazioni, cioè sia di quella del professionista di compiere l’opera o il servizio, sia di quella del cliente di pagargli il compenso, salva la possibilità di risoluzione (ex artt. 1463 e 1467 c.c.) e di recesso (ex artt. 1464, 2227 e 2237 c.c.) già viste in precedenza;
  4. se la situazione sia imputabile al committente (che decida unilateralmente di sospendere le attività senza esservi tenuto), nel qual caso il prestatore d’opera avrà diritto al compenso;
  5. se l’impossibilità di rendere la prestazione dipende da cause inerenti al prestatore (quali, ad esempio, una condizione di malattia ovvero l’obbligo di isolamento domiciliare che renda impraticabile la continuazione dell’attività), nel qual caso deve ritenersi che il rischio gravi sul lavoratore, che non potrà rivendicare il diritto al compenso (salvo il diritto di valersi di sostituti ex art. 2232 c.c.) né ad altre forme di tutela indennitaria (salvo che questo sia previsto dallo specifico contratto): l’unica tutela, in questo frangente, è infatti rappresentata dall’art. 14 della legge n. 81 del 2017, che prevede che la malattia del lavoratore autonomo che presti la propria attività per il committente in via continuativa non comporta l’estinzione del rapporto, la cui esecuzione può essere sospesa su richiesta del lavoratore, senza diritto al corrispettivo e per un periodo non superiore a 150 giorni, salvo che il committente non provi di non avere interesse alla permanenza del rapporto.

In ogni caso, fuori del caso di impossibilità, il recesso ante tempus del cliente comporterà l’obbligo di risarcire il collaboratore libero professionista del mancato guadagno sino alla scadenza del contratto, mentre in caso di rapporto a tempo indeterminato sarà possibile recedere solo con congruo preavviso ex art. 3 della citata legge n. 81 del 2017.

In tutte queste ipotesi, peraltro, occorre rammentare che se la prestazione diventa solo parzialmente impossibile, potrà trovare applicazione la disciplina codicistica in materia di impossibilità parziale (art. 1464 c.c.) e le parti potranno convenire una riduzione della prestazione e del corrispettivo, mentre potranno recedere dal contratto solo se non vi è alcun interesse all’adempimento parziale.

In ogni caso, correttezza e buona fede dovrebbero imporre a tutte le parti approcci cautelativi e volti a consentire, magari previa rinegoziazione, la conservazione del rapporto.

CORONAVIRUS E CONTRATTO D’AGENZIA

Come per tutti i rapporti di durata, anche il contratto di agenzia può ovviamente risentire degli effetti negativi del Covid-19.

Ad oggi, nei provvedimenti presi dal Governo per fronteggiare l’emergenza, per questi contratti non è stata emanata alcuna previsione espressa.

Risulta tuttavia ad essi applicabile quanto previsto in generale dall’art. 91 del decreto 18/2020 (Cura Italia): “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”

Vi è da dire che, a ben guardare, questa disposizione ha un mero valore rafforzativo e confermativo delle disposizioni già presenti nel nostro ordinamento, come evidente dal richiamo diretto all’art. 1218 c.c.

In materia di inadempimento contrattuale, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 1256 c.c., l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa “impossibile”; se tale impossibilità è solo temporanea, il debitore non è responsabile del ritardo nell’adempimento.

E’ altresì pacifico che, tra le cause invocabili ai fini della “impossibilità” della prestazione, rientrano gli ordini o i divieti sopravvenuti con provvedimenti legislativi o amministrativi dettati da interessi generali, che rendano impossibile la prestazione indipendentemente dal comportamento colpevole dell’obbligato.

In sintesi, si tratta di circostanze che fungono da esimente della responsabilità del debitore, a prescindere dalle previsioni contrattuali in essere.

Ad ogni buon conto e con specifico riferimento al contratto di agenzia, la valenza della previsione di cui all’art. 91 del decreto Cura Italia è duplice: da un lato, all’agente non potrà essere imputata la condotta inadempiente per non avere visitato la clientela o promosso le vendite, e ciò non solo qualora la  preponente abbia visto impedita la propria attività in forza dei provvedimenti restrittivi del Governo, ma anche nel caso in cui tale attività sia stata impedita o fortemente limitata rispetto alla clientela prevista nel contratto.

Da un altro punto di vista, però, va considerato che la situazione di grave carenza di liquidità che si viene inevitabilmente a creare in capo a moltissime imprese in seguito alla sospensione della attività o anche solo alla sua riduzione (o comunque la grande riduzione del fatturato), comporta che anche l’inadempimento delle preponente alle proprie obbligazioni nei confronti dell’agente – fondamentalmente, il pagamento delle provvigioni e dei compensi previsti – potrebbe rientrare nella “esclusione della responsabilità” del debitore.

Ciò ovviamente assume rilevanza diversa a seconda del fatto che l’agente percepisca esclusivamente provvigioni sul fatturato generato dalle vendite promosse o gli siano invece garantiti cospicui compensi minimi o elevati rimborsi forfetari fissi.

E’ evidente che nel primo caso sarà molto difficile per le imprese sottrarsi al pagamento del dovuto, mentre nel secondo caso potrà essere invocata non solo la straordinarietà della situazione, tale da rendere “giustificabile” l’inadempimento, ma potrà anche essere invocato una altro istituto generale presente nel nostro ordinamento, ovvero l’ “eccessiva onerosità sopravvenuta”.

L’art. 1467 c.c., infatti, dispone che “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.

Quindi, mentre è sempre possibile (ed invero, auspicabile) che in una situazione imprevedibile e straordinaria come quella prodotta dalle conseguenze del dilagare del Covid-19, le parti del contratto di agenzia concordino consensualmente una sospensione della efficacia del contratto o una temporanea diversa definizione degli accordi economici sottostanti, è del pari ragionevolmente possibile per la preponente (qualora le singole situazioni concrete lo consentano) proporre unilateralmente la riduzione della propria prestazione economica invocando l’eccessiva onerosità sopravvenuta, facendo valere, in caso di mancata accettazione, la risoluzione del contratto,

L’offerta di riduzione è infatti rivolta a ristabilire l’equilibrio contrattuale, compromesso dall’eccessiva onerosità imputabile a cause imprevedibili e straordinarie.

Se la proposta di riduzione viene accettata, il contratto verrà modificato per il futuro, evitando il suo scioglimento.

Ovviamente, l’effetto della risoluzione non si estenderebbe alle prestazioni eseguite, che sono fatte salve. In tutte queste ipotesi, peraltro, occorre rammentare che se la prestazione diventa solo parzialmente impossibile, potrà trovare applicazione la disciplina codicistica in materia di impossibilità parziale (art. 1464 c.c.); anche in questo caso le parti potranno convenire una riduzione della prestazione e del corrispettivo, mentre potranno recedere dal contratto solo se non vi è alcun interesse all’adempimento parziale.

