LA PROVA DELL’ESPORTAZIONE DI BENI: MRN E VISTO ELETTRONICO (Ivisto)

Ai sensi dell’art. 8 comma 1 del DPR 633/1972, costituiscono cessioni all’esportazione non imponibili IVA:

– lettera a): “le cessioni, anche tramite commissionari, eseguite mediante il trasporto o la spedizione di beni fuori del territorio della Comunità economica europea  a cura o a nome dei cedenti o dei commissionari, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi. I beni possono essere sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente o di terzi, a lavorazione, trasformazione, montaggio, assemblaggio o adattamento ad altri beni …”;

– lettera b): “le cessioni con trasporto o spedizione fuori dal territorio della Comunità economica europea entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto …”;

In linea di principio, in tutti i casi di cessione all’esportazione, e quindi, per beneficiare della NON imponibilità IVA, il cedente nazionale deve dimostrare l’avvenuta fuoriuscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione Europea;  deve quindi reperire la documentazione probatoria dell’avvenuta esportazione.

In particolare, fino al 2 dicembre 2024, per le esportazioni di beni (art. 8 comma 1 – lettera a e b), il cedente nazionale aveva a disposizione il “visto uscire” costituito dall’MRN (Movement Reference Number) ovvero il codice identificativo dell’esportazione ottenuto interrogando il sistema informativo nazionale delle dogane, AIDA, in tempo reale, con accesso libero.

A far data dal 2 dicembre 2024, con l’obiettivo di completare l’informatizzazione delle operazioni di esportazione e di transito, da raggiungere attraverso la reingegnerizzazione delle dogane, sono stati introdotti nuovi processi doganali tra i quali anche l’accesso al “cassetto doganale” tramite SPID, CNS o CIE per ottenere le prove di avvenuta esportazione.

Pertanto, il cedente, non più solo il dichiarante, che è colui che cura la spedizione ed il trasporto dei beni (spedizioniere), potrà scaricare direttamente i documenti di esito delle operazioni di esportazione in formato elettronico, richiedendo ed ottenendo l’Ivisto ( visto elettronico),  previa richiesta di abilitazione sul Portale Unico Dogane e Monopoli (PUDM) – “Gestione Documenti – Dichiarazioni Doganali” con accesso tramite SPID, CNS o CIE (https://www.adm.gov.it/portale/modalita-di-accesso-ai-servizi).

In sostanza, la differenza tra le due modalità si pone in termini di certezza, in quanto il cedente nazionale, nel proprio “cassetto doganale” sul portale ADM, troverà soltanto i visti elettronici riferiti alle dichiarazioni doganali di esportazione effettuate in nome e per conto proprio.

Il visto elettronico (Ivisto) infatti,  permette al cedente nazionale, munito dell’MRN, di verificare la regolare e tempestiva uscita dei beni dal territorio comunitario ma anche di scongiurare qualsiasi rischio di errore in quanto è relativo alle operazioni di esportazione legate esclusivamente alla partita IVA del cedente.

Poichè la normativa richiede mezzi di prova incontrovertibili e certi, e l’assenza di documentazione probatoria non può essere addebitata né agli Uffici dell’Amministrazione Finanziaria, né ad eventuali terzi (es. spedizioniere), è onere esclusivo del cedente nazionale attivarsi tempestivamente e con la diligenza prevista per acquisire e conservare le prove del caso.

Segnaliamo infine, che, nelle ipotesi di assenza di documentazione probatoria, è riservata al cedente nazionale la facoltà di attivarsi anche con gli uffici doganali, al fine di richiedere e sollecitare le informazioni circa lo stato della propria esportazione.

La procedura sopra delineata è la medesima di quella individuata per l’import, ove è previsto che l’operatore  ottenga la dichiarazione doganale di importazione (prospetto contabile, di sintesi e di svincolo) attraverso l’accesso al proprio “cassetto doganale” presente nella propria area riservata sul PUDM (Portale Unico Dogane e Monopoli).

L’AMMISSIONE DELL’INTERVENTO DELLE ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA NEL GIUDIZIO INCIDENTALE AVANTI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA U.E. SULLA LEGITTIMITÀ EURO-UNIONALE DELLO STAFF LEASING

I crediti di carbonio: una risorsa fondamentale per la sostenibilità ambientale e l’innovazione economica.

