ANIMUS DONANDI E FORMA SOLENNE NELLE DONAZIONI IN DENARO

Lo Studio legale Wise Legal & Tax, con l’Avv. Riccardo Rocca e l’Avv. Andrea Rinaldi, ha recentemente ottenuto dalla Corte di Cassazione, Sez. 2, con l’ordinanza n. 982/2024 pubblicata il 10/01/2024, un’interessante pronuncia in materia di animus donandi e di “natura” (diretta o indiretta) delle donazioni in denaro di non modico valore e conseguenti requisiti di forma.

La pronuncia, che ribalta le decisioni precedentemente assunte dal Tribunale di Padova (sent. n. 2361/2016) e dalla Corte d’Appello di Venezia (sent. n. 1572/2018), è relativa alla vicenda del figlio di un noto professionista che, alla morte del padre, ha chiesto che i denari da questo donati in vita alla seconda moglie, fossero ricondotti all’asse ereditario e dunque assegnati a lui quale unico erede, in virtù della denunciata nullità delle donazioni stesse per difetto sia dell’animus donandi del disponente, trattandosi in realtà di intestazioni fiduciarie cui era sotteso un pactum fiduciae di loro restituzione, che della forma solenne dell’atto pubblico, essendo esse avvenute mediante semplici bonifici bancari da conti già intestati al padre a conti intestati o cointestati alla seconda moglie, senza costituire un nuovo rapporto bancario o modificarne uno preesistente e senza l’indicazione di specifiche causali.

La Corte di Cassazione, in particolare, ha stabilito anzitutto che l’essenza della donazione, come ricavabile dall’art. 769 c.c., sta nel fatto che, per puro spirito di liberalità, una persona operi una diminuzione del proprio patrimonio e un incremento del patrimonio di un’altra, precisando inoltre che tale istituto si caratterizza non soltanto per l’elemento oggettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione, ma anche per la concorrente sussistenza dell’elemento soggettivo, ossia lo spirito di liberalità, cosiddetto animus donandi (Cass., Sez. 1, 11/3/1996, n. 2001): ebbene, il detto animus donandi, che partecipa della causa del contratto come qualificazione in senso soggettivo della gratuità, consiste nella consapevolezza, da parte del donante, di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale in assenza di un obbligo giuridico, extragiuridico o morale (Cass., Sez. 1, 11/03/1996, n. 2001; Cass., Sez. 1, 05/12/1998, n. 12325; Cass., Sez. 2, 21/05/2012, n. 8018) e, dunque, di agire a titolo di mera spontanea elargizione fine a sé stessa (Cass., Sez. 2, 18/02/1977, n. 737; Cass., Sez. 2, 28/08/2008, n. 21781), senza che debba necessariamente essere caratterizzato dall’intento benefico o altruistico, senza necessità di una diversa manifestazione specifica, identificandosi con l’obiettiva gratuità dell’attribuzione considerata ex parte donantis (Cass., Sez. 2, 24/07/1965, n. 1728; Cass., Sez. 3, 26/01/1980, n. 651) e senza, infine, che assumano alcun rilievo le spinte motivazionali del donante, le quali, anzi, quando non integrino ipotesi di adempimento a un obbligo giuridico o a una costrizione morale, mantengono valenza neutra rispetto a quella causale dell’atto di liberalità; sicché, tra l’altro, l’assenza del requisito dell’animus donandi non può essere tratta da documenti esterni rispetto all’atto pubblico che, sotto pena di nullità, dispone la donazione, dovendo semmai tale assenza emergere dall’atto stesso (Cass., Sez. 2, 28/02/2018, n. 4682, in motivazione), e dovendo presumersi la sua sussistenza quando l’attribuzione avvenga senza corrispettivo e senza costituire adempimento di un’obbligazione, neppure morale o etica (Cass., Sez. 2, 19/03/1998, n. 2912).

