Legittimo il recesso del socio di minoranza di fronte ad una modifica sostanziale e non formale dell’attività economica della società

La Corte di Cassazione si pronuncia sulle condizioni per la responsabilità di amministratori e soci di società di capitale per i debiti fiscali

Greatview Aseptic Packaging e Alternapak Production Srl comunicano di aver concluso l’operazione di acquisizione dell’azienda di Alternapak Production Srl nello stabilimento di San Pietro in Gu

La Corte d’Appello di Trieste conferma il rimborso dell’addizionale all’accisa sull’energia elettrica

Lo Studio legale Wise, con l’Avv. Riccardo Rocca e l’Avv. Andrea Rinaldi, ha ottenuto dalla Corte di Appello di Trieste, con sentenza n. 296/2022, la conferma della condanna di un’Azienda fornitrice di energia elettrica a rimborsare al consumatore finale l’importo addebitatogli a titolo di addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, già pronunciata dal Tribunale della stessa città.

In particolare, l’Azienda fornitrice aveva impugnato la condanna di primo grado sostenendo, da un lato, la legittimità della norma impositiva in quanto l’addizionale provinciale all’accisa sarebbe in realtà la medesima imposta rispetto all’accisa “base”, con la conseguenza non troverebbe applicazione, nel caso di specie, il divieto stabilito dalla normativa U.E. di applicare, ai prodotti sottoposti ad accisa, “altre” imposte indirette tranne che abbiano finalità specifiche; e sostenendo inoltre, dall’altro lato, la mancanza di effetti extraprocessuali delle sentenze della Corte di Giustizia U.E. in base alle quale il consumatore finale (e il Giudice di primo grado) avevano affermato la contrarietà al Diritto U.E. della norma impositiva italiana, nonché più in generale l’inefficacia orizzontale, cioè nei rapporti tra privati, delle direttive europee.

La Corte d’Appello, invece, accogliendo integralmente le difese dello Studio legale Wise, ha respinto l’appello dell’Azienda fornitrice con le seguenti motivazioni:

  • quanto alla pretesa legittimità dell’imposta, la Corte d’Appello ha affermato che «nessuno degli argomenti svolti dall’appellante consente di dubitare dell’esattezza della ricostruzione in forza della quale la Cassazione ha posto il principio di diritto che l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica… è contrastante con l’art. 1, § 2, della direttiva n. 2008/118/CE, per come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia della UE»;
  • quanto alla legittimazione del consumatore a chiedere il rimborso in questione all’Azienda fornitrice, la Corte d’Appello ha affermato che «il consumatore finale dell’energia elettrica, a cui siano state addebitate le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all’art. 6 comma 3 D.L. 511/1998 da parte del fornitore, può agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione di indebito»;
  • quanto alla pretesa “inefficacia orizzontale” delle Direttive, la Corte d’Appello ha affermato che «il consumatore finale non chiede nei confronti del fornitore la disapplicazione della disciplina di diritto interno in materia di addizionali sulle accise per contrasto con il diritto unionale sulla base di una inesistente efficacia orizzontale tra privati delle direttive della UE, ma chiede piuttosto la restituzione dell’indebito pagamento da lui eseguito; la natura indebita del pagamento discende dall’illegittimità dell’atto impositivo per contrarietà della norma nazionale alla direttiva, nel senso che il fornitore non aveva titolo per riversare sul consumatore finale l’importo dell’accisa, in quanto non dovuta dal fornitore all’ente impositore, e il giudice ordinario ha il potere di disapplicare l’atto impositivo illegittimo»;
  • quanto, infine, alle spese di lite, la Corte d’Appello ha affermato che «la necessità per l’Azienda fornitrice della propria condanna in giudizio al fine di potere richiedere il rimborso all’Ente impositore non incide sul fatto che il consumatore, in quanto a sua volta costretto ad agire in giudizio, abbia diritto a ottenere la rifusione anche delle spese che ha affrontato per ottenere il riconoscimento del proprio diritto … Si esclude che, a fronte del consolidarsi dell’indirizzo della Cassazione che è stato richiamato, ricorra quell’incertezza giurisprudenziale alla quale fa riferimento l’appellante per ottenere la compensazione delle spese di lite. Si esclude altresì che sia il disposto dell’art. 14 D.P.R. 504/1995 a giustificare la compensazione, in quanto alle osservazioni già svolte deve essere aggiunto il rilievo che la disposizione, nel fare decorrere dalla pronuncia passata in giudicato il termine di decadenza per chiedere il rimborso da parte del fornitore, non imponeva la proposizione dell’appello».

