Sommario: 1. Premesse; 2. L’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità: sospensione, risoluzione o riduzione del contratto? 3. Esame dei principali contratti d’impresa; 3.1 Contratto d’appalto; 3.2 Contratto d’opera; 3.3 Contratto di somministrazione: 3.4 Pacchetto turistico e titoli di viaggio; 3.5 Contratto d’albergo; 3.6 Contratto di lavoro subordinato; 3.6.1 Lavoro agile (smart working); 3.6.2 3.6.2 Congedo ordinario o ferie “forzate”; 3.7 Contratto di locazione commerciale.
- Premesse.
La pandemia da
coronavirus COVID-19 sta impattando non solo sulla salute e sulla vita comune
delle persone ma anche, in modo non indifferente, sulle dinamiche contrattuali
legate all’operatività ordinaria.
Una serie di D.P.C.M. (in
ordine di tempo, dal primo del 23 febbraio 2020, all’ultimo, alla data di oggi,
del 1° aprile 2020) e in particolare il D.P.C.M. 11 marzo 2022 per come
integrato dal D.P.C.M. 22 marzo 2020, nonché il D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, infatti, hanno imposto una serie di misure di
distanziamento sociale che hanno comportato una forte limitazione degli
spostamenti delle persone, nonché la riduzione se non addirittura la chiusura
di molte attività produttive e commerciali (anzi, la chiusura di tutte, eccetto
quelle elencate tassativamente dall’Allegato 1 del D.P.C.M. del 22 marzo 2020, che
le ha identificate tramite il riferimento ai codici ATECO).
A fronte di tali
provvedimenti restrittivi e interdittivi, c’è da chiedersi se e come essi possano
incidere sulla normale prosecuzione dei rapporti contrattuali: infatti, a causa
dei provvedimenti medesimi, una o entrambe le parti contraenti potrebbero
trovarsi nell’impossibilita di adempiere.
- L’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità sopravvenuta: sospensione, risoluzione o modifica del contratto?
Ai sensi dell’art. 1256
c.c., primo comma, c.c., l’impossibilità sopravvenuta della prestazione,
qualora non dipenda da causa imputabile al debitore ma sia invece determinata
da caso fortuito (ossia da una circostanza imprevedibile e inevitabile dal
debitore) o da causa di forza maggiore (ossia una circostanza “esterna” all’obbligazione
e che sfugge al controllo del debitore) comporta generalmente l’estinzione
dell’obbligazione, con la conseguenza che il debitore non è più tenuto al suo
adempimento, divenuto impossibile senza sua colpa, né a risarcire il danno il
danno che da ciò derivi al creditore.
Applicando tale regola generale
all’ambito dei contratti, nei quali generalmente all’obbligazione di un
contraente (ad esempio, la consegna di una merce o lo svolgimento di un’opera o
di un servizio) corrisponde l’obbligazione dell’altro contraente (tipicamente,
il pagamento del prezzo) e che per questo si chiamano a prestazioni
corrispettive, giustificandosi causalmente l’una con l’altra, si ottiene che
l’impossibilità sopravvenuta della prestazione dovuta da un contraente ovvero
l’impossibilità di utilizzare la prestazione della controparte e/o di
realizzare lo scopo pratico del contratto comportano, ai sensi dell’art. 1463
c.c., l’automatica risoluzione del contratto, con la conseguenza che egli non è
più obbligato ad eseguire la prestazione cui era obbligato e che anche l’altro
contraente non è più obbligato a eseguire la sua controprestazione, anche se
questa è rimasta possibile, e può anzi pretenderne la restituzione nel caso in
cui l’abbia già eseguita.
Questo, in effetti, è ciò
che può avvenire a causa dell’emergenza sanitaria da coronavirus, in quanto la
prestazione di un contraente (ad esempio, si ripete, la consegna di una merce o
lo svolgimento di un’opera o di un servizio) può essere impedita dai vincoli
imposti dal governo alla mobilità e all’attività delle persone, nonché alle
attività produttive e commerciali delle imprese; analogamente, a causa
dell’emergenza coronavirus, la prestazione di un contraente, sebbene
astrattamente ancora possibile, potrebbe non consentire più la realizzazione
dello scopo per il quale era stato concluso il contratto (si pensi, ad esempio,
a un contratto che abbia ad oggetto la realizzazione di un opera o la
prestazione di un servizio per un’attività che non è più consentita); oppure,
ancora, a causa dell’emergenza coronavirus, il valore e/o il costo della prestazione
di uno dei contraenti potrebbe aumentare o ridursi eccessivamente, divenendo
eccessivamente sproporzionato rispetto a quello della prestazione altrui o
comunque rispetto a quanto avuto presente dalle parti al momento della
conclusione del contratto.
