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CORONAVIRUS E CONTRATTO D’AGENZIA

Come per tutti i rapporti di durata, anche il contratto di agenzia può ovviamente risentire degli effetti negativi del Covid-19.

Ad oggi, nei provvedimenti presi dal Governo per fronteggiare l’emergenza, per questi contratti non è stata emanata alcuna previsione espressa.

Risulta tuttavia ad essi applicabile quanto previsto in generale dall’art. 91 del decreto 18/2020 (Cura Italia): “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”

Vi è da dire che, a ben guardare, questa disposizione ha un mero valore rafforzativo e confermativo delle disposizioni già presenti nel nostro ordinamento, come evidente dal richiamo diretto all’art. 1218 c.c.

In materia di inadempimento contrattuale, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 1256 c.c., l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa “impossibile”; se tale impossibilità è solo temporanea, il debitore non è responsabile del ritardo nell’adempimento.

E’ altresì pacifico che, tra le cause invocabili ai fini della “impossibilità” della prestazione, rientrano gli ordini o i divieti sopravvenuti con provvedimenti legislativi o amministrativi dettati da interessi generali, che rendano impossibile la prestazione indipendentemente dal comportamento colpevole dell’obbligato.

In sintesi, si tratta di circostanze che fungono da esimente della responsabilità del debitore, a prescindere dalle previsioni contrattuali in essere.

Ad ogni buon conto e con specifico riferimento al contratto di agenzia, la valenza della previsione di cui all’art. 91 del decreto Cura Italia è duplice: da un lato, all’agente non potrà essere imputata la condotta inadempiente per non avere visitato la clientela o promosso le vendite, e ciò non solo qualora la  preponente abbia visto impedita la propria attività in forza dei provvedimenti restrittivi del Governo, ma anche nel caso in cui tale attività sia stata impedita o fortemente limitata rispetto alla clientela prevista nel contratto.

Da un altro punto di vista, però, va considerato che la situazione di grave carenza di liquidità che si viene inevitabilmente a creare in capo a moltissime imprese in seguito alla sospensione della attività o anche solo alla sua riduzione (o comunque la grande riduzione del fatturato), comporta che anche l’inadempimento delle preponente alle proprie obbligazioni nei confronti dell’agente – fondamentalmente, il pagamento delle provvigioni e dei compensi previsti – potrebbe rientrare nella “esclusione della responsabilità” del debitore.

Ciò ovviamente assume rilevanza diversa a seconda del fatto che l’agente percepisca esclusivamente provvigioni sul fatturato generato dalle vendite promosse o gli siano invece garantiti cospicui compensi minimi o elevati rimborsi forfetari fissi.

E’ evidente che nel primo caso sarà molto difficile per le imprese sottrarsi al pagamento del dovuto, mentre nel secondo caso potrà essere invocata non solo la straordinarietà della situazione, tale da rendere “giustificabile” l’inadempimento, ma potrà anche essere invocato una altro istituto generale presente nel nostro ordinamento, ovvero l’ “eccessiva onerosità sopravvenuta”.

L’art. 1467 c.c., infatti, dispone che “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.

Quindi, mentre è sempre possibile (ed invero, auspicabile) che in una situazione imprevedibile e straordinaria come quella prodotta dalle conseguenze del dilagare del Covid-19, le parti del contratto di agenzia concordino consensualmente una sospensione della efficacia del contratto o una temporanea diversa definizione degli accordi economici sottostanti, è del pari ragionevolmente possibile per la preponente (qualora le singole situazioni concrete lo consentano) proporre unilateralmente la riduzione della propria prestazione economica invocando l’eccessiva onerosità sopravvenuta, facendo valere, in caso di mancata accettazione, la risoluzione del contratto,

L’offerta di riduzione è infatti rivolta a ristabilire l’equilibrio contrattuale, compromesso dall’eccessiva onerosità imputabile a cause imprevedibili e straordinarie.

Se la proposta di riduzione viene accettata, il contratto verrà modificato per il futuro, evitando il suo scioglimento.

Ovviamente, l’effetto della risoluzione non si estenderebbe alle prestazioni eseguite, che sono fatte salve. In tutte queste ipotesi, peraltro, occorre rammentare che se la prestazione diventa solo parzialmente impossibile, potrà trovare applicazione la disciplina codicistica in materia di impossibilità parziale (art. 1464 c.c.); anche in questo caso le parti potranno convenire una riduzione della prestazione e del corrispettivo, mentre potranno recedere dal contratto solo se non vi è alcun interesse all’adempimento parziale.