In ogni caso, correttezza e buona fede dovrebbero imporre a tutte le parti approcci cautelativi e volti a consentire, magari previa rinegoziazione, la conservazione del rapporto.

Infine, alcuni utili annotazioni in merito alle provvidenze ed agevolazioni previste per gli agenti di commercio dal decreto Cura Italia in questa situazione di emergenza.

  • Gli agenti di commercio possono accedere al Bonus di 600 euro per il mese di marzo 2020, previsto per i commercianti, artigiani e lavoratori autonomi?

Dopo averlo in un primo tempo escluso, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sul proprio sito, scrive ora che anche gli agenti di commercio sono inclusi nella platea dell’articolo 28 del Cura Italia, ovvero che anch’essi hanno diritto al Bonus di 600 euro.

Gli agenti di commercio, a differenza di altri lavoratori autonomi iscritti alle casse professionali private (che sono i soggetti erogatori delle relative indennità) sono tuttavia ricompresi nei beneficiari diretti dell’articolo 28 e riceveranno l’indennità non da Enasarco ma dall’INPS.

L’INPS, con circolare del 30 marzo 2020 n. 49, ha confermato l’indennizzo anche per gli agenti e rappresentanti: l’importo di 600 euro verrà erogato dallo stesso istituto, previa richiesta in via telematica, a partire dal 1 aprile 2020. Non è previsto nessun limite di reddito o dimostrazione di calo di fatturato.

Si attendono provvedimenti anche per il mese di aprile.

  • Gli agenti di commercio (operanti in forma individuale) possono accedere alla sospensione del pagamento delle rate del mutuo per l’acquisto della prima casa?

Sì, il Governo ha esteso l’accesso anche che ai lavoratori autonomi ed ai liberi professionisti che autocertifichino ai sensi degli articoli 46 e 47 DPR 445/2000 di aver registrato, in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 ovvero nel minor lasso di tempo intercorrente tra la data della domanda e la predetta data, un calo del proprio fatturato superiore al 33% del fatturato dell’ultimo trimestre 2019 in conseguenza della chiusura o della restrizione della propria attività operata in attuazione delle disposizioni adottate dall’autorità competente per l’emergenza coronavirus. Per accedere alla sospensione del pagamento delle rate non è necessario produrre l’Isee.

  • Sono previste agevolazioni per gli agenti di commercio operanti in forma di microimprese o piccole imprese?

Sì, il Governo ha previsto specifiche misure per le microimprese e le piccole e medie imprese che hanno contratto prestiti o linee di credito da banche o da altri intermediari finanziari (attraverso il rafforzamento del Fondo di garanzia per le PMI).

Per tali finanziamenti la misura predisposta dal Governo dispone che:

a) le linee di credito accordate «sino a revoca» e i finanziamenti accordati a fronte di anticipi su crediti non possono essere revocati fino alla data del 30 settembre 2020;

b) la restituzione dei prestiti non rateali con scadenza anteriore al 30 settembre 2020 è rinviata fino alla stessa data alle stesse condizioni e con modalità tali che non risultino ulteriori oneri né per gli intermediari né per le imprese;

c) il pagamento delle rate di prestiti con scadenza anteriore al 30 settembre 2020 è riscadenzato sulla base degli accordi tra le parti o, in ogni caso, sospeso almeno fino al 30 settembre 2020, secondo modalità che assicurino la continuità degli elementi accessori dei crediti oggetto della misura e non prevedano, dal punto di vista attuariale, nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.

d) è avviata una linea per la liquidità immediata (fino a 3.000 euro) con accesso senza valutazione, che si affianca alle garanzie già attive senza valutazione sul microcredito e sui finanziamenti di importo ridotto fino a 20.000 euro.

La misura si rivolge alle imprese che hanno subito in via temporanea carenze di liquidità per effetto dell’epidemia, che tuttavia non impatta in maniera significativa sulla loro capacità di adempiere alle proprie obbligazioni. Le imprese sono tenute ad autocertificare di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia Covid-19.

  • Il Fondo PMI può essere utilizzato anche dagli agenti?

Si, anche gli agenti operanti in forma individuale possono accedere al Fondo PMI per ricevere una garanzia, gratuita e senza valutazione, per nuovi finanziamenti fino a fino a 3.000 euro e per un periodo massimo di 18 mesi. Per accedere alla garanzia è sufficiente una dichiarazione autocertificata ai sensi dell’art. 47 del DPR 445/2000 con la quale si dichiara che la propria attività sia stata danneggiata dall’emergenza Covid-19.

DPCM 22.03.2020 – RAFFORZAMENTO MISURE RESTRITTIVE E SOSPENSIONE ATTIVITA’ PRODUTTIVE SULL’INTERO TERRITORIO NAZIONALE

Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, sull’intero territorio nazionale sono adottate le seguenti misure:

a) SOSPENSIONE di tutte le attività diverse da quelle elencate nell’allegato 1, (vedi allegato); per le attività commerciali restano in vigore le precedenti disposizioni (alimentari, farmacia, edicole etc.);

b) DIVIETO di spostamento con qualsiasi mezzo in un comune diverso da quello in cui ci si trova, con l’eccezione di “comprovate esigenze lavorative”, di “assoluta urgenza” ovvero “per motivi di salute”;

c) le attività sospese possono proseguire se organizzate in modalità a distanza o lavoro agile;

d) sono sempre consentite le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1, nonché dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali di cui alla successiva lettera e), previa comunicazione al Prefetto territorialmente competente, che ha il potere di sospendere l’attività in questione nella propria provincia.

e) sono consentite le attività che erogano servizi di pubblica utilità, nonché servizi essenziali (farmacie, alimentari, edicole).

f) è sempre consentita l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici nonché di prodotti agricoli e alimentari. Resta altresì consentita ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza;

altre attività consentite:

✅ impianti a ciclo produttivo continuo, previa comunicazione al Prefetto, a

condizione che dall’interruzione derivi grave pregiudizio o pericolo di incidenti;

✅ industria dell’aerospazio e della difesa, nonché le altre attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale, previa autorizzazione del Prefetto.

Le imprese le cui attività sono sospese per effetto del presente decreto completano le attività necessarie alla sospensione entro il 25 marzo 2020, compresa la spedizione della merce in giacenza.

Le disposizioni del presente decreto producono effetto dal 23 marzo e sono efficaci fino al 3 aprile salvo proroghe.

Restano in vigore le precedenti disposizioni, tutte prorogate al 3 aprile.

dpcm_20200322_allegato_1

dpcm 22 marzo 2020.pdf

Coronavirus Covid19 e locazioni commerciali

A seguito del D.P.C.M dell’11 marzo 2020, il Governo ha sospeso – al momento fino al  03 aprile 2020 (termine così prorogato dal successivo D.P.C.M. del 22 marzo 2020) – tutte le attività commerciali al dettaglio (fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità), nonché le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) e le attività inerenti ai servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti).