Pertanto, qualora ciò
concretamente accada, il contraente obbligato alla prestazione divenuta
impossibile a causa del coronavirus può semplicemente comunicare per iscritto all’altro
contraente che intende avvalersi della risoluzione del contratto ex art. 1463
c.c. (che, si ripete, è “automatica”, nel senso che non richiede la pronuncia
di un giudice né di nessun altra autorità), con la conseguenza che egli non è
più obbligato ad eseguire la prestazione e, d’altra parte, non può nemmeno
pretendere la controprestazione dell’altro contraente; oppure, analogamente, il
contraente che non può più ricevere né pretendere la prestazione della sua
controparte, perché divenuta impossibile, può semplicemente comunicargli per
iscritto che intende avvalersi della risoluzione del contratto ex art. 1463
c.c., con la conseguenza che anch’egli non sarà più obbligato ad eseguire la
sua controprestazione, anche se questa è rimasta possibile, e potrà anzi
chiederne la restituzione qualora l’abbia già eseguita.
Tuttavia, a tali
comunicazioni e richieste, l’altro contraente potrebbe opporre che quella
determinata dall’emergenza sanitaria da coronavirus non è un’impossibilità
totale e definitiva, ma solo un’impossibilità temporanea (perché è immaginabile
o almeno auspicabile che l’emergenza passi), con la conseguenza che il
contratto non sarebbe risolto “automaticamente” di diritto, ma sarebbe invece
solo “sospeso”, ai sensi degli artt. 1256 c.c., secondo comma, e 1464 c.c., nel
senso che il debitore non può essere ritenuto responsabile per il ritardo e/o
inadempimento finché sussiste la detta impossibilità, mentre le obbligazioni reciproche
dei contraenti (e la loro responsabilità) tornerebbero ad essere vincolanti una
volta finita l’emergenza.
Anche in questo caso,
però, il contraente interessato alla risoluzione del contratto potrebbe fondatamente
sostenere che, se è vero che solo l’impossibilità totale e definitiva comporta
la risoluzione del contratto, è altresì vero che, proprio ai sensi degli art.
1256 c.c., secondo comma, e dell’art. 1464 c.c. l’impossibilità della
prestazione va valutata con riferimento all’interesse concreto del
creditore, con la conseguenza che, quando tale interesse sia venuto meno o sia
divenuto irrealizzabile lo scopo pratico che le parti volevano raggiungere con
quello specifico contratto, questo comunque si risolve, in quanto «l’obbligazione
si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo
dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere
ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha
più interesse a conseguirla» (art. 1256 c.c., secondo comma, c.c.) e «quando
la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra
parte può recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile
all’adempimento parziale» (art. 1464 c.c.).
Allo stesso modo, qualora
concretamente accada che, a causa dell’emergenza coronavirus, la prestazione di
una parte sia divenuta eccessivamente onerosa rispetto all’altra, il contrante
obbligato a fornirla può domandare al giudice la risoluzione del contratto (art.
1467, primo comma, c.c.), che dunque con
è “automatica” come nel caso di impossibilità sopravvenuta, ma anche in questo caso l’altro contraente
potrebbe opporsi sostenendo che la sproporzione venutasi a creare tra
prestazione e controprestazione a causa dell’emergenza coronavirus non è
“eccessiva”, oppure offrendo una “equa” modifica (su cui equità, potrebbe
comunque ancora sorgere ulteriore controversia) delle condizioni del contratto
(art. 1467, terzo comma, c.c.).
In sostanza, dunque, gli
effetti giuridici del COVID-19 sui negozi stipulati dovranno essere esaminati e
valutati in concreto caso per caso.
- Esame dei principali contratti d’impresa.
Ciò posto in termini
generali, si evidenziano di seguito le conseguenze del COVID-19, quale causa di
impossibilità e/o inutilizzabilità sopravvenuta della prestazione o di sua eccessiva
onerosità, sui principali contratti d’impresa.
