Secondary Meaning e Volgarizzazione del Marchio
Cosa si intende con “Marchio”? Quando lo si può registrare e quando perde di valore?
Dare una definizione di marchio è semplice, è un segno distintivo che permette di distinguere i prodotti o i servizi di un’azienda da quelli di un’altra, esempi ne abbiamo davanti agli occhi e ne ascoltiamo ogni giorno; un’immagine, un colore, un suono, tutto può essere un marchio ma a una sola condizione: che abbia una sua autonoma capacità distintiva.
Un marchio debole, come un colore, può essere registrato? Certo! Provate ad immaginare qualcosa di dolce, ora pensate al colore “lilla” e…cosa vi viene in mente? La cioccolata Milka! Il colore “lilla” della Milka è uno dei casi più famosi al mondo in cui è stato possibile registrare un colore come marchio ed è un caso scolastico di un fenomeno definito “secondary meaning”.
Recentemente la Corte di Cassazione(sez. I, n. 7738, 19/04/2016) si è espressa nuovamente per tutelare il secondary meaning, definendolo come il fenomeno mediante il quale un segno, originariamente sprovvisto di capacità distintive per genericità, mera descrittività o mancanza di originalità, acquista in seguito tali capacità, in conseguenza del consolidarsi del suo uso sul mercato, così che l’ordinamento si trova a recepire il “fatto” della acquisizione successiva di una “distintività” attraverso un meccanismo di “convalidazione” del segno.
Ci fermiamo in “Autogrill”? Me lo scrivi su un “Post-it”?
Queste domande, invece, sono due esempi del fenomeno inverso, chiamato volgarizzazione del marchio, che si concretizza quando un marchio viene utilizzato per indicare una categoria generica di beni e non più il prodotto di uno specifico imprenditore, facendogli perdere quella capacità distintiva che deve essere sempre presente per evitare la decadenza del marchio stesso.
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