ANIMUS DONANDI E FORMA SOLENNE NELLE DONAZIONI IN DENARO

Lo Studio legale Wise Legal & Tax, con l’Avv. Riccardo Rocca e l’Avv. Andrea Rinaldi, ha recentemente ottenuto dalla Corte di Cassazione, Sez. 2, con l’ordinanza n. 982/2024 pubblicata il 10/01/2024, un’interessante pronuncia in materia di animus donandi e di “natura” (diretta o indiretta) delle donazioni in denaro di non modico valore e conseguenti requisiti di forma.

La pronuncia, che ribalta le decisioni precedentemente assunte dal Tribunale di Padova (sent. n. 2361/2016) e dalla Corte d’Appello di Venezia (sent. n. 1572/2018), è relativa alla vicenda del figlio di un noto professionista che, alla morte del padre, ha chiesto che i denari da questo donati in vita alla seconda moglie, fossero ricondotti all’asse ereditario e dunque assegnati a lui quale unico erede, in virtù della denunciata nullità delle donazioni stesse per difetto sia dell’animus donandi del disponente, trattandosi in realtà di intestazioni fiduciarie cui era sotteso un pactum fiduciae di loro restituzione, che della forma solenne dell’atto pubblico, essendo esse avvenute mediante semplici bonifici bancari da conti già intestati al padre a conti intestati o cointestati alla seconda moglie, senza costituire un nuovo rapporto bancario o modificarne uno preesistente e senza l’indicazione di specifiche causali.

La Corte di Cassazione, in particolare, ha stabilito anzitutto che l’essenza della donazione, come ricavabile dall’art. 769 c.c., sta nel fatto che, per puro spirito di liberalità, una persona operi una diminuzione del proprio patrimonio e un incremento del patrimonio di un’altra, precisando inoltre che tale istituto si caratterizza non soltanto per l’elemento oggettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione, ma anche per la concorrente sussistenza dell’elemento soggettivo, ossia lo spirito di liberalità, cosiddetto animus donandi (Cass., Sez. 1, 11/3/1996, n. 2001): ebbene, il detto animus donandi, che partecipa della causa del contratto come qualificazione in senso soggettivo della gratuità, consiste nella consapevolezza, da parte del donante, di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale in assenza di un obbligo giuridico, extragiuridico o morale (Cass., Sez. 1, 11/03/1996, n. 2001; Cass., Sez. 1, 05/12/1998, n. 12325; Cass., Sez. 2, 21/05/2012, n. 8018) e, dunque, di agire a titolo di mera spontanea elargizione fine a sé stessa (Cass., Sez. 2, 18/02/1977, n. 737; Cass., Sez. 2, 28/08/2008, n. 21781), senza che debba necessariamente essere caratterizzato dall’intento benefico o altruistico, senza necessità di una diversa manifestazione specifica, identificandosi con l’obiettiva gratuità dell’attribuzione considerata ex parte donantis (Cass., Sez. 2, 24/07/1965, n. 1728; Cass., Sez. 3, 26/01/1980, n. 651) e senza, infine, che assumano alcun rilievo le spinte motivazionali del donante, le quali, anzi, quando non integrino ipotesi di adempimento a un obbligo giuridico o a una costrizione morale, mantengono valenza neutra rispetto a quella causale dell’atto di liberalità; sicché, tra l’altro, l’assenza del requisito dell’animus donandi non può essere tratta da documenti esterni rispetto all’atto pubblico che, sotto pena di nullità, dispone la donazione, dovendo semmai tale assenza emergere dall’atto stesso (Cass., Sez. 2, 28/02/2018, n. 4682, in motivazione), e dovendo presumersi la sua sussistenza quando l’attribuzione avvenga senza corrispettivo e senza costituire adempimento di un’obbligazione, neppure morale o etica (Cass., Sez. 2, 19/03/1998, n. 2912).

