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WISEPOD – Covid-19: misure organizzative nei luoghi di lavoro

Ci occupiamo dei protocolli di misure di sicurezza nei luoghi di lavoro a seguito della diffusione dell’ormai purtroppo noto virus Codiv-19.

Ne parliamo con tre professionisti dello Studio Legale Wise:

Avv. Macchietto, specializzato in diritto d’impresa

Avv. Bossola, specializzata nel modello 231 dell’impresa

Avv. Berto, specializzata in diritto amministrativo

https://www.spreaker.com/show/wisepod-misure-organizzative-inail

https://open.spotify.com/episode/1lEBxYAmjSPuq71in15gC7

https://www.google.com/podcasts?feed=aHR0cHM6Ly93d3cuc3ByZWFrZXIuY29tL3Nob3cvNDM3OTQ4OS9lcGlzb2Rlcy9mZWVk

https://www.deezer.com/show/1200282

COVID – 19 E AMBIENTI DI LAVORO

Come ormai noto, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi della pandemia da COVID-19, sull’intero territorio nazionale sono adottate e sono tuttora in essere (quantomeno sino al 13 aprile 2020) misure di sospensione di tutte le attività diverse da quelle elencate nell’allegato 1 DPCM 22.03.2020 (come modificato dal D. Ministero Sviluppo Economico 25.03.2020).

Tuttavia, anche alcune altre attività sono consentite: quelle funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1 – previa comunicazione al Prefetto territorialmente competente che ha il potere di sospendere l’attività in questione nella propria provincia – nonché i servizi di pubblica utilità, i servizi essenziali (farmacie, alimentari, edicole) e le attività di ristorazione con consegna a domicilio (cui è riservata una nota informativa a parte, nel nostro sito).

E’ sempre consentita l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici nonché di prodotti agricoli e alimentari. Resta altresì consentita ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza.

  • Come devono comportarsi e come devono organizzarsi i datori di lavoro che gestiscono attività consentite?

Considerata la eccezionalità della situazione, si raccomanda di attenersi esclusivamente alle disposizioni provenienti da fonti istituzionali.

Va premesso che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione, e che devono essere sospese le attività dei reparti aziendali ritenuti non indispensabili.

In particolare, si sottolinea che la responsabilità di tutela del rischio biologico è in capo al datore di lavoro, che si avvale della collaborazione del Medico competente, del Responsabile del Servizio di Protezione Prevenzione e del Rappresentante dei Lavoratori, ai fini della valutazione dei rischi ai sensi del D. Lgs.81/2008.

La Regione Veneto ha pubblicato (ultimo aggiornamento il 26.03.2020) le

Indicazioni operative per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari.

La Regione Veneto precisa che non è necessario aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) in relazione al rischio da COVID-19, ad eccezione del caso in cui il rischio biologico sia un rischio di natura professionale già presente nel contesto espositivo dell’azienda.

È utile tuttavia che l’azienda rediga, in collaborazione con i soggetti sopra indicati, un piano di intervento o una procedura per la gestione dei casi specifici, esemplificativamente analizzati e trattati nella stessa Circolare della Regione Veneto:

  • Lavoratore sottoposto alla misura della quarantena che non rispettando il divieto assoluto di allontanamento dalla propria abitazione o dimora si presenta al lavoro.
  • Lavoratore che riferisce di essere stato nei 14 giorni precedenti a contatto stretto con un caso di COVID-19 che si presenta al lavoro.
  • Lavoratore che, inizialmente asintomatico, durante l’attività lavorativa sviluppa febbre e sintomi respiratori (tosse e difficoltà respiratoria).
  • Lavoratore asintomatico durante l’attività lavorativa che successivamente sviluppa un quadro di COVID-19.
  • Lavoratore in procinto di recarsi all’estero in trasferta lavorativa.
  • Lavoratore in procinto di rientrare dall’estero da trasferta lavorativa.

Sempre nella Circolare della Regione Veneto, troviamo le seguenti

Indicazioni per il Datore di Lavoro (e suoi collaboratori)

  • Tutela della salute pubblica

La diffusione dell’infezione rappresenta una questione di salute pubblica: la gestione delle misure preventive e protettive deve necessariamente seguire i provvedimenti adottati dalle istituzioni competenti in conformità all’evoluzione dello scenario epidemiologico. In ragione di ciò il Datore di Lavoro deve collaborare facendo rispettare i provvedimenti delle istituzioni competenti; in tal senso, anche la semplice diffusione interna delle informazioni e delle raccomandazioni provenienti da soggetti istituzionali costituisce uno strumento utile al contrasto dell’epidemia.

