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Coronavirus Covid19 e locazioni commerciali

A seguito del D.P.C.M dell’11 marzo 2020, il Governo ha sospeso – al momento fino al  03 aprile 2020 (termine così prorogato dal successivo D.P.C.M. del 22 marzo 2020) – tutte le attività commerciali al dettaglio (fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità), nonché le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) e le attività inerenti ai servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti).

Le conseguenze di tale provvedimento sui contratti di locazione degli immobili in cui si svolgono e dette attività non sono purtroppo sicure.

Va infatti precisato che nella locazione commerciale, i divieti disposti dai D.P.C.M. in ordine all’attuale emergenza sanitaria non incidono sulla prestazione principale del locatore, ovvero la messa a disposizione di locali idonei all’uso che ne è consentito ai sensi del contratto; essi non hanno infatti alcuna attinenza all’immobile in cui si svolge l’attività, alle sue caratteristiche o alla sua idoneità all’uso pattuito.

L’impossibilità di svolgere l’attività non è infatti imputabile a nessuna delle parti ma è dovuta ad una emergenza straordinaria di tutela della salute.

Del pari non è affatto scontato che, in termini di rigorosa causalità, la chiusura temporanea dell’attività renda impossibile la prestazione principale del conduttore consistente nel pagamento del canone di locazione e delle spese accessorie, tanto più che ai sensi del D.P.C.M. 11/03/2020 l’attività di ristorazione è consentita con consegna a domicilio ed è altresì permesso il commercio di qualsiasi tipo di prodotto via internet e per corrispondenza.

In ogni caso, resta ferma l’applicabilità dell’art. 27, ottavo comma, della legge 392/1978, ai sensi del quale il conduttore può recedere dal contratto in caso di “gravi motivi” (che potrebbero ben rinvenirsi nell’emergenza coronavirus e nei conseguenti provvedimenti di sospensione delle attività commerciali), ma dovendo in tal caso concedere al locatore un preavviso di almeno sei mesi ed essendo dunque tenuto a corrispondergli il canone di locazione per tutto il semestre di preavviso anche qualora rilasci l’immobile prima del suo decorso.

In alternativa, si potrebbe domandare al giudice la pronuncia della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., facendo valere la grave alterazione dell’equilibrio tra il valore delle prestazioni corrispettive causata da eventi straordinari, imprevedibili e successivi all’assunzione dell’impegno, quali sono senza subbio l’emergenza Coronavirus e i conseguenti provvedimenti governativi; in tal caso, benché il rimedio previsto dal codice civile sia la risoluzione del contratto, il creditore (ossia il locatore) può comunque evitarla offrendo una equa modifica delle condizioni (cfr. ultimo comma art. 1467 c.c.).

Altrimenti, si potrebbe sostenere che, a causa delle dette circostanze, si è determinata un’impossibilità sopravvenuta di realizzazione dello scopo per cui è stato concluso il contratto di locazione (ossia lo svolgimento delle dette attività commerciali), il che determinerebbe l’automatica e immediata risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., senza che sia necessaria alcuna pronuncia giudiziaria, bastando invece la semplice comunicazione del contraente che intende avvalersene (e possono essere entrambi) all’altro: tuttavia, da un lato, si potrebbe obiettare che l’impossibilità in questione è solo temporanea e, dunque, non potrebbe mai giustificare la risoluzione del contratto ma, semmai, giustificare il ritardo del conduttore nell’adempimento della prestazione di pagamento del canone ex art. 1256, comma 2, c.c. (che quindi andrebbe comunque onorata ugualmente al termine dell’emergenza sanitaria); dall’altro lato, resta il fatto che il locatore continua comunque a mettere a disposizione un immobile che è idoneo all’esercizio dell’attività e pertanto, a rigore, non vi sarebbe alcuna impossibilità della prestazione della parte locatrice.

Per lo stesso motivo, si ritiene che anche la norma prevista dall’art. 1464 c.c. (riduzione della prestazione per impossibilità parziale dell’altra prestazione) mal si attagli ai casi in questione: è infatti il conduttore ad essere impedito nell’esercizio dell’attività, non essendovi alcuna impossibilità in ordine alla prestazione del locatore, il quale continua invece ad adempiere totalmente ai suoi obblighi contrattuali.

Ciò detto, si deve peraltro considerare che la risoluzione del contratto potrebbe non corrispondere all’interesse né del locatore né a quello del conduttore, essendo entrambi interessati, seppure per diversi motivi, alla conservazione del rapporto.

Il conduttore, in particolare, potrebbe non avere interesse a liberarsi dal vincolo contrattuale ma, al contrario, a sospendere temporaneamente il pagamento dei canoni (nel senso di ometterne il versamento in via definitiva, senza quindi essere più tenuto a versarli una volta passata l’emergenza).

Si potrebbe allora sostenere che le circostanze in questione, se anche non giustificassero la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta (trattandosi, come detto, di impossibilità solo temporanea), potrebbero comunque determinare la sospensione dell’esecuzione del contratto finché esse perdurano, comportando dunque anche la sospensione (definitiva) dell’obbligo del conduttore di pagare il canone di locazione e del diritto del locatore di pretenderlo, non potendo dunque il secondo intimare al primo lo sfatto per morosità: tuttavia, una tale soluzione dovrebbe corrispettivamente comportare anche la “restituzione” al locatore, durante la sospensione del contratto, della disponibilità dell’immobile locato, mancando un solido riferimento normativo che consenta al conduttore di “tenersi” la disponibilità del bene locato senza avere l’obbligo di pagarne il corrispondente compenso al locatore.

Del resto, anche il precitato D.L. 18/2020, Cura Italia, infatti, non prevede espressamente alcuna sospensione dell’obbligo del conduttore di versare il canone pattuito, limitandosi il suddetto D.L. solo a riconoscere, per l’anno 2020 e ai soggetti esercenti attività d’impresa, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020 (valevole per i soli negozi e botteghe chiusi in seguito alla sospensione delle suddette attività commerciali).

Pertanto – anche in ragione dell’interesse di entrambe le parti a conservare il rapporto di locazione, sebbene temporaneamente sospeso, e il loro interesse reciproco a non dovere, il conduttore, sgomberare l’immobile, ovvero a non dovere, il locatore curare la custodia dei beni mobili che vi si trovano – la soluzione migliore al problema, anche al fine di evitare gli inevitabili contenziosi, parrebbe non poter essere che un accordo tra le parti, che preveda ad esempio, in analogia con quanto previsto dall’art. 65 del D.L. Cura Italia, la riduzione del 60% del canone di locazione durante la sospensione del contratto.

Sarà quindi opportuno che il conduttore formalizzi tempestivamente al locatore, con le relative motivazioni, la richiesta di riduzione o sospensione del canone di locazione, adducendo le ragioni di sopravvenuta impossibilità ad adempiere agli obblighi contrattuali per causa di forza maggiore (motivi straordinari e imprevedibili), al fine di giungere ad una soluzione conciliativa, fermo restando che sarà comunque rimessa alla discrezionalità del locatore l’accettazione o meno della proposta di riduzione o sospensione.

Come ultima considerazione finale, si ritiene che gli argomenti e le problematiche sopra evidenziate valgano – sebbene mutatis mutandis – anche per le locazioni ad uso industriale o artigianale, che sono state colpite dal successivo D.P.C.M. del 22 marzo 2020, a seguito del quale il Governo ha infatti sospeso – al momento fino al  03 aprile 2020 – svariate attività produttive industriali e commerciali all’ingrosso.