Le conseguenze di tale provvedimento sui contratti di locazione degli immobili in cui si svolgono e dette attività non sono purtroppo sicure.

Va infatti precisato che nella locazione commerciale, i divieti disposti dai D.P.C.M. in ordine all’attuale emergenza sanitaria non incidono sulla prestazione principale del locatore, ovvero la messa a disposizione di locali idonei all’uso che ne è consentito ai sensi del contratto; essi non hanno infatti alcuna attinenza all’immobile in cui si svolge l’attività, alle sue caratteristiche o alla sua idoneità all’uso pattuito.

L’impossibilità di svolgere l’attività non è infatti imputabile a nessuna delle parti ma è dovuta ad una emergenza straordinaria di tutela della salute.

Del pari non è affatto scontato che, in termini di rigorosa causalità, la chiusura temporanea dell’attività renda impossibile la prestazione principale del conduttore consistente nel pagamento del canone di locazione e delle spese accessorie, tanto più che ai sensi del D.P.C.M. 11/03/2020 l’attività di ristorazione è consentita con consegna a domicilio ed è altresì permesso il commercio di qualsiasi tipo di prodotto via internet e per corrispondenza.

In ogni caso, resta ferma l’applicabilità dell’art. 27, ottavo comma, della legge 392/1978, ai sensi del quale il conduttore può recedere dal contratto in caso di “gravi motivi” (che potrebbero ben rinvenirsi nell’emergenza coronavirus e nei conseguenti provvedimenti di sospensione delle attività commerciali), ma dovendo in tal caso concedere al locatore un preavviso di almeno sei mesi ed essendo dunque tenuto a corrispondergli il canone di locazione per tutto il semestre di preavviso anche qualora rilasci l’immobile prima del suo decorso.

In alternativa, si potrebbe domandare al giudice la pronuncia della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., facendo valere la grave alterazione dell’equilibrio tra il valore delle prestazioni corrispettive causata da eventi straordinari, imprevedibili e successivi all’assunzione dell’impegno, quali sono senza subbio l’emergenza Coronavirus e i conseguenti provvedimenti governativi; in tal caso, benché il rimedio previsto dal codice civile sia la risoluzione del contratto, il creditore (ossia il locatore) può comunque evitarla offrendo una equa modifica delle condizioni (cfr. ultimo comma art. 1467 c.c.).

Altrimenti, si potrebbe sostenere che, a causa delle dette circostanze, si è determinata un’impossibilità sopravvenuta di realizzazione dello scopo per cui è stato concluso il contratto di locazione (ossia lo svolgimento delle dette attività commerciali), il che determinerebbe l’automatica e immediata risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., senza che sia necessaria alcuna pronuncia giudiziaria, bastando invece la semplice comunicazione del contraente che intende avvalersene (e possono essere entrambi) all’altro: tuttavia, da un lato, si potrebbe obiettare che l’impossibilità in questione è solo temporanea e, dunque, non potrebbe mai giustificare la risoluzione del contratto ma, semmai, giustificare il ritardo del conduttore nell’adempimento della prestazione di pagamento del canone ex art. 1256, comma 2, c.c. (che quindi andrebbe comunque onorata ugualmente al termine dell’emergenza sanitaria); dall’altro lato, resta il fatto che il locatore continua comunque a mettere a disposizione un immobile che è idoneo all’esercizio dell’attività e pertanto, a rigore, non vi sarebbe alcuna impossibilità della prestazione della parte locatrice.

Per lo stesso motivo, si ritiene che anche la norma prevista dall’art. 1464 c.c. (riduzione della prestazione per impossibilità parziale dell’altra prestazione) mal si attagli ai casi in questione: è infatti il conduttore ad essere impedito nell’esercizio dell’attività, non essendovi alcuna impossibilità in ordine alla prestazione del locatore, il quale continua invece ad adempiere totalmente ai suoi obblighi contrattuali.

Ciò detto, si deve peraltro considerare che la risoluzione del contratto potrebbe non corrispondere all’interesse né del locatore né a quello del conduttore, essendo entrambi interessati, seppure per diversi motivi, alla conservazione del rapporto.

Il conduttore, in particolare, potrebbe non avere interesse a liberarsi dal vincolo contrattuale ma, al contrario, a sospendere temporaneamente il pagamento dei canoni (nel senso di ometterne il versamento in via definitiva, senza quindi essere più tenuto a versarli una volta passata l’emergenza).

Si potrebbe allora sostenere che le circostanze in questione, se anche non giustificassero la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta (trattandosi, come detto, di impossibilità solo temporanea), potrebbero comunque determinare la sospensione dell’esecuzione del contratto finché esse perdurano, comportando dunque anche la sospensione (definitiva) dell’obbligo del conduttore di pagare il canone di locazione e del diritto del locatore di pretenderlo, non potendo dunque il secondo intimare al primo lo sfatto per morosità: tuttavia, una tale soluzione dovrebbe corrispettivamente comportare anche la “restituzione” al locatore, durante la sospensione del contratto, della disponibilità dell’immobile locato, mancando un solido riferimento normativo che consenta al conduttore di “tenersi” la disponibilità del bene locato senza avere l’obbligo di pagarne il corrispondente compenso al locatore.

Del resto, anche il precitato D.L. 18/2020, Cura Italia, infatti, non prevede espressamente alcuna sospensione dell’obbligo del conduttore di versare il canone pattuito, limitandosi il suddetto D.L. solo a riconoscere, per l’anno 2020 e ai soggetti esercenti attività d’impresa, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020 (valevole per i soli negozi e botteghe chiusi in seguito alla sospensione delle suddette attività commerciali).

Pertanto – anche in ragione dell’interesse di entrambe le parti a conservare il rapporto di locazione, sebbene temporaneamente sospeso, e il loro interesse reciproco a non dovere, il conduttore, sgomberare l’immobile, ovvero a non dovere, il locatore curare la custodia dei beni mobili che vi si trovano – la soluzione migliore al problema, anche al fine di evitare gli inevitabili contenziosi, parrebbe non poter essere che un accordo tra le parti, che preveda ad esempio, in analogia con quanto previsto dall’art. 65 del D.L. Cura Italia, la riduzione del 60% del canone di locazione durante la sospensione del contratto.

Sarà quindi opportuno che il conduttore formalizzi tempestivamente al locatore, con le relative motivazioni, la richiesta di riduzione o sospensione del canone di locazione, adducendo le ragioni di sopravvenuta impossibilità ad adempiere agli obblighi contrattuali per causa di forza maggiore (motivi straordinari e imprevedibili), al fine di giungere ad una soluzione conciliativa, fermo restando che sarà comunque rimessa alla discrezionalità del locatore l’accettazione o meno della proposta di riduzione o sospensione.