In ogni caso, correttezza e buona fede dovrebbero imporre a tutte le parti approcci cautelativi e volti a consentire, magari previa rinegoziazione, la conservazione del rapporto.

Infine, alcuni utili annotazioni in merito alle provvidenze ed agevolazioni previste per gli agenti di commercio dal decreto Cura Italia in questa situazione di emergenza.

  • Gli agenti di commercio possono accedere al Bonus di 600 euro per il mese di marzo 2020, previsto per i commercianti, artigiani e lavoratori autonomi?

Dopo averlo in un primo tempo escluso, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sul proprio sito, scrive ora che anche gli agenti di commercio sono inclusi nella platea dell’articolo 28 del Cura Italia, ovvero che anch’essi hanno diritto al Bonus di 600 euro.

Gli agenti di commercio, a differenza di altri lavoratori autonomi iscritti alle casse professionali private (che sono i soggetti erogatori delle relative indennità) sono tuttavia ricompresi nei beneficiari diretti dell’articolo 28 e riceveranno l’indennità non da Enasarco ma dall’INPS.

L’INPS, con circolare del 30 marzo 2020 n. 49, ha confermato l’indennizzo anche per gli agenti e rappresentanti: l’importo di 600 euro verrà erogato dallo stesso istituto, previa richiesta in via telematica, a partire dal 1 aprile 2020. Non è previsto nessun limite di reddito o dimostrazione di calo di fatturato.

Si attendono provvedimenti anche per il mese di aprile.

  • Gli agenti di commercio (operanti in forma individuale) possono accedere alla sospensione del pagamento delle rate del mutuo per l’acquisto della prima casa?

Sì, il Governo ha esteso l’accesso anche che ai lavoratori autonomi ed ai liberi professionisti che autocertifichino ai sensi degli articoli 46 e 47 DPR 445/2000 di aver registrato, in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 ovvero nel minor lasso di tempo intercorrente tra la data della domanda e la predetta data, un calo del proprio fatturato superiore al 33% del fatturato dell’ultimo trimestre 2019 in conseguenza della chiusura o della restrizione della propria attività operata in attuazione delle disposizioni adottate dall’autorità competente per l’emergenza coronavirus. Per accedere alla sospensione del pagamento delle rate non è necessario produrre l’Isee.

  • Sono previste agevolazioni per gli agenti di commercio operanti in forma di microimprese o piccole imprese?

Sì, il Governo ha previsto specifiche misure per le microimprese e le piccole e medie imprese che hanno contratto prestiti o linee di credito da banche o da altri intermediari finanziari (attraverso il rafforzamento del Fondo di garanzia per le PMI).

Per tali finanziamenti la misura predisposta dal Governo dispone che:

a) le linee di credito accordate «sino a revoca» e i finanziamenti accordati a fronte di anticipi su crediti non possono essere revocati fino alla data del 30 settembre 2020;

b) la restituzione dei prestiti non rateali con scadenza anteriore al 30 settembre 2020 è rinviata fino alla stessa data alle stesse condizioni e con modalità tali che non risultino ulteriori oneri né per gli intermediari né per le imprese;

c) il pagamento delle rate di prestiti con scadenza anteriore al 30 settembre 2020 è riscadenzato sulla base degli accordi tra le parti o, in ogni caso, sospeso almeno fino al 30 settembre 2020, secondo modalità che assicurino la continuità degli elementi accessori dei crediti oggetto della misura e non prevedano, dal punto di vista attuariale, nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.

d) è avviata una linea per la liquidità immediata (fino a 3.000 euro) con accesso senza valutazione, che si affianca alle garanzie già attive senza valutazione sul microcredito e sui finanziamenti di importo ridotto fino a 20.000 euro.

La misura si rivolge alle imprese che hanno subito in via temporanea carenze di liquidità per effetto dell’epidemia, che tuttavia non impatta in maniera significativa sulla loro capacità di adempiere alle proprie obbligazioni. Le imprese sono tenute ad autocertificare di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia Covid-19.

  • Il Fondo PMI può essere utilizzato anche dagli agenti?

Si, anche gli agenti operanti in forma individuale possono accedere al Fondo PMI per ricevere una garanzia, gratuita e senza valutazione, per nuovi finanziamenti fino a fino a 3.000 euro e per un periodo massimo di 18 mesi. Per accedere alla garanzia è sufficiente una dichiarazione autocertificata ai sensi dell’art. 47 del DPR 445/2000 con la quale si dichiara che la propria attività sia stata danneggiata dall’emergenza Covid-19.