Inoltre, la Corte di Cassazione, accogliendo appieno le tesi difensive degli Avvocati di Wise, ha confermato con estrema chiarezza un orientamento – che, a partire da Cass., Sez. unite, 27/07/2017, n. 18725, è andato consolidandosi (ad esempio, Cass., Sez. 2, 19/8/2021, n. 23127) ed è stato confermato ancor più recentemente (Cass., Sez. 5, 20/03/2024, n. 7442, seppure nello specifico contesto tributario), ma che, in precedenza, aveva visto numerose sentenze nella stessa linea (ad esempio, Cass., Sez. 2, 30/07/1990, n. 7647; Cass., Sez. 2, 06/11/2008, n. 26746), ma altre contrarie (ad esempio, Cass., Sez. 2, 24/06.2016, n. 13133) –, secondo cui il trasferimento a titolo liberale di denaro, attuato attraverso un ordine di bonifico o bancogiro del disponente dal suo conto bancario a quello del beneficiario, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica (cioè diretta), sebbene ad esecuzione indiretta, e soggetta in quanto tale alla forma dell’atto pubblico notarile, salvo che sia di modico valore, poiché realizzata non tramite un’operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un’intermediazione gestoria dell’ente creditizio: infatti, l’operazione bancaria tra il donante ed il donatario costituisce mero adempimento di un distinto accordo negoziale fra loro concluso e ad essa rimasto esterno, il quale realizza il passaggio immediato di valori da un patrimonio all’altro, sicché è da escludersi la configurabilità di un contratto in favore di terzo (che, invero, se fosse tale, costituirebbe donazione indiretta), in quanto, da un lato, il patrimonio della banca rappresenta una “zona di transito” tra l’ordinante ed il destinatario, non direttamente coinvolta nel processo attributivo, e, dall’altro, il beneficiario non acquista alcun diritto verso l’istituto di credito in seguito al contratto fra quest’ultimo e l’ordinante (in tal senso, si pronuncia anche la precitata Cass., Sez. unite, 27/07/2017, n. 18725).

Tale soluzione, in definitiva, ha smentito il diverso orientamento che riteneva indiretto l’atto di liberalità in quanto eseguito attraverso un mezzo, il bancogiro, diverso dal contratto di donazione e, dunque, sottratto all’obbligo di forma solenne notarile, evidenziando invece come l’operazione bancaria in adempimento dell’ordine del  beneficiante svolga in realtà una funzione esecutiva di un atto negoziale ad esso esterno, intercorrente tra il beneficiante stesso e il beneficiario, il quale soltanto è in grado di giustificare gli effetti del trasferimento di valori da un patrimonio all’altro, sicché l’attribuzione patrimoniale in discorso costituisce, appunto, una donazione diretta ad esecuzione indiretta, mentre solo nell’ipotesi di costituzione di un nuovo rapporto bancario, o di modifica di un preesistente rapporto che diventi cointestato al donatario, può invece ravvisarsi una donazione indiretta (Cass., Sez. 2, 04/05/2012, n.6784; Cass., Sez. 2, 28/02/2018, n. 4682). E, peraltro, negli stessi termini, in ipotesi analoga, si era espressa di recente anche la precitata Cass., Sez. 2, 19/08/2021, n. 23127, che ha ritenuto costituire donazione diretta, soggetta in quanto tale al vincolo di forma nel rapporto base tra il tradens e l’accipiens, e non liberalità atipica, il trasferimento donationis causa di titoli di credito astratti, essendo gli stessi suscettibili di realizzare in modo diretto qualsiasi scopo voluto dalle parti.

Nel caso in questione, invece, non solo la Corte d’Appello di Venezia non aveva distinto tra le singole operazioni esaminate, che anzi neppure descriveva, limitandosi a indicarle con la locuzione del tutto generica di “passaggi di denaro” tra il de cuius e la di lui seconda moglie, ma anche, citava precedenti giurisprudenziali inconferenti, perché relativi a differenti ipotesi in cui l’arricchimento non era prodotto direttamente dall’operazione compiuta, di cui costituisse lo scopo, ma rappresentava invece soltanto l’effetto indiretto di un’operazione trilaterale di movimentazione finanziaria con l’intermediazione dell’Ente creditizio, come in caso di cointestazione, con firma disgiunta, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito e appartenuta ad uno solo dei cointestatari (così Cass., Sez. 2, 12/11/2008, n. 26983) o di cointestazione di buoni postali fruttiferi (Cass., Sez. 2, 09/05/2013, n. 10991).

Pertanto, in conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso degli Avvocati dello Studio Wise, ha annullato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla stessa Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, affinché rivaluti la validità, sotto il profilo del rispetto del requisito di forma, dei singoli atti di liberalità posti in essere dal de cuius in favore della seconda moglie, a seconda della rispettiva natura da valutarsi alla luce dei principi suddetti.

Padova, l’avvocato, la vedova e l’eredità contesa al figlio: la dinasty dei Ronchitelli e una battaglia legale che dura da 15 anni

Legittimo il recesso del socio di minoranza di fronte ad una modifica sostanziale e non formale dell’attività economica della società