Concorrenza sleale: divulgazione di informazioni sfavorevoli per un’azienda concorrente
La Suprema Corte, con una recente sentenza (Cass. Civ., sez. I, 22042/2016), ha nuovamente analizzato il delicato argomento della concorrenza sleale.
L’articolo di riferimento per lo studio della fattispecie in oggetto è il 2598 del Codice Civile, per cui “compie atti di concorrenza sleali chiunque: (omissis) 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.
Nel caso esaminato dalla Corte l’attrice chiedeva il risarcimento dei danni ex artt. 2043 e 2598, n.2 e 3 c.c., subiti per effetto di un libro scritto dal convenuto nel quale, secondo l’attrice, vi erano dichiarazioni diffamatorie che concretizzavano un comportamento di concorrenza sleale per denigrazione e pubblicità ingannevole.
Nello specifico, in tale libro, veniva sostenuto che l’attrice faceva parte di una loggia politica che le garantiva continui favori finanziari ed economici grazie alla protezione dei partiti politici e delle amministrazioni locali di uno specifico orientamento politico.
Il Tribunale e successivamente la Corte d’Appello di Milano rigettavano le richieste attoree affermando l’ “attitudine potenzialmente lesiva del libro, nelle sue diverse parti, e della campagna a sostegno”, ma ritenendo applicabile la scriminante dell’esercizio del diritto di critica e della libera manifestazione del pensiero, in forza degli artt. 21 e 9 della Costituzione e 51 c.p..
La questione giunse alla Suprema Corte la quale confermò l’orientamento consolidato, secondo il quale “per affermare la responsabilità dell’autore di opere artistiche che siano lesive della personalità di chi sia in esse menzionato, non è sufficiente che il giudice accerti la natura non veritiera dei fatti o delle circostanze riferite o che queste possano ledere la reputazione altrui”.
La ragione di questo orientamento, come statuito dalla Cassazione con sentenza n. 14822/2012, si spiega con il fatto che il compito dell’arte non deve essere considerato quello di descrivere i fatti oggettivamente ed obiettivamente, ma di “idealizzarli ed esprimerli mediante figure retoriche tendenti ad una trasfigurazione creativa, ma ciò presuppone che possa immediatamente apprezzarsene l’inverosimiglianza, cioè la manifesta difformità e lontananza della rappresentazione artistica dalla realtà”.
Tralasciando una dettagliata analisi del “diritto di critica”, argomento che esula dal presente articolo, merita attenzione invece come lo stesso sia stato rapportato dalla Suprema Corte alla concorrenza sleale.
Secondo la Corte di Cassazione il diritto di critica deve trovare un limite ove entri in conflitto con l’art. 2598 c.c. che, al numero 2, qualifica come atti di concorrenza sleale la diffusione di notizie e apprezzamenti sull’attività o sui prodotti di un concorrente.
In conclusione, la Suprema Corte ha confutato la tesi dei giudici di merito, per cui la semplice pertinenza della critica all’interesse pubblico sarebbe un elemento sufficiente per scriminarla, rendendo in tal modo legittima qualsiasi forma di aggressione all’impresa concorrente addirittura, estremizzando, se compiuta con la diffusione di informazioni false.
Gli ermellini hanno così statuito che la divulgazione di informazioni o notizie false nei confronti di un’impresa concorrente è screditante e perciò rientra nell’ambito applicativo del n.2 dell’art. 2598 c.c..
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