INDIVIDUALITA’ DEL CONTRATTO DI LEASING E DEL CONTRATTO DI FORNITURA

Importante accoglimento dell’appello azionato dallo studio Wise da parte della Corte d’Appello di Venezia con un’interessante sentenza in tema di leasing traslativo.

Il Giudice di secondo grado, sulla scorta delle argomentazioni giuridiche sottese ai motivi azionati, ha affermato infatti che sebbene vi sia un collegamento negoziale tra il contratto di leasing traslativo ed il contratto di fornitura che la società concedente conclude per acquistare il bene da concedere in leasing, tali negozi conservano la loro individualità.

La risoluzione del contratto di leasing, pertanto, non può comportare l’automatica risoluzione del contratto di fornitura che dovrà essere correttamente adempiuto dalla società concedente.  

La Corte d’Appello di Venezia con un importante revirement ha quindi ribaltato le conclusioni del giudice di primo grado che aveva invece concluso per la sussistenza di un collegamento negoziale totalitario tra i due negozi considerati, dal che la risoluzione dell’uno comportava inevitabilmente la risoluzione dell’altro.

Coronavirus Covid19 e locazioni commerciali

A seguito del D.P.C.M dell’11 marzo 2020, il Governo ha sospeso – al momento fino al  03 aprile 2020 (termine così prorogato dal successivo D.P.C.M. del 22 marzo 2020) – tutte le attività commerciali al dettaglio (fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità), nonché le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) e le attività inerenti ai servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti).

Le conseguenze di tale provvedimento sui contratti di locazione degli immobili in cui si svolgono e dette attività non sono purtroppo sicure.

Va infatti precisato che nella locazione commerciale, i divieti disposti dai D.P.C.M. in ordine all’attuale emergenza sanitaria non incidono sulla prestazione principale del locatore, ovvero la messa a disposizione di locali idonei all’uso che ne è consentito ai sensi del contratto; essi non hanno infatti alcuna attinenza all’immobile in cui si svolge l’attività, alle sue caratteristiche o alla sua idoneità all’uso pattuito.

L’impossibilità di svolgere l’attività non è infatti imputabile a nessuna delle parti ma è dovuta ad una emergenza straordinaria di tutela della salute.

Del pari non è affatto scontato che, in termini di rigorosa causalità, la chiusura temporanea dell’attività renda impossibile la prestazione principale del conduttore consistente nel pagamento del canone di locazione e delle spese accessorie, tanto più che ai sensi del D.P.C.M. 11/03/2020 l’attività di ristorazione è consentita con consegna a domicilio ed è altresì permesso il commercio di qualsiasi tipo di prodotto via internet e per corrispondenza.

In ogni caso, resta ferma l’applicabilità dell’art. 27, ottavo comma, della legge 392/1978, ai sensi del quale il conduttore può recedere dal contratto in caso di “gravi motivi” (che potrebbero ben rinvenirsi nell’emergenza coronavirus e nei conseguenti provvedimenti di sospensione delle attività commerciali), ma dovendo in tal caso concedere al locatore un preavviso di almeno sei mesi ed essendo dunque tenuto a corrispondergli il canone di locazione per tutto il semestre di preavviso anche qualora rilasci l’immobile prima del suo decorso.

In alternativa, si potrebbe domandare al giudice la pronuncia della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., facendo valere la grave alterazione dell’equilibrio tra il valore delle prestazioni corrispettive causata da eventi straordinari, imprevedibili e successivi all’assunzione dell’impegno, quali sono senza subbio l’emergenza Coronavirus e i conseguenti provvedimenti governativi; in tal caso, benché il rimedio previsto dal codice civile sia la risoluzione del contratto, il creditore (ossia il locatore) può comunque evitarla offrendo una equa modifica delle condizioni (cfr. ultimo comma art. 1467 c.c.).