A causa dei provvedimenti dell’Autorità emanati a tutela
della salute pubblica, le parti di un contratto di appalto d’opera e/o di
servizi potrebbero essere impossibilitate a svolgere la propria prestazione.
L’appaltatore, ad esempio, si potrebbe trovare in una delle seguenti
situazioni:
In tali casi, l’appaltatore non potrà essere ritenuto
responsabile dell’inadempimento e/o del ritardo dell’esecuzione della
prestazione, in quanto si tratta di un impedimento dovuto a causa di forza
maggiore o a un ordine dell’Autorità pubblica.
L’esecuzione del contratto sarà, dunque, (quantomeno) temporaneamente
sospesa fino a quanto gli impedimenti oggettivi cesseranno, con la conseguenza
che l’appaltatore non dovrà svolgere la propria prestazione e il committente
non dovrà provvedere al pagamento del compenso.
Si segnala che in caso di morte dell’appaltatore, il
contratto continua a produrre effetti e non si risolve ipso iure, ma rimane in ogni caso salva la facoltà del committente
di recesso ex art. 1674 c.c.
Il committente, dal canto suo, potrebbe ad esempio trovarsi a dover
affrontare le seguenti situazioni:
Il prestatore
d’opera potrebbe essere impossibilitato ad eseguire la propria
prestazione perché, ad esempio, vi è ordine dell’Autorità pubblica che gli
impedisce di eseguirla, come può essere il divieto di spostamento perché ha
contratto il virus: in tal caso, il prestatore non potrà essere ritenuto responsabile
dell’inadempimento e l’esecuzione del contratto si sospenderà fintanto che la
causa di forza maggiore o i provvedimenti dell’autorità non cessino.
Il committente,
a sua volta, non sarà obbligato al pagamento del corrispettivo fintanto che
perdura la causa di impossibilità; egli rimarrà invece obbligato al pagamento
del corrispettivo per tutte le prestazioni che il prestatore ha eseguito
anteriormente al periodo di emergenza sanitaria; in ogni caso, il committente potrà
recedere unilateralmente dal contratto, purché tenga indenne il prestatore
delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno (cfr. art.
2227 e art.2237 c.c.).
- 3.3 Contratto di somministrazione.
Nel contratto di somministrazione, il somministratore esegue
a favore del somministrato le prestazioni periodiche di beni o cose verso il
corrispettivo di un prezzo.
Il somministratore, a causa dell’epidemia da
COVID-19, potrebbe essere impossibilitato a eseguire a favore del somministrato
la propria prestazione e, in tal caso, egli non potrà essere ritenuto
responsabile dell’inadempimento della prestazione: conseguentemente, l’esecuzione del
contratto si sospende fino a quanto stabilito nell’ordine dell’autorità; va da
sé che, se l’oggetto del contratto di somministrazione concerne fornitura di beni
o servizi non coinvolti dai provvedimenti restrittivi o interdittivi
dell’Autorità pubblica perché considerati “essenziali” (ad esempio, gas,
energia elettrica, giornali, riviste, eccetera) l’esecuzione del contratto non
potrà essere sospesa e il somministratore sarà obbligato ad adempiere alla
propria prestazione.
Il somministrato,
una volta cessato il periodo di sospensione, potrà chiedere la risoluzione del
contratto se l’inadempimento del somministrante perdura, è di notevole
importanza ed è tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi
adempimenti ex art. 1564 c.c.; nel caso invece di contratto a tempo
indeterminato, rimane sempre salva la facoltà del somministrato di recedere dal
contratto, dando un congruo preavviso al somministratore ex art. 1569
c.c.
All’art. 28 del D.L. n. 9
del 2 marzo 2020, si è previsto che alcune particolari categorie di viaggiatori[1],
essendo impossibilitate a usufruire del proprio c.d. pacchetto e/o titolo di
viaggio a causa del contagio da COVID-19 o di un provvedimento dell’autorità,
potranno recedere dal contratto (salvo che la prestazione non abbia avuto già
inizio di esecuzione).
Stante il recesso del
viaggiatore, il tour operator e/o l’intermediario o la compagnia aerea o di
trasporti potrà:
- offrire
un c.d. pacchetto sostitutivo di qualità equivalente o superiore; oppure
- rimborsare il
corrispettivo versato per il titolo di viaggio e/o per il pacchetto; oppure
- emettere
un voucher da utilizzare entro 1 anno dalla sua emissione di importo pari al
rimborso spettante.