  • Limitazione delle occasioni di contatto

Al fine di limitare i contatti tra le persone, riducendo le occasioni di aggregazione, si riportano alcune misure di precauzione ritenute appropriate, da adattare, qualora possibile anche dal punto di vista organizzativo ed economico, alle peculiarità della propria organizzazione (sono altresì possibili soluzioni alternative o integrative di pari efficacia o più incisive):

  • promuovere la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti di periodi di congedo, ferie e altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva e favorire il massimo utilizzo delle modalità del lavoro a distanza (cosiddetto “lavoro agile” o “smart working”);
  • adottare misure organizzative per favorire orari di ingresso/uscita scaglionati, al fine di limitare al massimo le occasioni di contatto nelle zone di ingresso/uscita;
  • limitare al massimo gli spostamenti all’interno dei siti produttivi;
  • limitare al massimo l’accesso ai visitatori;
  • individuare procedure di ingresso, transito e uscita di fornitori esterni, mediante modalità, percorsi e tempistiche predefinite, al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale aziendale;
  • evitare l’organizzazione e la partecipazione a incontri collettivi in situazioni di affollamento in ambienti chiusi (es. congressi, convegni), privilegiando soluzioni di comunicazione a distanza;
  • privilegiare, nello svolgimento di incontri o riunioni, le modalità di collegamento da remoto, o in alternativa dare disposizioni di rispettare il “criterio di distanza droplet” (almeno 1 metro di separazione);
  • regolamentare l’accesso a spazi comuni, spogliatoi, spazi destinati alla ristorazione (es. mense), allo svago o simili (es. aree relax, sala caffè, aree fumatori), limitando il numero di presenze contemporanee, il tempo di permanenza massima e dando in ogni caso disposizioni di rispettare il “criterio di distanza droplet” (almeno 1 metro di separazione);
  • laddove presente un servizio di trasporto organizzato dall’azienda, dare disposizioni di rispettare il “criterio di distanza droplet” (almeno 1 metro di separazione);
  • qualora, infine, non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di 1 metro come principale misura di contenimento, o non fossero possibili altre soluzioni organizzative, adottare strumenti di protezione individuale.
  • Norme di comportamento e corretta prassi igienica

Oltre alle misure organizzative sopra riportate, si ritiene necessario che il Datore di Lavoro, in collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione, con il Medico Competente e con i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, disponga misure rafforzative delle ordinarie norme di comportamento e corretta prassi igienica, sia a tutela dei lavoratori, sia degli utenti esterni (anche occasionali), da estendere anche ai possibili utenti esterni (visitatori, fornitori, trasportatori, lavoratori autonomi, imprese appaltatrici). Tali misure comprendono:

 informare tutti i lavoratori che in caso di febbre (>37.5 °C), tosse o difficoltà respiratoria non si presentino al lavoro;

  • evitare contatti stretti con soggetti che presentano sintomi respiratori senza adottare opportune precauzioni;
  • sensibilizzare al rispetto delle corrette indicazioni per l’igiene delle mani e delle secrezioni respiratorie, mettendo altresì a disposizione idonei mezzi detergenti per le mani;
  • disporre una adeguata pulizia dei locali e delle postazioni di lavoro più facilmente toccate da lavoratori e utenti esterni; a tal proposito, per gli utenti esterni (fornitori, trasportatori, altro personale), individuare servizi igienici dedicati e vietare l’utilizzo di quelli del personale aziendale.