Come ultima considerazione finale, si ritiene che gli argomenti e le problematiche sopra evidenziate valgano – sebbene mutatis mutandis – anche per le locazioni ad uso industriale o artigianale, che sono state colpite dal successivo D.P.C.M. del 22 marzo 2020, a seguito del quale il Governo ha infatti sospeso – al momento fino al  03 aprile 2020 – svariate attività produttive industriali e commerciali all’ingrosso.

 

Coronavirus Covid19 e contratti in essere

Sommario:  1. Premesse; 2. L’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità: sospensione, risoluzione o riduzione del contratto? 3. Esame dei principali contratti d’impresa;  3.1 Contratto d’appalto; 3.2 Contratto d’opera; 3.3 Contratto di somministrazione: 3.4 Pacchetto turistico e titoli di viaggio; 3.5 Contratto d’albergo; 3.6 Contratto di lavoro subordinato; 3.6.1 Lavoro agile (smart working); 3.6.2 3.6.2 Congedo ordinario o ferie “forzate”; 3.7 Contratto di locazione commerciale.

  1. Premesse.

La pandemia da coronavirus COVID-19 sta impattando non solo sulla salute e sulla vita comune delle persone ma anche, in modo non indifferente, sulle dinamiche contrattuali legate all’operatività ordinaria.

Una serie di D.P.C.M. (in ordine di tempo, dal primo del 23 febbraio 2020, all’ultimo, alla data di oggi, del 1° aprile 2020) e in particolare il D.P.C.M. 11 marzo 2022 per come integrato dal D.P.C.M. 22 marzo 2020, nonché il  D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, infatti, hanno imposto una serie di misure di distanziamento sociale che hanno comportato una forte limitazione degli spostamenti delle persone, nonché la riduzione se non addirittura la chiusura di molte attività produttive e commerciali (anzi, la chiusura di tutte, eccetto quelle elencate tassativamente dall’Allegato 1 del D.P.C.M. del 22 marzo 2020, che le ha identificate tramite il riferimento ai codici ATECO).

A fronte di tali provvedimenti restrittivi e interdittivi, c’è da chiedersi se e come essi possano incidere sulla normale prosecuzione dei rapporti contrattuali: infatti, a causa dei provvedimenti medesimi, una o entrambe le parti contraenti potrebbero trovarsi nell’impossibilita di adempiere.

  1.  L’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità sopravvenuta: sospensione, risoluzione o modifica del contratto?

Ai sensi dell’art. 1256 c.c., primo comma, c.c., l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, qualora non dipenda da causa imputabile al debitore ma sia invece determinata da caso fortuito (ossia da una circostanza imprevedibile e inevitabile dal debitore) o da causa di forza maggiore (ossia una circostanza “esterna” all’obbligazione e che sfugge al controllo del debitore) comporta generalmente l’estinzione dell’obbligazione, con la conseguenza che il debitore non è più tenuto al suo adempimento, divenuto impossibile senza sua colpa, né a risarcire il danno il danno che da ciò derivi al creditore.

Applicando tale regola generale all’ambito dei contratti, nei quali generalmente all’obbligazione di un contraente (ad esempio, la consegna di una merce o lo svolgimento di un’opera o di un servizio) corrisponde l’obbligazione dell’altro contraente (tipicamente, il pagamento del prezzo) e che per questo si chiamano a prestazioni corrispettive, giustificandosi causalmente l’una con l’altra, si ottiene che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione dovuta da un contraente ovvero l’impossibilità di utilizzare la prestazione della controparte e/o di realizzare lo scopo pratico del contratto comportano, ai sensi dell’art. 1463 c.c., l’automatica risoluzione del contratto, con la conseguenza che egli non è più obbligato ad eseguire la prestazione cui era obbligato e che anche l’altro contraente non è più obbligato a eseguire la sua controprestazione, anche se questa è rimasta possibile, e può anzi pretenderne la restituzione nel caso in cui l’abbia già eseguita.

Questo, in effetti, è ciò che può avvenire a causa dell’emergenza sanitaria da coronavirus, in quanto la prestazione di un contraente (ad esempio, si ripete, la consegna di una merce o lo svolgimento di un’opera o di un servizio) può essere impedita dai vincoli imposti dal governo alla mobilità e all’attività delle persone, nonché alle attività produttive e commerciali delle imprese; analogamente, a causa dell’emergenza coronavirus, la prestazione di un contraente, sebbene astrattamente ancora possibile, potrebbe non consentire più la realizzazione dello scopo per il quale era stato concluso il contratto (si pensi, ad esempio, a un contratto che abbia ad oggetto la realizzazione di un opera o la prestazione di un servizio per un’attività che non è più consentita); oppure, ancora, a causa dell’emergenza coronavirus, il valore e/o il costo della prestazione di uno dei contraenti potrebbe aumentare o ridursi eccessivamente, divenendo eccessivamente sproporzionato rispetto a quello della prestazione altrui o comunque rispetto a quanto avuto presente dalle parti al momento della conclusione del contratto.

Pertanto, qualora ciò concretamente accada, il contraente obbligato alla prestazione divenuta impossibile a causa del coronavirus può semplicemente comunicare per iscritto all’altro contraente che intende avvalersi della risoluzione del contratto ex art. 1463 c.c. (che, si ripete, è “automatica”, nel senso che non richiede la pronuncia di un giudice né di nessun altra autorità), con la conseguenza che egli non è più obbligato ad eseguire la prestazione e, d’altra parte, non può nemmeno pretendere la controprestazione dell’altro contraente; oppure, analogamente, il contraente che non può più ricevere né pretendere la prestazione della sua controparte, perché divenuta impossibile, può semplicemente comunicargli per iscritto che intende avvalersi della risoluzione del contratto ex art. 1463 c.c., con la conseguenza che anch’egli non sarà più obbligato ad eseguire la sua controprestazione, anche se questa è rimasta possibile, e potrà anzi chiederne la restituzione qualora l’abbia già eseguita.

Tuttavia, a tali comunicazioni e richieste, l’altro contraente potrebbe opporre che quella determinata dall’emergenza sanitaria da coronavirus non è un’impossibilità totale e definitiva, ma solo un’impossibilità temporanea (perché è immaginabile o almeno auspicabile che l’emergenza passi), con la conseguenza che il contratto non sarebbe risolto “automaticamente” di diritto, ma sarebbe invece solo “sospeso”, ai sensi degli artt. 1256 c.c., secondo comma, e 1464 c.c., nel senso che il debitore non può essere ritenuto responsabile per il ritardo e/o inadempimento finché sussiste la detta impossibilità, mentre le obbligazioni reciproche dei contraenti (e la loro responsabilità) tornerebbero ad essere vincolanti una volta finita l’emergenza.