Si
segnala che dall’8 marzo 2020 il Governo ha posto il divieto, durante tutto il
periodo dell’emergenza sanitaria, a tutti i cittadini italiani di allontanarsi
dalla propria abitazione, se non per motivi lavorativi e di salute: a fronte di
ciò, si ritiene che tutti i cittadini italiani (non solo ai soggetti particolari
di cui al D.L. n. 9/2020), che abbiano acquistato un titolo di viaggio o
pacchetto turistico fruibile dal 8 marzo 2020 fino a tutto il periodo di
restituzione disposto dall’autorità per COVID-19, possano recedere dal
contratto per impossibilità sopravvenuta nell’esecuzione dell’oggetto.
Con il D.P.C.M del 8
marzo 2020 e con le successive proroghe, il Governo ha disposto a tutti i
cittadini italiani il divieto di allontanamento dalla propria abitazione se non
per comprovate esigenze lavorative, di salute e di necessità.
Fino a che tali
provvedimenti non scadranno o non saranno revocati, il cliente non potrà
viaggiare in Italia e fuori da paese e, qualora abbia prenotato una camera di
albergo in tale periodo di emergenza sanitaria, potrà disdire la prenotazione e
chiedere all’albergatore la restituzione della caparra e/o acconto già versati.
Si segnala che il Decreto
“Cura Italia” (D.L. n. 18 del 17 marzo 2020) ha esteso il precitato art. 28
D.L. n. 9 del 2 marzo 2020 in tema di “pacchetti turistici” anche al contratto
d’albergo, prevedendo espressamente che l’albergatore, a fronte del recesso del
cliente dovuto all’emergenza coronavirus, potrà:
- rimborsare
il corrispettivo versato per il titolo di viaggio e/o per il pacchetto; oppure
- emettere un voucher da
utilizzare entro 1 anno dalla sua emissione di importo pari al rimborso
spettante.
- 3.6 Contratto di lavoro subordinato
A seguito dell’emanazione
del D.P.C.M del 4 marzo 2020 il datore
di lavoro per contrastare e contenere la diffusione del COVID-19 può adottare
la modalità di lavoro agile (cosiddetto “smart working”) oppure invitare i dipendenti
a mettersi in congedo ordinario o ferie “forzate”.
3.6.1 Lavoro
agile (smart working)
Il lavoro agile (smart
working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato
caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e da un’organizzazione
per fasi, cicli e obiettivi.
Il D.P.C.M. del 4 marzo
2020 ha esteso a tutto il territorio nazionale la possibilità del datore di
lavoro di adottare unilateralmente la modalità di lavoro agile (smart
working), senza un previo accordo scritto tra azienda e dipendente durante
tutto il periodo dell’epidemia.
In sostanza, il lavoratore potrà svolgere le proprie mansioni dal pc della propria abitazione, salvo in
ogni caso l’obbligo di assumere ogni misura operativa, organizzativa e tecnica,
idonea a garantire l’accesso, disponibilità e sicurezza dei dati trattati,
evitando pertanto di assumere comportamenti che possano comportare rischi di
perdita di dati, accesso non autorizzato o di diffusione, analogamente a quanto
previsto per i servizi effettuati in sede.
Dal canto suo, il datore
di lavoro, ai fini dell’adottabilità dello smart working dovrà:
- inviare al dipendente una
comunicazione di avviso di smart working;
- predisporre un’autodichiarazione
per dipendente di avviso di attivazione di smart working per motivi emergenziali.
Tali modelli dovranno
essere trasmessi con comunicazione telematica obbligatoria al sito del
Ministero del Lavoro entro il giorno antecedente a quello d’inizio della
prestazione lavorativa; la mancata comunicazione comporterà una sanzione
amministrativa da 100 a 500 euro per ogni lavoratore.
3.6.2 Congedo ordinario o ferie
“forzate”.
Qualora il datore di lavoro decida di non adottare la modalità del lavoro
agile, potrà invitare i dipendenti a mettersi in congedo ordinario o “ferie
forzate”.
In caso di congedo ordinario al dipendente spetta la normale retribuzione. Rimangono in ogni caso esclusi i compensi per
prestazioni di lavoro straordinario e le indennità che non siano corrisposte
per dodici mensilità.
In concreto, può
distinguersi la seguente possibile casistica.