Per la pulizia di ambienti non sanitari (es. postazioni di lavoro, uffici, mezzi di trasporto) dove abbiano eventualmente soggiornato casi di COVID-19, applicare le misure straordinarie di seguito riportate: a causa della possibile sopravvivenza del virus nell’ambiente per diverso tempo, i luoghi e le aree potenzialmente contaminati devono essere sottoposti a completa pulizia con acqua e detergenti comuni prima di essere nuovamente utilizzati. Per la decontaminazione, si raccomanda l’uso di ipoclorito di sodio 0.1% dopo pulizia. Per le superfici che possono essere danneggiate dall’ipoclorito di sodio, utilizzare etanolo al 70% dopo pulizia con un detergente neutro. Durante le operazioni di pulizia con prodotti chimici, assicurare la ventilazione degli ambienti. Tutte le operazioni di pulizia devono essere condotte da personale provvisto di DPI (filtrante respiratorio FFP2 o FFP3, protezione facciale, guanti monouso, camice monouso impermeabile a maniche lunghe) e seguire le misure indicate per la rimozione in sicurezza dei DPI. Dopo l’uso, i DPI monouso vanno smaltiti come materiale potenzialmente infetto.

Vanno pulite con particolare attenzione tutte le superfici toccate di frequente, quali superfici di muri, porte e finestre, superfici dei servizi igienici e sanitari. Per la pulizia di ambienti non frequentati da casi di COVID-19, è sufficiente procedere alle pulizie ordinarie degli ambienti con i comuni detergenti, avendo cura di pulire con particolare attenzione tutte le superfici toccate di frequente (es. muri, porte, finestre, superfici dei servizi igienici)

  • Sorveglianza sanitaria

Considerato che, per la durata delle misure di restrizione disposte dai provvedimenti citati in premessa, le attività non indispensabili devono essere sospese e che devono essere incentivate ferie, congedi e altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva, si ritiene che i lavoratori non effettivamente in servizio non debbano essere inviati alla visita medica periodica finalizzata all’espressione del giudizio di idoneità alla mansione, se in scadenza e/o scaduta. In ogni caso, per quanto riguarda l’attività di sorveglianza sanitaria, si rimanda alle indicazioni riportate nella sezione successiva “Indicazioni per il Medico Competente (e suoi collaboratori)”

Ricordiamo che il datore di lavoro, prima dell’accesso al luogo di lavoro, può sottoporre il personale al controllo della temperatura corporea. Può anche vietare l’accesso a chiunque risulti avere una temperatura superiore a 37,5° C.

In presenza di febbre (oltre 37.5° C) o altri sintomi influenzali, il lavoratore ha l’obbligo di restare nel proprio domicilio e avvisare il medico di famiglia e l’autorità sanitaria.

Il Garante per la protezione dei dati personali ha chiarito che i datori di lavoro devono astenersi dal raccogliere a priori e in modo sistematico e generalizzato informazioni su eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o che comunque rientrano nella sfera extralavorativa. Resta tuttavia fermo per i lavoratori l’obbligo di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.

  • Verifiche e manutenzioni periodiche

 Ai sensi del D.l. n. 18/2020 tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020 conservano la loro validità fino al 15 giugno 2020. Si ritiene che tale disposizione sia applicabile anche agli adempimenti e alle manutenzioni ordinarie degli impianti e dei presidi di sicurezza negli ambienti di lavoro previste dal D.Lgs. n. 81/2008

  • Risposte ad alcuni dubbi
  • Quale tipo di mascherine è necessario fornire ai lavoratori?

Salvo diverse future indicazioni, ad oggi le mascherine FFP2 o FFP3 sono previste solo per:

  • personale sanitario in contatto con un caso sospetto o confermato di COVID-19 (utilizzare sempre FFP3 per le procedure che generano aerosol);
  • personale addetto alle operazioni di pulizia di ambienti dove abbiano soggiornato casi confermati di COVID-19 prima di essere stati ospedalizzati.

Al di fuori di questi casi, non è previsto l’utilizzo di tali DPI, a meno che i rischi specifici legati all’attività svolta non lo prevedano già (necessità di protezione da polveri, fumo e aerosol solidi e liquidi tossici e dannosi per la salute).

La mascherina del tipo “chirurgico” non è strettamente obbligatoria ma fortemente consigliata, ma deve invece essere necessariamente utilizzata dai lavoratori che non possono lavorare sistematicamente a distanza superiore ad un metro.

Le mascherine chirurgiche devono essere utilizzate in conformità a quanto previsto dalle
indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità.

  • Cosa si intende per “stretto contatto”? 

E’ importante comprendere cosa si intenda per “stretto contatto”, tenendo presente che il collegamento epidemiologico può essere avvenuto entro un periodo di 14 giorni prima dell’insorgenza della malattia nel caso in esame.