Inoltre, la Corte di Cassazione, accogliendo appieno le tesi difensive degli Avvocati di Wise, ha confermato con estrema chiarezza un orientamento – che, a partire da Cass., Sez. unite, 27/07/2017, n. 18725, è andato consolidandosi (ad esempio, Cass., Sez. 2, 19/8/2021, n. 23127) ed è stato confermato ancor più recentemente (Cass., Sez. 5, 20/03/2024, n. 7442, seppure nello specifico contesto tributario), ma che, in precedenza, aveva visto numerose sentenze nella stessa linea (ad esempio, Cass., Sez. 2, 30/07/1990, n. 7647; Cass., Sez. 2, 06/11/2008, n. 26746), ma altre contrarie (ad esempio, Cass., Sez. 2, 24/06.2016, n. 13133) –, secondo cui il trasferimento a titolo liberale di denaro, attuato attraverso un ordine di bonifico o bancogiro del disponente dal suo conto bancario a quello del beneficiario, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica (cioè diretta), sebbene ad esecuzione indiretta, e soggetta in quanto tale alla forma dell’atto pubblico notarile, salvo che sia di modico valore, poiché realizzata non tramite un’operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un’intermediazione gestoria dell’ente creditizio: infatti, l’operazione bancaria tra il donante ed il donatario costituisce mero adempimento di un distinto accordo negoziale fra loro concluso e ad essa rimasto esterno, il quale realizza il passaggio immediato di valori da un patrimonio all’altro, sicché è da escludersi la configurabilità di un contratto in favore di terzo (che, invero, se fosse tale, costituirebbe donazione indiretta), in quanto, da un lato, il patrimonio della banca rappresenta una “zona di transito” tra l’ordinante ed il destinatario, non direttamente coinvolta nel processo attributivo, e, dall’altro, il beneficiario non acquista alcun diritto verso l’istituto di credito in seguito al contratto fra quest’ultimo e l’ordinante (in tal senso, si pronuncia anche la precitata Cass., Sez. unite, 27/07/2017, n. 18725).

Tale soluzione, in definitiva, ha smentito il diverso orientamento che riteneva indiretto l’atto di liberalità in quanto eseguito attraverso un mezzo, il bancogiro, diverso dal contratto di donazione e, dunque, sottratto all’obbligo di forma solenne notarile, evidenziando invece come l’operazione bancaria in adempimento dell’ordine del  beneficiante svolga in realtà una funzione esecutiva di un atto negoziale ad esso esterno, intercorrente tra il beneficiante stesso e il beneficiario, il quale soltanto è in grado di giustificare gli effetti del trasferimento di valori da un patrimonio all’altro, sicché l’attribuzione patrimoniale in discorso costituisce, appunto, una donazione diretta ad esecuzione indiretta, mentre solo nell’ipotesi di costituzione di un nuovo rapporto bancario, o di modifica di un preesistente rapporto che diventi cointestato al donatario, può invece ravvisarsi una donazione indiretta (Cass., Sez. 2, 04/05/2012, n.6784; Cass., Sez. 2, 28/02/2018, n. 4682). E, peraltro, negli stessi termini, in ipotesi analoga, si era espressa di recente anche la precitata Cass., Sez. 2, 19/08/2021, n. 23127, che ha ritenuto costituire donazione diretta, soggetta in quanto tale al vincolo di forma nel rapporto base tra il tradens e l’accipiens, e non liberalità atipica, il trasferimento donationis causa di titoli di credito astratti, essendo gli stessi suscettibili di realizzare in modo diretto qualsiasi scopo voluto dalle parti.

Nel caso in questione, invece, non solo la Corte d’Appello di Venezia non aveva distinto tra le singole operazioni esaminate, che anzi neppure descriveva, limitandosi a indicarle con la locuzione del tutto generica di “passaggi di denaro” tra il de cuius e la di lui seconda moglie, ma anche, citava precedenti giurisprudenziali inconferenti, perché relativi a differenti ipotesi in cui l’arricchimento non era prodotto direttamente dall’operazione compiuta, di cui costituisse lo scopo, ma rappresentava invece soltanto l’effetto indiretto di un’operazione trilaterale di movimentazione finanziaria con l’intermediazione dell’Ente creditizio, come in caso di cointestazione, con firma disgiunta, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito e appartenuta ad uno solo dei cointestatari (così Cass., Sez. 2, 12/11/2008, n. 26983) o di cointestazione di buoni postali fruttiferi (Cass., Sez. 2, 09/05/2013, n. 10991).

Pertanto, in conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso degli Avvocati dello Studio Wise, ha annullato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla stessa Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, affinché rivaluti la validità, sotto il profilo del rispetto del requisito di forma, dei singoli atti di liberalità posti in essere dal de cuius in favore della seconda moglie, a seconda della rispettiva natura da valutarsi alla luce dei principi suddetti.

Legittimo il recesso del socio di minoranza di fronte ad una modifica sostanziale e non formale dell’attività economica della società

La Corte di Cassazione si pronuncia sulle condizioni per la responsabilità di amministratori e soci di società di capitale per i debiti fiscali

Greatview Aseptic Packaging e Alternapak Production Srl comunicano di aver concluso l’operazione di acquisizione dell’azienda di Alternapak Production Srl nello stabilimento di San Pietro in Gu

La Corte d’Appello di Trieste conferma il rimborso dell’addizionale all’accisa sull’energia elettrica

Lo Studio legale Wise, con l’Avv. Riccardo Rocca e l’Avv. Andrea Rinaldi, ha ottenuto dalla Corte di Appello di Trieste, con sentenza n. 296/2022, la conferma della condanna di un’Azienda fornitrice di energia elettrica a rimborsare al consumatore finale l’importo addebitatogli a titolo di addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, già pronunciata dal Tribunale della stessa città.