Anche in questo caso, però, il contraente interessato alla risoluzione del contratto potrebbe fondatamente sostenere che, se è vero che solo l’impossibilità totale e definitiva comporta la risoluzione del contratto, è altresì vero che, proprio ai sensi degli art. 1256 c.c., secondo comma, e dell’art. 1464 c.c. l’impossibilità della prestazione va valutata con riferimento all’interesse concreto del creditore, con la conseguenza che, quando tale interesse sia venuto meno o sia divenuto irrealizzabile lo scopo pratico che le parti volevano raggiungere con quello specifico contratto, questo comunque si risolve, in quanto «l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla» (art. 1256 c.c., secondo comma, c.c.) e «quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte può recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale» (art. 1464 c.c.).

Allo stesso modo, qualora concretamente accada che, a causa dell’emergenza coronavirus, la prestazione di una parte sia divenuta eccessivamente onerosa rispetto all’altra, il contrante obbligato a fornirla può domandare al giudice la risoluzione del contratto (art. 1467, primo comma,  c.c.), che dunque con è “automatica” come nel caso di impossibilità sopravvenuta,  ma anche in questo caso l’altro contraente potrebbe opporsi sostenendo che la sproporzione venutasi a creare tra prestazione e controprestazione a causa dell’emergenza coronavirus non è “eccessiva”, oppure offrendo una “equa” modifica (su cui equità, potrebbe comunque ancora sorgere ulteriore controversia) delle condizioni del contratto (art. 1467, terzo comma, c.c.).

In sostanza, dunque, gli effetti giuridici del COVID-19 sui negozi stipulati dovranno essere esaminati e valutati in concreto caso per caso.

  1. Esame dei principali contratti d’impresa.

Ciò posto in termini generali, si evidenziano di seguito le conseguenze del COVID-19, quale causa di impossibilità e/o inutilizzabilità sopravvenuta della prestazione o di sua eccessiva onerosità, sui principali contratti d’impresa.

A causa dei provvedimenti dell’Autorità emanati a tutela della salute pubblica, le parti di un contratto di appalto d’opera e/o di servizi potrebbero essere impossibilitate a svolgere la propria prestazione.

L’appaltatore, ad esempio, si potrebbe trovare in una delle seguenti situazioni:

In tali casi, l’appaltatore non potrà essere ritenuto responsabile dell’inadempimento e/o del ritardo dell’esecuzione della prestazione, in quanto si tratta di un impedimento dovuto a causa di forza maggiore o a un ordine dell’Autorità pubblica.

L’esecuzione del contratto sarà, dunque, (quantomeno) temporaneamente sospesa fino a quanto gli impedimenti oggettivi cesseranno, con la conseguenza che l’appaltatore non dovrà svolgere la propria prestazione e il committente non dovrà provvedere al pagamento del compenso.

Si segnala che in caso di morte dell’appaltatore, il contratto continua a produrre effetti e non si risolve ipso iure, ma rimane in ogni caso salva la facoltà del committente di recesso ex art. 1674 c.c.

Il committente, dal canto suo, potrebbe ad esempio trovarsi a dover affrontare le seguenti situazioni:

  •  3.2 Contratto d’opera.

Il prestatore d’opera potrebbe essere impossibilitato ad eseguire la propria prestazione perché, ad esempio, vi è ordine dell’Autorità pubblica che gli impedisce di eseguirla, come può essere il divieto di spostamento perché ha contratto il virus: in tal caso, il prestatore non potrà essere ritenuto responsabile dell’inadempimento e l’esecuzione del contratto si sospenderà fintanto che la causa di forza maggiore o i provvedimenti dell’autorità non cessino.

Il committente, a sua volta, non sarà obbligato al pagamento del corrispettivo fintanto che perdura la causa di impossibilità; egli rimarrà invece obbligato al pagamento del corrispettivo per tutte le prestazioni che il prestatore ha eseguito anteriormente al periodo di emergenza sanitaria; in ogni caso, il committente potrà recedere unilateralmente dal contratto, purché tenga indenne il prestatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno (cfr. art. 2227 e art.2237 c.c.).

  •  3.3 Contratto di somministrazione.

Nel contratto di somministrazione, il somministratore esegue a favore del somministrato le prestazioni periodiche di beni o cose verso il corrispettivo di un prezzo.

Il somministratore, a causa dell’epidemia da COVID-19, potrebbe essere impossibilitato a eseguire a favore del somministrato la propria prestazione e, in tal caso, egli non potrà essere ritenuto responsabile dell’inadempimento della prestazione: conseguentemente, l’esecuzione del contratto si sospende fino a quanto stabilito nell’ordine dell’autorità; va da sé che, se l’oggetto del contratto di somministrazione concerne fornitura di beni o servizi non coinvolti dai provvedimenti restrittivi o interdittivi dell’Autorità pubblica perché considerati “essenziali” (ad esempio, gas, energia elettrica, giornali, riviste, eccetera) l’esecuzione del contratto non potrà essere sospesa e il somministratore sarà obbligato ad adempiere alla propria prestazione.

Il somministrato, una volta cessato il periodo di sospensione, potrà chiedere la risoluzione del contratto se l’inadempimento del somministrante perdura, è di notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti ex art. 1564 c.c.; nel caso invece di contratto a tempo indeterminato, rimane sempre salva la facoltà del somministrato di recedere dal contratto, dando un congruo preavviso al somministratore ex art. 1569 c.c.

All’art. 28 del D.L. n. 9 del 2 marzo 2020, si è previsto che alcune particolari categorie di viaggiatori[1], essendo impossibilitate a usufruire del proprio c.d. pacchetto e/o titolo di viaggio a causa del contagio da COVID-19 o di un provvedimento dell’autorità, potranno recedere dal contratto (salvo che la prestazione non abbia avuto già inizio di esecuzione).

Stante il recesso del viaggiatore, il tour operator e/o l’intermediario o la compagnia aerea o di trasporti potrà:

  1. offrire un c.d. pacchetto sostitutivo di qualità equivalente o superiore; oppure
  2. rimborsare il corrispettivo versato per il titolo di viaggio e/o per il pacchetto; oppure
  3. emettere un voucher da utilizzare entro 1 anno dalla sua emissione di importo pari al rimborso spettante.

Si segnala che dall’8 marzo 2020 il Governo ha posto il divieto, durante tutto il periodo dell’emergenza sanitaria, a tutti i cittadini italiani di allontanarsi dalla propria abitazione, se non per motivi lavorativi e di salute: a fronte di ciò, si ritiene che tutti i cittadini italiani (non solo ai soggetti particolari di cui al D.L. n. 9/2020), che abbiano acquistato un titolo di viaggio o pacchetto turistico fruibile dal 8 marzo 2020 fino a tutto il periodo di restituzione disposto dall’autorità per COVID-19, possano recedere dal contratto per impossibilità sopravvenuta nell’esecuzione dell’oggetto.