Si riportano i criteri per stabilire il concetto di stretto ad alto rischio di esposizione (Fonte Circolare Ministero della Salute 27 febbraio 2020):

  • persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19;
  • persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (es. stretta di mano);
  • persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (es. toccare a mani nude fazzoletti di carta usati);
  • persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore di 15 minuti;
  • persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa, veicolo) con un caso di COVID-19 per almeno 15 minuti, a distanza minore di 2 metri;
  • persona che abbia viaggiato seduta in aereo nei due posti adiacenti, in qualsiasi direzione, di un caso di COVID-19, i compagni di viaggio o le persone addette all’assistenza e i membri dell’equipaggio addetti alla sezione dell’aereo dove il caso indice era seduto (qualora il caso indice abbia una sintomatologia grave o abbia effettuato spostamenti all’interno dell’aereo determinando una maggiore esposizione dei passeggeri, considerare come contatti stretti tutti i passeggeri seduti nella stessa sezione dell’aereo o in tutto l’aereo).
  • Infine, alcuni documenti particolarmente utili per orientare le imprese in questa situazione di emergenza.

Anzitutto:

COVID-19: Sintesi delle principali disposizioni e indicazioni fornite per i Datori di Lavoro

a cura del Servizio SPISAL Azienda AULSS 9 Scaligera

Facciamo presente che ancora in data 14.03.2020 le parti sociali hanno condiviso con il Governo un

Protocollo Condiviso di Regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro

In applicazione di tale Protocollo, sono stati elaborati Protocolli di Settore con indicazioni di dettaglio per alcuni settori produttivi; si veda

Scheda riassuntiva dei Protocolli condivisi con le parti sociali (Settore del Trasporto e della Logistica; Cantieri Edili; Regione Veneto: accordo per l’applicazione del Protocollo Condiviso sottoscritto a Roma il 14.03.2020;)

Anch’esso a cura del Servizio SPISAL Azienda AULSS 9 Scaligera

Particolarmente utile, poi, potrebbe risultare il fac-simile di

Protocollo aziendale di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro

predisposto da Confindustria, da utilizzare (una volta debitamente compilato, previa consultazione delle rappresentanze sindacali e/o del RLS) per adottare singoli Protocolli aziendali, da ritenersi quantomai opportuni.

La stessa Confindustria ha proposto inoltre un modello di

Informativa sul trattamento dei dati personali

relativa ai dati che possono venire trattati in occasione della emergenza COVID-19 (temperatura corporea, informazioni sugli spostamenti o contatti con persone a rischio ecc.).

Coronavirus Covid19 e contratti in essere

Sommario:  1. Premesse; 2. L’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità: sospensione, risoluzione o riduzione del contratto? 3. Esame dei principali contratti d’impresa;  3.1 Contratto d’appalto; 3.2 Contratto d’opera; 3.3 Contratto di somministrazione: 3.4 Pacchetto turistico e titoli di viaggio; 3.5 Contratto d’albergo; 3.6 Contratto di lavoro subordinato; 3.6.1 Lavoro agile (smart working); 3.6.2 3.6.2 Congedo ordinario o ferie “forzate”; 3.7 Contratto di locazione commerciale.

  1. Premesse.

La pandemia da coronavirus COVID-19 sta impattando non solo sulla salute e sulla vita comune delle persone ma anche, in modo non indifferente, sulle dinamiche contrattuali legate all’operatività ordinaria.

Una serie di D.P.C.M. (in ordine di tempo, dal primo del 23 febbraio 2020, all’ultimo, alla data di oggi, del 1° aprile 2020) e in particolare il D.P.C.M. 11 marzo 2022 per come integrato dal D.P.C.M. 22 marzo 2020, nonché il  D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, infatti, hanno imposto una serie di misure di distanziamento sociale che hanno comportato una forte limitazione degli spostamenti delle persone, nonché la riduzione se non addirittura la chiusura di molte attività produttive e commerciali (anzi, la chiusura di tutte, eccetto quelle elencate tassativamente dall’Allegato 1 del D.P.C.M. del 22 marzo 2020, che le ha identificate tramite il riferimento ai codici ATECO).