In particolare, l’Azienda fornitrice aveva impugnato la condanna di primo grado sostenendo, da un lato, la legittimità della norma impositiva in quanto l’addizionale provinciale all’accisa sarebbe in realtà la medesima imposta rispetto all’accisa “base”, con la conseguenza non troverebbe applicazione, nel caso di specie, il divieto stabilito dalla normativa U.E. di applicare, ai prodotti sottoposti ad accisa, “altre” imposte indirette tranne che abbiano finalità specifiche; e sostenendo inoltre, dall’altro lato, la mancanza di effetti extraprocessuali delle sentenze della Corte di Giustizia U.E. in base alle quale il consumatore finale (e il Giudice di primo grado) avevano affermato la contrarietà al Diritto U.E. della norma impositiva italiana, nonché più in generale l’inefficacia orizzontale, cioè nei rapporti tra privati, delle direttive europee.

La Corte d’Appello, invece, accogliendo integralmente le difese dello Studio legale Wise, ha respinto l’appello dell’Azienda fornitrice con le seguenti motivazioni:

  • quanto alla pretesa legittimità dell’imposta, la Corte d’Appello ha affermato che «nessuno degli argomenti svolti dall’appellante consente di dubitare dell’esattezza della ricostruzione in forza della quale la Cassazione ha posto il principio di diritto che l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica… è contrastante con l’art. 1, § 2, della direttiva n. 2008/118/CE, per come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia della UE»;
  • quanto alla legittimazione del consumatore a chiedere il rimborso in questione all’Azienda fornitrice, la Corte d’Appello ha affermato che «il consumatore finale dell’energia elettrica, a cui siano state addebitate le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all’art. 6 comma 3 D.L. 511/1998 da parte del fornitore, può agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione di indebito»;
  • quanto alla pretesa “inefficacia orizzontale” delle Direttive, la Corte d’Appello ha affermato che «il consumatore finale non chiede nei confronti del fornitore la disapplicazione della disciplina di diritto interno in materia di addizionali sulle accise per contrasto con il diritto unionale sulla base di una inesistente efficacia orizzontale tra privati delle direttive della UE, ma chiede piuttosto la restituzione dell’indebito pagamento da lui eseguito; la natura indebita del pagamento discende dall’illegittimità dell’atto impositivo per contrarietà della norma nazionale alla direttiva, nel senso che il fornitore non aveva titolo per riversare sul consumatore finale l’importo dell’accisa, in quanto non dovuta dal fornitore all’ente impositore, e il giudice ordinario ha il potere di disapplicare l’atto impositivo illegittimo»;
  • quanto, infine, alle spese di lite, la Corte d’Appello ha affermato che «la necessità per l’Azienda fornitrice della propria condanna in giudizio al fine di potere richiedere il rimborso all’Ente impositore non incide sul fatto che il consumatore, in quanto a sua volta costretto ad agire in giudizio, abbia diritto a ottenere la rifusione anche delle spese che ha affrontato per ottenere il riconoscimento del proprio diritto … Si esclude che, a fronte del consolidarsi dell’indirizzo della Cassazione che è stato richiamato, ricorra quell’incertezza giurisprudenziale alla quale fa riferimento l’appellante per ottenere la compensazione delle spese di lite. Si esclude altresì che sia il disposto dell’art. 14 D.P.R. 504/1995 a giustificare la compensazione, in quanto alle osservazioni già svolte deve essere aggiunto il rilievo che la disposizione, nel fare decorrere dalla pronuncia passata in giudicato il termine di decadenza per chiedere il rimborso da parte del fornitore, non imponeva la proposizione dell’appello».

Pertanto, in conclusione, la Corte d’Appello di Trieste ha confermato la condanna dell’Azienda fornitrice di energia elettrica a rimborsare al consumatore finale la somma di euro 25.293,62 oltre agli interessi moratori al tasso legale e alle spese di causa.

Anche il Tribunale di Milano conferma il diritto al rimborso dell’addizionale all’accisa sull’energia elettrica (e respinge molte consuete eccezioni avversarie)

Sospensione della provvisoria esecutorietà del provvedimento monitorio in ambito di fidejussione

Lo studio legale Wise, con l’Avv. Veronica Destro, ottiene la sospensione della provvisoria esecutorietà di un provvedimento monitorio ottenuto da primario istituto di credito per nullità della fidejussione omnibus sottoscritta dall’ingiunto.