  • 3.5 Contratto d’albergo

Con il D.P.C.M del 8 marzo 2020 e con le successive proroghe, il Governo ha disposto a tutti i cittadini italiani il divieto di allontanamento dalla propria abitazione se non per comprovate esigenze lavorative, di salute e di necessità.

Fino a che tali provvedimenti non scadranno o non saranno revocati, il cliente non potrà viaggiare in Italia e fuori da paese e, qualora abbia prenotato una camera di albergo in tale periodo di emergenza sanitaria, potrà disdire la prenotazione e chiedere all’albergatore la restituzione della caparra e/o acconto già versati.

Si segnala che il Decreto “Cura Italia” (D.L. n. 18 del 17 marzo 2020) ha esteso il precitato art. 28 D.L. n. 9 del 2 marzo 2020 in tema di “pacchetti turistici” anche al contratto d’albergo, prevedendo espressamente che l’albergatore, a fronte del recesso del cliente dovuto all’emergenza coronavirus, potrà:

  1. rimborsare il corrispettivo versato per il titolo di viaggio e/o per il pacchetto; oppure
  2. emettere un voucher da utilizzare entro 1 anno dalla sua emissione di importo pari al rimborso spettante.
  •  3.6 Contratto di lavoro subordinato

A seguito dell’emanazione del D.P.C.M del 4 marzo 2020 il datore di lavoro per contrastare e contenere la diffusione del COVID-19 può adottare la modalità di lavoro agile (cosiddetto “smart working”) oppure invitare i dipendenti a mettersi in congedo ordinario o ferie “forzate”.

3.6.1 Lavoro agile (smart working)

Il lavoro agile (smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e da un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi.

Il D.P.C.M. del 4 marzo 2020 ha esteso a tutto il territorio nazionale la possibilità del datore di lavoro di adottare unilateralmente la modalità di lavoro agile (smart working), senza un previo accordo scritto tra azienda e dipendente durante tutto il periodo dell’epidemia.

In sostanza, il lavoratore potrà svolgere le proprie mansioni dal pc della propria abitazione, salvo in ogni caso l’obbligo di assumere ogni misura operativa, organizzativa e tecnica, idonea a garantire l’accesso, disponibilità e sicurezza dei dati trattati, evitando pertanto di assumere comportamenti che possano comportare rischi di perdita di dati, accesso non autorizzato o di diffusione, analogamente a quanto previsto per i servizi effettuati in sede.

Dal canto suo, il datore di lavoro, ai fini dell’adottabilità dello smart working dovrà:

  1. inviare al dipendente una comunicazione di avviso di smart working;
  2. predisporre un’autodichiarazione per dipendente di avviso di attivazione di smart working per motivi emergenziali.

Tali modelli dovranno essere trasmessi con comunicazione telematica obbligatoria al sito del Ministero del Lavoro entro il giorno antecedente a quello d’inizio della prestazione lavorativa; la mancata comunicazione comporterà una sanzione amministrativa da 100 a 500 euro per ogni lavoratore.

3.6.2 Congedo ordinario o ferie “forzate”.

Qualora il datore di lavoro decida di non adottare la modalità del lavoro agile, potrà invitare i dipendenti a mettersi in congedo ordinario o “ferie forzate”.

In caso di congedo ordinario al dipendente spetta la normale retribuzione. Rimangono in ogni caso esclusi i compensi per prestazioni di lavoro straordinario e le indennità che non siano corrisposte per dodici mensilità.

In concreto, può distinguersi la seguente possibile casistica.

Dal lato dipendente:

  1. il dipendente in malattia o in quarantena obbligatoria non può usufruire dello smart working, in quanto è in uno stato di sospensione del rapporto di lavoro, ma ha diritto alla retribuzione; in caso di quarantena, l’assenza del dipendente dovrà essere disciplinata secondo le previsioni di legge e contrattuali che riguardano l’assenza per malattia, con le conseguenti tutele per la salute e la garanzia del posto di lavoro; 
  2. Se il dipendete ha timore di essere stato contagiato e non si reca sul luogo di lavoro, esso viene considerato in assenza ingiustificata situazione da cui possono scaturire provvedimenti disciplinari che possono portare anche al licenziamento

Dal lato datore di lavoro:

  1. se l’attività lavorativa viene sospesa volontariamente dal datore di lavoro, il lavoratore continua ad avere diritto alla retribuzione, ma il datore di lavoro potrà imporgli di utilizzare fino ad esaurimento i giorni di ferie/permessi maturati;
  2. se l’attività lavorativa viene sospesa a causa di un provvedimento autoritativo del Governo (ad esempio, il DPCM del 11 marzo 2020 che ha imposto la chiusura delle attività commerciali), il rapporto di lavoro si ritiene sospeso e il lavoratore non avrà diritto alla retribuzione, in quanto si tratta di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa per motivi oggettivi, ma potrà accedere alle varie forme di previdenza sociali (cassa integrazione e FIS) che anzi sono state potenziate.

In ogni caso, l’art. 46 del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 (decreto Cura Italia) ha previsto che, fino a sessanta giorni dopo la sua entrate in vigore (cioè fino al 16 maggio 2020), salve successive proroghe, saranno precluse le nuove procedure di licenziamento collettivo  e sospese quelle avviate dopo il 23 febbraio 2020 e che, fino allo stesso termine, non saranno consentiti i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (ossia per ragioni “economiche”), qualunque sia il numero di dipendenti dell’azienda.

  • 3.7 Contratto di locazione commerciale.

Con il D.P.C.M dell’11 marzo 2020 e successive proroghe, il Governo ha sospeso tutte le attività commerciali al dettaglio (fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità), nonché le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) e le attività inerenti ai servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti).

Le conseguenze di tale provvedimento sui contratti di locazione degli immobili in cui si svolgono e dette attività non sono purtroppo sicure.

Va infatti precisato che i detti divieti non incidono sulla prestazione principale del locatore, ovvero la messa a disposizione di locali idonei all’uso che ne è consentito ai sensi del contratto, in quanto non hanno alcuna attinenza all’immobile in cui si svolge l’attività, alle sue caratteristiche o alla sua idoneità all’uso pattuito; del pari non è affatto scontato che, in termini di rigorosa causalità, la chiusura temporanea dell’attività renda impossibile la prestazione principale del conduttore consistente nel pagamento del canone di locazione e delle spese accessorie, tanto più che ai sensi del D.P.C.M. 11/03/2020 l’attività di ristorazione è consentita con consegna a domicilio ed è altresì permesso il commercio di qualsiasi tipo di prodotto via internet e per corrispondenza.

Tuttavia, è inevitabile che per il conduttore, a causa dell’oggettivo crollo del fatturato e degli incassi conseguente alla “chiusura” dell’attività commerciale, possano insorgere una crisi di liquidità e con essa serie difficoltà a pagare il canone di locazione di un immobile commerciale divenuto giocoforza improduttivo.