A fronte di tali provvedimenti restrittivi e interdittivi, c’è da chiedersi se e come essi possano incidere sulla normale prosecuzione dei rapporti contrattuali: infatti, a causa dei provvedimenti medesimi, una o entrambe le parti contraenti potrebbero trovarsi nell’impossibilita di adempiere.

  1.  L’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità sopravvenuta: sospensione, risoluzione o modifica del contratto?

Ai sensi dell’art. 1256 c.c., primo comma, c.c., l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, qualora non dipenda da causa imputabile al debitore ma sia invece determinata da caso fortuito (ossia da una circostanza imprevedibile e inevitabile dal debitore) o da causa di forza maggiore (ossia una circostanza “esterna” all’obbligazione e che sfugge al controllo del debitore) comporta generalmente l’estinzione dell’obbligazione, con la conseguenza che il debitore non è più tenuto al suo adempimento, divenuto impossibile senza sua colpa, né a risarcire il danno il danno che da ciò derivi al creditore.

Applicando tale regola generale all’ambito dei contratti, nei quali generalmente all’obbligazione di un contraente (ad esempio, la consegna di una merce o lo svolgimento di un’opera o di un servizio) corrisponde l’obbligazione dell’altro contraente (tipicamente, il pagamento del prezzo) e che per questo si chiamano a prestazioni corrispettive, giustificandosi causalmente l’una con l’altra, si ottiene che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione dovuta da un contraente ovvero l’impossibilità di utilizzare la prestazione della controparte e/o di realizzare lo scopo pratico del contratto comportano, ai sensi dell’art. 1463 c.c., l’automatica risoluzione del contratto, con la conseguenza che egli non è più obbligato ad eseguire la prestazione cui era obbligato e che anche l’altro contraente non è più obbligato a eseguire la sua controprestazione, anche se questa è rimasta possibile, e può anzi pretenderne la restituzione nel caso in cui l’abbia già eseguita.

Questo, in effetti, è ciò che può avvenire a causa dell’emergenza sanitaria da coronavirus, in quanto la prestazione di un contraente (ad esempio, si ripete, la consegna di una merce o lo svolgimento di un’opera o di un servizio) può essere impedita dai vincoli imposti dal governo alla mobilità e all’attività delle persone, nonché alle attività produttive e commerciali delle imprese; analogamente, a causa dell’emergenza coronavirus, la prestazione di un contraente, sebbene astrattamente ancora possibile, potrebbe non consentire più la realizzazione dello scopo per il quale era stato concluso il contratto (si pensi, ad esempio, a un contratto che abbia ad oggetto la realizzazione di un opera o la prestazione di un servizio per un’attività che non è più consentita); oppure, ancora, a causa dell’emergenza coronavirus, il valore e/o il costo della prestazione di uno dei contraenti potrebbe aumentare o ridursi eccessivamente, divenendo eccessivamente sproporzionato rispetto a quello della prestazione altrui o comunque rispetto a quanto avuto presente dalle parti al momento della conclusione del contratto.

Pertanto, qualora ciò concretamente accada, il contraente obbligato alla prestazione divenuta impossibile a causa del coronavirus può semplicemente comunicare per iscritto all’altro contraente che intende avvalersi della risoluzione del contratto ex art. 1463 c.c. (che, si ripete, è “automatica”, nel senso che non richiede la pronuncia di un giudice né di nessun altra autorità), con la conseguenza che egli non è più obbligato ad eseguire la prestazione e, d’altra parte, non può nemmeno pretendere la controprestazione dell’altro contraente; oppure, analogamente, il contraente che non può più ricevere né pretendere la prestazione della sua controparte, perché divenuta impossibile, può semplicemente comunicargli per iscritto che intende avvalersi della risoluzione del contratto ex art. 1463 c.c., con la conseguenza che anch’egli non sarà più obbligato ad eseguire la sua controprestazione, anche se questa è rimasta possibile, e potrà anzi chiederne la restituzione qualora l’abbia già eseguita.

Tuttavia, a tali comunicazioni e richieste, l’altro contraente potrebbe opporre che quella determinata dall’emergenza sanitaria da coronavirus non è un’impossibilità totale e definitiva, ma solo un’impossibilità temporanea (perché è immaginabile o almeno auspicabile che l’emergenza passi), con la conseguenza che il contratto non sarebbe risolto “automaticamente” di diritto, ma sarebbe invece solo “sospeso”, ai sensi degli artt. 1256 c.c., secondo comma, e 1464 c.c., nel senso che il debitore non può essere ritenuto responsabile per il ritardo e/o inadempimento finché sussiste la detta impossibilità, mentre le obbligazioni reciproche dei contraenti (e la loro responsabilità) tornerebbero ad essere vincolanti una volta finita l’emergenza.