Pertanto, in conclusione, la Corte d’Appello di Trieste ha confermato la condanna dell’Azienda fornitrice di energia elettrica a rimborsare al consumatore finale la somma di euro 25.293,62 oltre agli interessi moratori al tasso legale e alle spese di causa.

Anche il Tribunale di Milano conferma il diritto al rimborso dell’addizionale all’accisa sull’energia elettrica (e respinge molte consuete eccezioni avversarie)

Sospensione della provvisoria esecutorietà del provvedimento monitorio in ambito di fidejussione

Lo studio legale Wise, con l’Avv. Veronica Destro, ottiene la sospensione della provvisoria esecutorietà di un provvedimento monitorio ottenuto da primario istituto di credito per nullità della fidejussione omnibus sottoscritta dall’ingiunto.

In particolare in accoglimento, sebbene in via di delibazione sommaria, delle censure sollevate dall’attore opponente, il giudice patavino ha ritenuto l’opposizione plausibilmente fondata sulla scorta della nullità parziale della garanzia personale rilasciata dall’ingiunto per violazione della normativa antitrust, così come rilevato con il noto provvedimento di Banca d’Italia del 2005. Tale nullità parziale, travolgendo la clausola di deroga ai termini ex art. 1957 c.c., ha infatti determinato l’estinzione della fidejussione per decadenza dal potere di azione della banca la quale non si è attivata nei confronti del debitore principale nel termine semestrale prescritto dalla norma.

Responsabilità medica per errato trattamento di una frattura/lussazione del gomito riportata da un bambino di undici anni

Lo studio legale ha ottenuto il risarcimento dei danni (euro 25.000) subiti da un bambino di unici anni che, a seguito di una caduta in bicicletta, si procurava una frattura/lussazione al gomito destro, trattata con la riduzione incruenta anziché con la riduzione chirurgica mediante placca e filo di K.

A causa dell’errore professionale, il paziente riportava postumi invalidanti permanenti e non riacquistava la piena funzionalità dell’articolazione del gomito destro.

Il caso di malpractice

Il caso riguarda un bambino di undici anni, che, a seguito di una caduta in bicicletta, veniva portato al locale pronto soccorso, dove veniva diagnosticata la frattura e la lussazione del gomito destro, che veniva immobilizzato in doccia di posizione.  Il paziente veniva, quindi, trasferito presso un altro ospedale del territorio, dove veniva sottoposto in urgenza a riduzione incruenta e confezionamento di doccia gessata. Dopo la rimozione del gesso, poiché il bambino accusava rigidità del gomito, veniva sottoposto ad ulteriori esami presso un’altra struttura ospedaliera, dove, accertate le gravi limitazioni funzionali dell’articolazione del gomito destro, “guarito in viziosa posizione”, veniva consigliato l’intervento chirurgico di riallineamento con sintesi del capitello radiale. Veniva, quindi, eseguito un intervento di osteotomia correttiva del radio e sintesi con filo di K e placca-viti e a rieducazione funzionale.

Le conseguenze della negligenza dei sanitari

Il consulente medico legale di parte, all’esito del lungo periodo di cure ed interventi chirurgici, accertava una riduzione dell’iperestensione fisiologica dell’avambraccio, un deficit di 10° della flessione dell’avambraccio e prono-supinazione quasi abolita. Il professionista ravvisava un errore professionale in occasione del primo trattamento della frattura-lussazione del gomito destro: la lesione subita dal paziente richiedeva sin dall’inizio un intervento di riduzione chirurgica della frattura mediante placca e filo di K, non la riduzione incruenta. Tale tipo di intervento avrebbe evitato i successivi ricoveri per sintetizzazione chirurgica della frattura e per asportazione dell’ossificazione eterotopico-anchilosante e con buona probabilità avrebbe evitato anche discreta parte della rigidità articolare oggi presente, riducendo altresì gli esiti cicatriziali.

Il medico legale accertava, quindi, che le conseguenze derivate dalla condotta censurabile dell’ortopedico che eseguiva il primo intervento determinavano un danno biologico permanente del 10-12%, oltre al danno biologico temporaneo.