Dal lato dipendente:
- il dipendente in malattia o in quarantena obbligatoria non può usufruire dello
smart working, in quanto è in uno stato di sospensione del rapporto di lavoro,
ma ha diritto alla retribuzione; in caso di quarantena, l’assenza del
dipendente dovrà essere disciplinata secondo le previsioni di legge e
contrattuali che riguardano l’assenza per malattia, con le conseguenti tutele
per la salute e la garanzia del posto di lavoro;
- Se
il dipendete ha timore di essere stato contagiato e non si reca sul luogo di
lavoro, esso viene considerato in assenza ingiustificata situazione da cui
possono scaturire provvedimenti disciplinari che possono portare anche al
licenziamento
Dal lato
datore di lavoro:
- se l’attività lavorativa viene sospesa volontariamente dal datore
di lavoro,
il lavoratore continua ad avere diritto alla retribuzione, ma il datore di
lavoro potrà imporgli di utilizzare fino ad esaurimento i giorni di
ferie/permessi maturati;
- se l’attività lavorativa viene sospesa a causa di un
provvedimento autoritativo del Governo (ad esempio, il DPCM del 11 marzo 2020 che ha imposto
la chiusura delle attività commerciali), il rapporto di lavoro si ritiene
sospeso e il lavoratore non avrà diritto alla retribuzione, in quanto si tratta
di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa per motivi oggettivi,
ma potrà accedere alle varie forme di previdenza sociali (cassa integrazione e
FIS) che anzi sono state potenziate.
In
ogni caso, l’art. 46 del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 (decreto Cura
Italia) ha previsto che, fino a sessanta giorni dopo la sua entrate in vigore (cioè fino al 16 maggio 2020), salve successive
proroghe, saranno precluse le nuove procedure di licenziamento collettivo e sospese quelle avviate dopo il 23 febbraio
2020 e che, fino allo stesso termine, non saranno consentiti i licenziamenti
per giustificato motivo oggettivo (ossia per ragioni
“economiche”), qualunque sia il numero di dipendenti dell’azienda.
- 3.7 Contratto di locazione commerciale.
Con il D.P.C.M dell’11 marzo 2020 e successive proroghe, il Governo ha sospeso tutte le attività commerciali al dettaglio (fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità), nonché le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) e le attività inerenti ai servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti).
Le conseguenze di tale provvedimento sui contratti di locazione degli immobili in cui si svolgono e dette attività non sono purtroppo sicure.
Va infatti precisato che i detti divieti non incidono sulla prestazione principale del locatore, ovvero la messa a disposizione di locali idonei all’uso che ne è consentito ai sensi del contratto, in quanto non hanno alcuna attinenza all’immobile in cui si svolge l’attività, alle sue caratteristiche o alla sua idoneità all’uso pattuito; del pari non è affatto scontato che, in termini di rigorosa causalità, la chiusura temporanea dell’attività renda impossibile la prestazione principale del conduttore consistente nel pagamento del canone di locazione e delle spese accessorie, tanto più che ai sensi del D.P.C.M. 11/03/2020 l’attività di ristorazione è consentita con consegna a domicilio ed è altresì permesso il commercio di qualsiasi tipo di prodotto via internet e per corrispondenza.
Tuttavia, è inevitabile che per il conduttore, a causa dell’oggettivo crollo del fatturato e degli incassi conseguente alla “chiusura” dell’attività commerciale, possano insorgere una crisi di liquidità e con essa serie difficoltà a pagare il canone di locazione di un immobile commerciale divenuto giocoforza improduttivo.