Anche in questo caso, però, il contraente interessato alla risoluzione del contratto potrebbe fondatamente sostenere che, se è vero che solo l’impossibilità totale e definitiva comporta la risoluzione del contratto, è altresì vero che, proprio ai sensi degli art. 1256 c.c., secondo comma, e dell’art. 1464 c.c. l’impossibilità della prestazione va valutata con riferimento all’interesse concreto del creditore, con la conseguenza che, quando tale interesse sia venuto meno o sia divenuto irrealizzabile lo scopo pratico che le parti volevano raggiungere con quello specifico contratto, questo comunque si risolve, in quanto «l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla» (art. 1256 c.c., secondo comma, c.c.) e «quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte può recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale» (art. 1464 c.c.).

Allo stesso modo, qualora concretamente accada che, a causa dell’emergenza coronavirus, la prestazione di una parte sia divenuta eccessivamente onerosa rispetto all’altra, il contrante obbligato a fornirla può domandare al giudice la risoluzione del contratto (art. 1467, primo comma,  c.c.), che dunque con è “automatica” come nel caso di impossibilità sopravvenuta,  ma anche in questo caso l’altro contraente potrebbe opporsi sostenendo che la sproporzione venutasi a creare tra prestazione e controprestazione a causa dell’emergenza coronavirus non è “eccessiva”, oppure offrendo una “equa” modifica (su cui equità, potrebbe comunque ancora sorgere ulteriore controversia) delle condizioni del contratto (art. 1467, terzo comma, c.c.).

In sostanza, dunque, gli effetti giuridici del COVID-19 sui negozi stipulati dovranno essere esaminati e valutati in concreto caso per caso.

  1. Esame dei principali contratti d’impresa.

Ciò posto in termini generali, si evidenziano di seguito le conseguenze del COVID-19, quale causa di impossibilità e/o inutilizzabilità sopravvenuta della prestazione o di sua eccessiva onerosità, sui principali contratti d’impresa.

A causa dei provvedimenti dell’Autorità emanati a tutela della salute pubblica, le parti di un contratto di appalto d’opera e/o di servizi potrebbero essere impossibilitate a svolgere la propria prestazione.

L’appaltatore, ad esempio, si potrebbe trovare in una delle seguenti situazioni:

In tali casi, l’appaltatore non potrà essere ritenuto responsabile dell’inadempimento e/o del ritardo dell’esecuzione della prestazione, in quanto si tratta di un impedimento dovuto a causa di forza maggiore o a un ordine dell’Autorità pubblica.

L’esecuzione del contratto sarà, dunque, (quantomeno) temporaneamente sospesa fino a quanto gli impedimenti oggettivi cesseranno, con la conseguenza che l’appaltatore non dovrà svolgere la propria prestazione e il committente non dovrà provvedere al pagamento del compenso.

Si segnala che in caso di morte dell’appaltatore, il contratto continua a produrre effetti e non si risolve ipso iure, ma rimane in ogni caso salva la facoltà del committente di recesso ex art. 1674 c.c.

Il committente, dal canto suo, potrebbe ad esempio trovarsi a dover affrontare le seguenti situazioni:

  •  3.2 Contratto d’opera.

Il prestatore d’opera potrebbe essere impossibilitato ad eseguire la propria prestazione perché, ad esempio, vi è ordine dell’Autorità pubblica che gli impedisce di eseguirla, come può essere il divieto di spostamento perché ha contratto il virus: in tal caso, il prestatore non potrà essere ritenuto responsabile dell’inadempimento e l’esecuzione del contratto si sospenderà fintanto che la causa di forza maggiore o i provvedimenti dell’autorità non cessino.

Il committente, a sua volta, non sarà obbligato al pagamento del corrispettivo fintanto che perdura la causa di impossibilità; egli rimarrà invece obbligato al pagamento del corrispettivo per tutte le prestazioni che il prestatore ha eseguito anteriormente al periodo di emergenza sanitaria; in ogni caso, il committente potrà recedere unilateralmente dal contratto, purché tenga indenne il prestatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno (cfr. art. 2227 e art.2237 c.c.).