In particolare in accoglimento, sebbene in via di delibazione sommaria, delle censure sollevate dall’attore opponente, il giudice patavino ha ritenuto l’opposizione plausibilmente fondata sulla scorta della nullità parziale della garanzia personale rilasciata dall’ingiunto per violazione della normativa antitrust, così come rilevato con il noto provvedimento di Banca d’Italia del 2005. Tale nullità parziale, travolgendo la clausola di deroga ai termini ex art. 1957 c.c., ha infatti determinato l’estinzione della fidejussione per decadenza dal potere di azione della banca la quale non si è attivata nei confronti del debitore principale nel termine semestrale prescritto dalla norma.

Responsabilità medica per errato trattamento di una frattura/lussazione del gomito riportata da un bambino di undici anni

Lo studio legale ha ottenuto il risarcimento dei danni (euro 25.000) subiti da un bambino di unici anni che, a seguito di una caduta in bicicletta, si procurava una frattura/lussazione al gomito destro, trattata con la riduzione incruenta anziché con la riduzione chirurgica mediante placca e filo di K.

A causa dell’errore professionale, il paziente riportava postumi invalidanti permanenti e non riacquistava la piena funzionalità dell’articolazione del gomito destro.

Il caso di malpractice

Il caso riguarda un bambino di undici anni, che, a seguito di una caduta in bicicletta, veniva portato al locale pronto soccorso, dove veniva diagnosticata la frattura e la lussazione del gomito destro, che veniva immobilizzato in doccia di posizione.  Il paziente veniva, quindi, trasferito presso un altro ospedale del territorio, dove veniva sottoposto in urgenza a riduzione incruenta e confezionamento di doccia gessata. Dopo la rimozione del gesso, poiché il bambino accusava rigidità del gomito, veniva sottoposto ad ulteriori esami presso un’altra struttura ospedaliera, dove, accertate le gravi limitazioni funzionali dell’articolazione del gomito destro, “guarito in viziosa posizione”, veniva consigliato l’intervento chirurgico di riallineamento con sintesi del capitello radiale. Veniva, quindi, eseguito un intervento di osteotomia correttiva del radio e sintesi con filo di K e placca-viti e a rieducazione funzionale.

Le conseguenze della negligenza dei sanitari

Il consulente medico legale di parte, all’esito del lungo periodo di cure ed interventi chirurgici, accertava una riduzione dell’iperestensione fisiologica dell’avambraccio, un deficit di 10° della flessione dell’avambraccio e prono-supinazione quasi abolita. Il professionista ravvisava un errore professionale in occasione del primo trattamento della frattura-lussazione del gomito destro: la lesione subita dal paziente richiedeva sin dall’inizio un intervento di riduzione chirurgica della frattura mediante placca e filo di K, non la riduzione incruenta. Tale tipo di intervento avrebbe evitato i successivi ricoveri per sintetizzazione chirurgica della frattura e per asportazione dell’ossificazione eterotopico-anchilosante e con buona probabilità avrebbe evitato anche discreta parte della rigidità articolare oggi presente, riducendo altresì gli esiti cicatriziali.

Il medico legale accertava, quindi, che le conseguenze derivate dalla condotta censurabile dell’ortopedico che eseguiva il primo intervento determinavano un danno biologico permanente del 10-12%, oltre al danno biologico temporaneo.

Le trattative e la risoluzione dell’episodio di malasanità

Istruito il caso, lo Studio formalizzava una richiesta risarcitoria in via stragiudiziale nei confronti dell’azienda sanitaria che per prima aveva avuto in cura il bambino, quantificando i danni di natura patrimoniale e non patrimoniale patiti dal paziente.

Le trattative duravano qualche mese e non portavano ad una soluzione della vertenza, poiché la   controparte si ostinava a negare la sussistenza della responsabilità.

Si decideva, pertanto, di procedere con il deposito di un ricorso ex art. 696 bis c.p.c., non essendovi ancora l’obbligo, imposto dalla successiva legge Gelli Bianco, di precedere ex art. 702 bis c.p.c.

Incardinato il giudizio nei confronti dell’azienda sanitaria, che chiamava in causa la compagnia di assicurazioni, veniva disposta una consulenza tecnica d’ufficio.

Il procedimento, agli esiti della CTU, che confermava la responsabilità del personale sanitario, si concludeva con una transazione con un risarcimento dei danni per malasanità pari ad euro 25.000, corrisposti dalla compagnia assicurativa.