Le soluzioni possono essere, in astratto, le seguenti:

–       può dirsi anzitutto che  resta ferma l’applicabilità dell’art. art. 27, ottavo comma, della legge 392/1978, ai sensi del quale il conduttore può recedere dal contratto in caso di “gravi motivi” (che potrebbero ben rinvenirsi nell’emergenza coronavirus e nei conseguenti provvedimenti di sospensione delle attività commerciali), ma in tal caso deve concedere al locatore un preavviso di almeno sei mesi e dunque è in ogni caso tenuto a corrispondergli il canone di locazione per tutto il semestre di preavviso;

–       in alternativa, il conduttore potrebbe domandare al giudice la pronuncia della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., facendo valere la grave alterazione dell’equilibrio tra il valore delle prestazioni corrispettive causata da eventi straordinari, imprevedibili e successivi all’assunzione dell’impegno, quali sono senza subbio l’emergenza Coronavirus e i conseguenti provvedimenti governativi: in tal caso, benché il rimedio previsto dal codice civile sia la risoluzione del contratto, il creditore (ossia il locatore) può evitarla offrendo una equa modifica delle condizioni (cfr. ultimo comma art. 1467 c.c.);

–       altrimenti, si potrebbe sostenere che, a causa delle dette circostanze, si è determinata un’impossibilità sopravvenuta di realizzazione dello scopo pratico per cui è stato concluso il contratto di locazione (ossia lo svolgimento delle dette attività commerciali), il che determina l’automatica e immediata risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., senza che sia necessaria alcuna pronuncia giudiziaria, bastando invece la semplice comunicazione del contraente che intende avvalersene (e possono essere entrambi) all’altro: tuttavia, da un lato, si potrebbe obiettare che l’impossibilità in questione è solo temporanea e, dunque, non può giustificare la risoluzione del contratto, ma semmai solo la sua sospensione e, dall’altro, la risoluzione del contratto potrebbe non corrispondere all’interesse né del locatore né del conduttore, essendo entrambi interessati, seppure per diversi motivi, alla conservazione del rapporto.

Si potrebbe allora sostenere che le circostanze in questione, se anche non giustificassero la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta (trattandosi di impossibilità solo temporanea), possono comunque determinare la sospensione dell’esecuzione del contratto finché esse perdurano, comportando dunque anche la sospensione dell’obbligo del conduttore di pagare il canone di locazione e del diritto del locatore di pretenderlo, non potendo dunque il secondo intimare al primo lo sfatto per morosità: tuttavia, una tale soluzione  dovrebbe corrispettivamente comportare anche la “restituzione” al locatore, durante la sospensione del contratto, della disponibilità dell’immobile locato, mancando un solido riferimento normativo che consenta di conduttore di “tenersi” la disponibilità del bene locato senza avere l’obbligo di pagarne il corrispondente compenso al locatore (anche il precitato D.L. 18/2020, Cura Italia, infatti, non lo prevede espressamente, limitandosi solo a riconoscere, per l’anno 2020, ai soggetti esercenti attività d’impresa, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, dei soli negozi e botteghe chiusi in seguito alla sospensione delle suddette attività commerciali).

Pertanto – anche in ragione dell’interesse di entrambe le parti a conservare il rapporto di locazione, sebbene temporaneamente sospeso, e il loro interesse reciproco a non dovere, il conduttore, sgomberare l’immobile, ovvero a non dovere, il locatore curare la custodia dei beni mobili che vi si trovano – la soluzione migliore al problema, anche al fine di evitare gli inevitabili contenziosi, parrebbe non poter essere che quella di un accordo tra le parti, che preveda ad esempio, in analogia con quanto previsto dall’art. 65 del D.L. Cura Italia, la riduzione del 60% del canone di locazione durante la sospensione del contratto

Sarà quindi opportuno che il conduttore formalizzi tempestivamente al locatore, con le relative motivazioni, la richiesta di riduzione o sospensione del canone di locazione, adducendo le ragioni di sopravvenuta impossibilità ad adempiere agli obblighi contrattuali per causa di forza maggiore (motivi straordinari e imprevedibili), al fine di giungere ad una soluzione conciliativa, fermo restando che sarà comunque rimessa alla discrezionalità del locatore l’accettazione o meno della proposta di riduzione o sospensione.


[1] I soggetti interessati dal D.L. n. 9/2020 sono i seguenti: a) i soggetti nei confronti dei quali è stata disposta quarantena, b) soggetti domiciliati o destinatari di un provvedimento di divieto di allontanamento nelle aree interessate dal contagio; c) dai soggetti risultanti positivi al virus COVID-19; d) dai soggetti che hanno programmato soggiorni o viaggi con partenza o arrivo nelle aree interessate dal contagio, e) soggetti che hanno programmato la partecipazione a concorsi pubblici o procedure di selezione pubblica, a manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, a eventi e a ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico, annullati, sospesi o rinviati dalle autorità competenti in attuazione dei provvedimenti adottati, f) soggetti intestatari di titolo di viaggio, acquistati in Italia, avente destinazione in stati esteri, dove sia impedito o vietato lo sbarco, l’approdo o l’arrivo in ragione dell’epidemia del COVID-19.

D.L. 18/2020 “DECRETO CURA ITALIA”

Vi illustriamo di seguito i principali provvedimenti del “Decreto Cura Italia” per l’emergenza COVID-19.

Tale decreto contiene anche alcune agevolazioni inerenti i rapporti di lavoro; Vi invitiamo pertanto a contattare anche il vostri Consulenti del Lavoro.

1. PROROGA VERSAMENTI FISCALI IN SCADENZA TRA L’8 MARZO E IL 31 MARZO

Le imprese e i professionisti con volume d’affari 2019 inferiore a 2.000.000,00 possono usufruire della proroga dei versamenti fiscali in scadenza tra l’8 marzo e il 31 marzo relativi a:

  • Iva;
  • ritenute lavoro dipendente;
  • ritenute lavoro assimilato;
  • contributi previdenziali;
  • premi INAIL.

I versamenti prorogati dovranno essere effettuati entro il 01.06.2020 in un’unica soluzione o a rate (fino ad un massimo di 5 rate mensili di pari importo).  

Esempi:

Tributo Scadenza originaria Scadenza prorogata
Liquidazione IVA mensile – Febbraio 2020 16/03/2020 01/06/2020
Saldo IVA 2019 – per i contribuenti trimestrali 16/03/2020 01/06/2020
Ritenute d’acconto – Febbraio 2020 16/03/2020 01/06/2020

Non è ancora stato previsto nulla per le prossime scadenze; siamo in attesa di nuovo decreto.