  •  3.3 Contratto di somministrazione.

Nel contratto di somministrazione, il somministratore esegue a favore del somministrato le prestazioni periodiche di beni o cose verso il corrispettivo di un prezzo.

Il somministratore, a causa dell’epidemia da COVID-19, potrebbe essere impossibilitato a eseguire a favore del somministrato la propria prestazione e, in tal caso, egli non potrà essere ritenuto responsabile dell’inadempimento della prestazione: conseguentemente, l’esecuzione del contratto si sospende fino a quanto stabilito nell’ordine dell’autorità; va da sé che, se l’oggetto del contratto di somministrazione concerne fornitura di beni o servizi non coinvolti dai provvedimenti restrittivi o interdittivi dell’Autorità pubblica perché considerati “essenziali” (ad esempio, gas, energia elettrica, giornali, riviste, eccetera) l’esecuzione del contratto non potrà essere sospesa e il somministratore sarà obbligato ad adempiere alla propria prestazione.

Il somministrato, una volta cessato il periodo di sospensione, potrà chiedere la risoluzione del contratto se l’inadempimento del somministrante perdura, è di notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti ex art. 1564 c.c.; nel caso invece di contratto a tempo indeterminato, rimane sempre salva la facoltà del somministrato di recedere dal contratto, dando un congruo preavviso al somministratore ex art. 1569 c.c.

All’art. 28 del D.L. n. 9 del 2 marzo 2020, si è previsto che alcune particolari categorie di viaggiatori[1], essendo impossibilitate a usufruire del proprio c.d. pacchetto e/o titolo di viaggio a causa del contagio da COVID-19 o di un provvedimento dell’autorità, potranno recedere dal contratto (salvo che la prestazione non abbia avuto già inizio di esecuzione).

Stante il recesso del viaggiatore, il tour operator e/o l’intermediario o la compagnia aerea o di trasporti potrà:

  1. offrire un c.d. pacchetto sostitutivo di qualità equivalente o superiore; oppure
  2. rimborsare il corrispettivo versato per il titolo di viaggio e/o per il pacchetto; oppure
  3. emettere un voucher da utilizzare entro 1 anno dalla sua emissione di importo pari al rimborso spettante.

Si segnala che dall’8 marzo 2020 il Governo ha posto il divieto, durante tutto il periodo dell’emergenza sanitaria, a tutti i cittadini italiani di allontanarsi dalla propria abitazione, se non per motivi lavorativi e di salute: a fronte di ciò, si ritiene che tutti i cittadini italiani (non solo ai soggetti particolari di cui al D.L. n. 9/2020), che abbiano acquistato un titolo di viaggio o pacchetto turistico fruibile dal 8 marzo 2020 fino a tutto il periodo di restituzione disposto dall’autorità per COVID-19, possano recedere dal contratto per impossibilità sopravvenuta nell’esecuzione dell’oggetto.

  • 3.5 Contratto d’albergo

Con il D.P.C.M del 8 marzo 2020 e con le successive proroghe, il Governo ha disposto a tutti i cittadini italiani il divieto di allontanamento dalla propria abitazione se non per comprovate esigenze lavorative, di salute e di necessità.

Fino a che tali provvedimenti non scadranno o non saranno revocati, il cliente non potrà viaggiare in Italia e fuori da paese e, qualora abbia prenotato una camera di albergo in tale periodo di emergenza sanitaria, potrà disdire la prenotazione e chiedere all’albergatore la restituzione della caparra e/o acconto già versati.

Si segnala che il Decreto “Cura Italia” (D.L. n. 18 del 17 marzo 2020) ha esteso il precitato art. 28 D.L. n. 9 del 2 marzo 2020 in tema di “pacchetti turistici” anche al contratto d’albergo, prevedendo espressamente che l’albergatore, a fronte del recesso del cliente dovuto all’emergenza coronavirus, potrà:

  1. rimborsare il corrispettivo versato per il titolo di viaggio e/o per il pacchetto; oppure
  2. emettere un voucher da utilizzare entro 1 anno dalla sua emissione di importo pari al rimborso spettante.
  •  3.6 Contratto di lavoro subordinato

A seguito dell’emanazione del D.P.C.M del 4 marzo 2020 il datore di lavoro per contrastare e contenere la diffusione del COVID-19 può adottare la modalità di lavoro agile (cosiddetto “smart working”) oppure invitare i dipendenti a mettersi in congedo ordinario o ferie “forzate”.