Altrimenti, si potrebbe sostenere che, a causa delle dette circostanze, si è determinata un’impossibilità sopravvenuta di realizzazione dello scopo per cui è stato concluso il contratto di locazione (ossia lo svolgimento delle dette attività commerciali), il che determinerebbe l’automatica e immediata risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., senza che sia necessaria alcuna pronuncia giudiziaria, bastando invece la semplice comunicazione del contraente che intende avvalersene (e possono essere entrambi) all’altro: tuttavia, da un lato, si potrebbe obiettare che l’impossibilità in questione è solo temporanea e, dunque, non potrebbe mai giustificare la risoluzione del contratto ma, semmai, giustificare il ritardo del conduttore nell’adempimento della prestazione di pagamento del canone ex art. 1256, comma 2, c.c. (che quindi andrebbe comunque onorata ugualmente al termine dell’emergenza sanitaria); dall’altro lato, resta il fatto che il locatore continua comunque a mettere a disposizione un immobile che è idoneo all’esercizio dell’attività e pertanto, a rigore, non vi sarebbe alcuna impossibilità della prestazione della parte locatrice.

Per lo stesso motivo, si ritiene che anche la norma prevista dall’art. 1464 c.c. (riduzione della prestazione per impossibilità parziale dell’altra prestazione) mal si attagli ai casi in questione: è infatti il conduttore ad essere impedito nell’esercizio dell’attività, non essendovi alcuna impossibilità in ordine alla prestazione del locatore, il quale continua invece ad adempiere totalmente ai suoi obblighi contrattuali.

Ciò detto, si deve peraltro considerare che la risoluzione del contratto potrebbe non corrispondere all’interesse né del locatore né a quello del conduttore, essendo entrambi interessati, seppure per diversi motivi, alla conservazione del rapporto.

Il conduttore, in particolare, potrebbe non avere interesse a liberarsi dal vincolo contrattuale ma, al contrario, a sospendere temporaneamente il pagamento dei canoni (nel senso di ometterne il versamento in via definitiva, senza quindi essere più tenuto a versarli una volta passata l’emergenza).

Si potrebbe allora sostenere che le circostanze in questione, se anche non giustificassero la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta (trattandosi, come detto, di impossibilità solo temporanea), potrebbero comunque determinare la sospensione dell’esecuzione del contratto finché esse perdurano, comportando dunque anche la sospensione (definitiva) dell’obbligo del conduttore di pagare il canone di locazione e del diritto del locatore di pretenderlo, non potendo dunque il secondo intimare al primo lo sfatto per morosità: tuttavia, una tale soluzione dovrebbe corrispettivamente comportare anche la “restituzione” al locatore, durante la sospensione del contratto, della disponibilità dell’immobile locato, mancando un solido riferimento normativo che consenta al conduttore di “tenersi” la disponibilità del bene locato senza avere l’obbligo di pagarne il corrispondente compenso al locatore.

Del resto, anche il precitato D.L. 18/2020, Cura Italia, infatti, non prevede espressamente alcuna sospensione dell’obbligo del conduttore di versare il canone pattuito, limitandosi il suddetto D.L. solo a riconoscere, per l’anno 2020 e ai soggetti esercenti attività d’impresa, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020 (valevole per i soli negozi e botteghe chiusi in seguito alla sospensione delle suddette attività commerciali).

Pertanto – anche in ragione dell’interesse di entrambe le parti a conservare il rapporto di locazione, sebbene temporaneamente sospeso, e il loro interesse reciproco a non dovere, il conduttore, sgomberare l’immobile, ovvero a non dovere, il locatore curare la custodia dei beni mobili che vi si trovano – la soluzione migliore al problema, anche al fine di evitare gli inevitabili contenziosi, parrebbe non poter essere che un accordo tra le parti, che preveda ad esempio, in analogia con quanto previsto dall’art. 65 del D.L. Cura Italia, la riduzione del 60% del canone di locazione durante la sospensione del contratto.

Sarà quindi opportuno che il conduttore formalizzi tempestivamente al locatore, con le relative motivazioni, la richiesta di riduzione o sospensione del canone di locazione, adducendo le ragioni di sopravvenuta impossibilità ad adempiere agli obblighi contrattuali per causa di forza maggiore (motivi straordinari e imprevedibili), al fine di giungere ad una soluzione conciliativa, fermo restando che sarà comunque rimessa alla discrezionalità del locatore l’accettazione o meno della proposta di riduzione o sospensione.

Come ultima considerazione finale, si ritiene che gli argomenti e le problematiche sopra evidenziate valgano – sebbene mutatis mutandis – anche per le locazioni ad uso industriale o artigianale, che sono state colpite dal successivo D.P.C.M. del 22 marzo 2020, a seguito del quale il Governo ha infatti sospeso – al momento fino al  03 aprile 2020 – svariate attività produttive industriali e commerciali all’ingrosso.