2. SOSPENSIONE DELLE CARTELLE

Sono sospesi i termini dei versamenti, in scadenza nel periodo dall’8 marzo 2020 al 31 maggio 2020, derivanti da cartelle emesse dagli agenti della riscossione, e i pagamenti dovuti a seguito di accertamenti esecutivi dell’agenzia delle Entrate, avvisi di addebito dell’Inps, atti di accertamento emessi dall’agenzia delle Dogane e atti di accertamento esecutivi emessi dagli enti locali. I versamenti sospesi dovranno essere effettuati in unica soluzione entro il 30 giugno 2020. 

3. AVVISI BONARI

Le rate degli “avvisi bonari” NON sono state sospese, quindi devono essere pagate.

4. PROROGA ADEMPIMENTI FISCALI DICHIARATIVI

Sono sospesi tutti gli adempimenti fiscali in scadenza nel periodo compreso dall’8 marzo 2020 al 31 maggio 2020.

Dalla proroga resta escluso l’invio delle CU (Certificazioni Uniche) che resta fissato al 31.03.2020.

Gli adempimenti sospesi dovranno essere effettuati entro il 30 giugno 2020.

Esempi:

Dichiarazione Scadenza originaria Scadenza prorogata
Modello IVA 2020 16/03/2020 30/06/2020
Modelli INTRA – Febbraio Marzo Aprile 25 mese successivo 30/06/2020
Comunicazioni liquidazioni periodiche IVA del 1^ trimestre 2020 31/05/2020 30/06/2020

Non è ancora stato previsto nulla per le prossime scadenze; siamo in attesa di nuovo decreto.

5. SOSTEGNO FINANZIARIO PER MICRO, PICCOLE E MEDIE IMPRESE

  • APERTURE DI CREDITO A REVOCA E ANTICIPI SU CREDITI – quelli esistenti al 29 febbraio NON possono essere revocati in tutto o in parte dall’istituto di credito fino al 30 settembre 2020;
  • PRESTITI NON RATEALI CON SCADENZA DALL’8 MARZO AL 30.09.2020 – sono prorogati, senza alcuna formalità, fino al 30 settembre 2020 alle medesime condizioni;
  • MUTUI FINANZIAMENTI E LEASING – previa comunicazione, con autocertificazione all’istituto bancario o alla società di leasing, le rate in scadenza prima del 30 settembre sono sospese sino al 30 settembre 2020. Il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione è dilazionato.

6. INDENNITA’ DI  600 EURO

E’ riconosciuta un’indennità una tantum per il mese di marzo in misura pari a €. 600 a favore:

  • dei liberi professionisti, titolari di partita IVA iscritti alla gestione separata INPS;
  • collaboratori senza partita IVA iscritti alla gestione separata INPS;
  • artigiani e commercianti.

L’indennità non concorrerà alla formazione del reddito e sarà erogata dall’Inps, previa domanda dell’interessato.

Sono esclusi dalle indennità i professionisti iscritti alle Casse di previdenza private (es. Dottori Commercialisti, Ragionieri, Consulenti del Lavoro, Avvocati, Architetti, Ingegneri, Geometri, Medici, ecc.).

7. CREDITO DI IMPOSTA PER SPESE DI SANIFICAZIONE

Per il periodo d’imposta 2020 viene riconosciuto un credito d’imposta nella misura del 50% delle spese di sanificazione degli ambienti e degli strumenti di lavoro sostenute e documentate fino ad un massimo di €. 20.000,00.

8. CREDITO DI IMPOSTA PER CANONI DI LOCAZIONE NEGOZI

Ai soggetti esercenti attività d’impresa viene riconosciuto un credito d’imposta nella misura del 60% delle spese sostenute per il canone di locazione, relativo al solo mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria C/1 (negozi e botteghe).

La misura non si applica alle attività qualificate essenziali ed indicate dal DPCM 11.03.2020 che sono rimaste aperte.

COVID-19, Conte firma il DPCM 11 marzo 2020 – Chiusura delle attività commerciali, cosa rimane aperto?

Nuove misure sono state introdotte in tutta Italia fino al 25 marzo con il decreto del Presidente del Consiglio dell’11 marzo 2020, dopo l’annuncio dell’OMS che ha definito pandemia lo stato attuale di diffusione del virus CODIV-19.

Il governo ha mirato alla chiusura degli esercizi con significativa concentrazione di popolazione e di difficile controllo e gestione quali ristoranti, bar, pub.

Il DPCM stabilisce la temporanea chiusura fino al 25 marzo su tutto il territorio nazionale delle attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e prima necessità, delle attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), delle attività inerenti i servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti).

Restano garantiti, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, i servizi bancari, finanziari, assicurativi nonché l’attività del settore agricolo e zootecnico.

Alla luce del decreto, le seguenti attività di vendita di generi alimentari e prima necessità potranno rimanere aperte:
Ipermercati
Discount di alimentari
Minimercati ed altri esercizi non specializzati di alimentari vari
Commercio al dettaglio di prodotti surgelati
Commercio al dettaglio in esercizi non specializzati di computer, periferiche, attrezzature per le telecomunicazioni, elettronica di consumo audio e video, elettrodomestici
Commercio al dettaglio di prodotti alimentari, bevande e tabacco in esercizi specializzati (codici ateco: 47.2)
Commercio al dettaglio di carburante per autotrazione in esercizi specializzati
Commercio al dettaglio apparecchiature informatiche e per le telecomunicazioni (ICT) in esercizi specializzati (codice ateco: 47.4)
Commercio al dettaglio di ferramenta, vernici, vetro piano e materiale elettrico e termoidraulico
Commercio al dettaglio di articoli igienico-sanitari
Commercio al dettaglio di articoli per l’illuminazione
Commercio al dettaglio di giornali, riviste e periodici
Farmacie
Commercio al dettaglio in altri esercizi specializzati di medicinali non soggetti a prescrizione medica
Commercio al dettaglio di articoli medicali e ortopedici in esercizi specializzati
Commercio al dettaglio di articoli di profumeria, prodotti per toletta e per l’igiene personale

Commercio al dettaglio di piccoli animali domestici
Commercio al dettaglio di materiale per ottica e fotografia
Commercio al dettaglio di combustibile per uso domestico e per riscaldamento
Commercio al dettaglio di saponi, detersivi, prodotti per la lucidatura e affini
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato via internet
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato per televisione
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto per corrispondenza, radio, telefono
Commercio effettuato per mezzo di distributori automatici.

Sono poi sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie).
Resta consentita:
La ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie
Gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande posti nelle aree di servizio e rifornimento carburante situati lungo la rete stradale, autostradale e all’interno delle stazioni ferroviarie, aeroportuali, lacustri e negli ospedali garantendo la distanza di sicurezza interpersonale di un metro.

Sono poi sospese le attività inerenti i servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetiste).
Restano consentite le seguenti attività:
Lavanderia e pulitura di articoli tessili e pelliccia
Attività delle lavanderie industriali
Altre lavanderie, tintorie
Servizi di pompe funebri e attività connesse