Le trattative e la risoluzione dell’episodio di malasanità

Istruito il caso, lo Studio formalizzava una richiesta risarcitoria in via stragiudiziale nei confronti dell’azienda sanitaria che per prima aveva avuto in cura il bambino, quantificando i danni di natura patrimoniale e non patrimoniale patiti dal paziente.

Le trattative duravano qualche mese e non portavano ad una soluzione della vertenza, poiché la   controparte si ostinava a negare la sussistenza della responsabilità.

Si decideva, pertanto, di procedere con il deposito di un ricorso ex art. 696 bis c.p.c., non essendovi ancora l’obbligo, imposto dalla successiva legge Gelli Bianco, di precedere ex art. 702 bis c.p.c.

Incardinato il giudizio nei confronti dell’azienda sanitaria, che chiamava in causa la compagnia di assicurazioni, veniva disposta una consulenza tecnica d’ufficio.

Il procedimento, agli esiti della CTU, che confermava la responsabilità del personale sanitario, si concludeva con una transazione con un risarcimento dei danni per malasanità pari ad euro 25.000, corrisposti dalla compagnia assicurativa.

La responsabilità ospedaliera per l’inserimento tardivo nella lista trapianti

Lo studio legale ha ottenuto il risarcimento dei danni (euro 60.000,00) subiti da una donna di 43 anni a cui era stata diagnosticata una leucemia degenerativa cronica. Il reparto ospedaliero di Oncologia ed Ematologia in cui era ricoverata le aveva garantito l’inserimento immediato nella lista trapianti di midollo auspicandosi altresì di trovare nel più breve tempo possibile un donatore con lei compatibile. Solo grazie ad un successivo consulto in una struttura privata, però, venne reso noto alla famiglia l’assoluta inesistenza del nominativo nella predetta lista. Lo studio legale si è pertanto occupato di ottenere un giusto risarcimento del danno per il marito e per la figlia della donna che, a causa di tale negligenza, hanno visto la propria cara perdere la vita.

Il caso

Nel novembre 2007 una giovane donna e madre veniva ricoverata presso l’ospedale di N. dove le veniva diagnosticata la Leucemia degenerativa cronica. Durante il ricovero le veniva imposto un immediato ciclo chemioterapico nonché, ove possibile, un trapianto allogenico di midollo. Dopo un mese, il Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Oncologica dell’ospedale di N. informò la paziente dell’inserimento della stessa nel registro MUD per trapianto allogenico di midollo.

Nell’agosto 2008 la donna si rivolgeva, per un secondo consulto, alla Fondazione I. dove venne informata che, diversamente da quello che le era stato prospettato, non era stata inserita in alcuna lista: fu quindi premura della Fondazione, nel mese di settembre, attivare la ricerca di cellule staminali compatibili con la paziente.

Tuttavia, a causa del male incurabile, la donna morì il 29.04.2009 all’età di 43 anni.

L’intervento dello studio Wise

Il marito, a seguito della triste vicenda, si rivolgeva allo studio legale affinché fossero soddisfatte le sue pretese risarcitorie (nonché quelle della figlia minorenne), per la negligente omissione dell’Azienda Ospedaliera colpevole di aver determinato otto mesi di ritardo nell’inserimento della paziente nella lista nazionale trapianti.

Veniva così richiesta una perizia medico legale, effettuata con l’ausilio di specialisti nel settore ematologo oncologico, dalla quale emergeva che solo un trapianto allogenico di midollo osseo avrebbe potuto aumentare le chance terapeutiche della paziente, sebbene il suo stato di salute fosse comunque compromesso.

Alla luce di quanto detto e del fatto che i tempi medi per reperire un donatore compatibile di midollo osseo oscillano statisticamente tra un minimo di 35 giorni fino ad un massimo di 6 anni, la cartella clinica della paziente venne attentamente vagliata e ne derivò che il ritardo con cui la paziente venne inserita nelle liste trapianti fu una mera concausa dell’evento morte e non ragione esclusiva, unica e determinante del decesso della paziente.

La definizione stragiudiziale della vertenza

 A seguito di una trattativa stragiudiziale serrata da parte dello studio legale, la compagnia assicuratrice del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia, pur disconoscendo qualsiasi tipo di responsabilità nell’operato della struttura ospedaliera, pro bono pacis presentò offerta transattiva per un importo complessivo pari ad euro 60.000,00, di cui 25.000,00 per la figlia minorenne della donna.