Le soluzioni possono essere, in astratto, le seguenti:
– può dirsi anzitutto che resta ferma l’applicabilità dell’art. art. 27, ottavo comma, della legge 392/1978, ai sensi del quale il conduttore può recedere dal contratto in caso di “gravi motivi” (che potrebbero ben rinvenirsi nell’emergenza coronavirus e nei conseguenti provvedimenti di sospensione delle attività commerciali), ma in tal caso deve concedere al locatore un preavviso di almeno sei mesi e dunque è in ogni caso tenuto a corrispondergli il canone di locazione per tutto il semestre di preavviso;
– in alternativa, il conduttore potrebbe domandare al giudice la pronuncia della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., facendo valere la grave alterazione dell’equilibrio tra il valore delle prestazioni corrispettive causata da eventi straordinari, imprevedibili e successivi all’assunzione dell’impegno, quali sono senza subbio l’emergenza Coronavirus e i conseguenti provvedimenti governativi: in tal caso, benché il rimedio previsto dal codice civile sia la risoluzione del contratto, il creditore (ossia il locatore) può evitarla offrendo una equa modifica delle condizioni (cfr. ultimo comma art. 1467 c.c.);
– altrimenti, si potrebbe sostenere che, a causa delle dette circostanze, si è determinata un’impossibilità sopravvenuta di realizzazione dello scopo pratico per cui è stato concluso il contratto di locazione (ossia lo svolgimento delle dette attività commerciali), il che determina l’automatica e immediata risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., senza che sia necessaria alcuna pronuncia giudiziaria, bastando invece la semplice comunicazione del contraente che intende avvalersene (e possono essere entrambi) all’altro: tuttavia, da un lato, si potrebbe obiettare che l’impossibilità in questione è solo temporanea e, dunque, non può giustificare la risoluzione del contratto, ma semmai solo la sua sospensione e, dall’altro, la risoluzione del contratto potrebbe non corrispondere all’interesse né del locatore né del conduttore, essendo entrambi interessati, seppure per diversi motivi, alla conservazione del rapporto.
Si potrebbe allora sostenere che le circostanze in questione, se anche non giustificassero la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta (trattandosi di impossibilità solo temporanea), possono comunque determinare la sospensione dell’esecuzione del contratto finché esse perdurano, comportando dunque anche la sospensione dell’obbligo del conduttore di pagare il canone di locazione e del diritto del locatore di pretenderlo, non potendo dunque il secondo intimare al primo lo sfatto per morosità: tuttavia, una tale soluzione dovrebbe corrispettivamente comportare anche la “restituzione” al locatore, durante la sospensione del contratto, della disponibilità dell’immobile locato, mancando un solido riferimento normativo che consenta di conduttore di “tenersi” la disponibilità del bene locato senza avere l’obbligo di pagarne il corrispondente compenso al locatore (anche il precitato D.L. 18/2020, Cura Italia, infatti, non lo prevede espressamente, limitandosi solo a riconoscere, per l’anno 2020, ai soggetti esercenti attività d’impresa, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, dei soli negozi e botteghe chiusi in seguito alla sospensione delle suddette attività commerciali).
Pertanto – anche in ragione dell’interesse di entrambe le parti a conservare il rapporto di locazione, sebbene temporaneamente sospeso, e il loro interesse reciproco a non dovere, il conduttore, sgomberare l’immobile, ovvero a non dovere, il locatore curare la custodia dei beni mobili che vi si trovano – la soluzione migliore al problema, anche al fine di evitare gli inevitabili contenziosi, parrebbe non poter essere che quella di un accordo tra le parti, che preveda ad esempio, in analogia con quanto previsto dall’art. 65 del D.L. Cura Italia, la riduzione del 60% del canone di locazione durante la sospensione del contratto
Sarà quindi opportuno che il conduttore formalizzi tempestivamente al locatore, con le relative motivazioni, la richiesta di riduzione o sospensione del canone di locazione, adducendo le ragioni di sopravvenuta impossibilità ad adempiere agli obblighi contrattuali per causa di forza maggiore (motivi straordinari e imprevedibili), al fine di giungere ad una soluzione conciliativa, fermo restando che sarà comunque rimessa alla discrezionalità del locatore l’accettazione o meno della proposta di riduzione o sospensione.
[1] I soggetti
interessati dal D.L. n. 9/2020 sono i seguenti: a) i soggetti nei confronti dei
quali è stata disposta quarantena, b) soggetti domiciliati o destinatari di un
provvedimento di divieto di allontanamento nelle aree interessate dal contagio;
c) dai soggetti risultanti positivi al virus COVID-19; d) dai soggetti che
hanno programmato soggiorni o viaggi con partenza o arrivo nelle aree
interessate dal contagio, e) soggetti che hanno programmato la partecipazione a
concorsi pubblici o procedure di selezione pubblica, a manifestazioni o
iniziative di qualsiasi natura, a eventi e a ogni forma di riunione in luogo
pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso,
anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico, annullati, sospesi o
rinviati dalle autorità competenti in attuazione dei provvedimenti adottati, f)
soggetti intestatari di titolo di viaggio, acquistati in Italia, avente
destinazione in stati esteri, dove sia impedito o vietato lo sbarco, l’approdo
o l’arrivo in ragione dell’epidemia del COVID-19.