3.6.1 Lavoro agile (smart working)

Il lavoro agile (smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e da un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi.

Il D.P.C.M. del 4 marzo 2020 ha esteso a tutto il territorio nazionale la possibilità del datore di lavoro di adottare unilateralmente la modalità di lavoro agile (smart working), senza un previo accordo scritto tra azienda e dipendente durante tutto il periodo dell’epidemia.

In sostanza, il lavoratore potrà svolgere le proprie mansioni dal pc della propria abitazione, salvo in ogni caso l’obbligo di assumere ogni misura operativa, organizzativa e tecnica, idonea a garantire l’accesso, disponibilità e sicurezza dei dati trattati, evitando pertanto di assumere comportamenti che possano comportare rischi di perdita di dati, accesso non autorizzato o di diffusione, analogamente a quanto previsto per i servizi effettuati in sede.

Dal canto suo, il datore di lavoro, ai fini dell’adottabilità dello smart working dovrà:

  1. inviare al dipendente una comunicazione di avviso di smart working;
  2. predisporre un’autodichiarazione per dipendente di avviso di attivazione di smart working per motivi emergenziali.

Tali modelli dovranno essere trasmessi con comunicazione telematica obbligatoria al sito del Ministero del Lavoro entro il giorno antecedente a quello d’inizio della prestazione lavorativa; la mancata comunicazione comporterà una sanzione amministrativa da 100 a 500 euro per ogni lavoratore.

3.6.2 Congedo ordinario o ferie “forzate”.

Qualora il datore di lavoro decida di non adottare la modalità del lavoro agile, potrà invitare i dipendenti a mettersi in congedo ordinario o “ferie forzate”.

In caso di congedo ordinario al dipendente spetta la normale retribuzione. Rimangono in ogni caso esclusi i compensi per prestazioni di lavoro straordinario e le indennità che non siano corrisposte per dodici mensilità.

In concreto, può distinguersi la seguente possibile casistica.

Dal lato dipendente:

  1. il dipendente in malattia o in quarantena obbligatoria non può usufruire dello smart working, in quanto è in uno stato di sospensione del rapporto di lavoro, ma ha diritto alla retribuzione; in caso di quarantena, l’assenza del dipendente dovrà essere disciplinata secondo le previsioni di legge e contrattuali che riguardano l’assenza per malattia, con le conseguenti tutele per la salute e la garanzia del posto di lavoro; 
  2. Se il dipendete ha timore di essere stato contagiato e non si reca sul luogo di lavoro, esso viene considerato in assenza ingiustificata situazione da cui possono scaturire provvedimenti disciplinari che possono portare anche al licenziamento

Dal lato datore di lavoro:

  1. se l’attività lavorativa viene sospesa volontariamente dal datore di lavoro, il lavoratore continua ad avere diritto alla retribuzione, ma il datore di lavoro potrà imporgli di utilizzare fino ad esaurimento i giorni di ferie/permessi maturati;
  2. se l’attività lavorativa viene sospesa a causa di un provvedimento autoritativo del Governo (ad esempio, il DPCM del 11 marzo 2020 che ha imposto la chiusura delle attività commerciali), il rapporto di lavoro si ritiene sospeso e il lavoratore non avrà diritto alla retribuzione, in quanto si tratta di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa per motivi oggettivi, ma potrà accedere alle varie forme di previdenza sociali (cassa integrazione e FIS) che anzi sono state potenziate.

In ogni caso, l’art. 46 del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 (decreto Cura Italia) ha previsto che, fino a sessanta giorni dopo la sua entrate in vigore (cioè fino al 16 maggio 2020), salve successive proroghe, saranno precluse le nuove procedure di licenziamento collettivo  e sospese quelle avviate dopo il 23 febbraio 2020 e che, fino allo stesso termine, non saranno consentiti i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (ossia per ragioni “economiche”), qualunque sia il numero di dipendenti dell’azienda.

  • 3.7 Contratto di locazione commerciale.

Con il D.P.C.M dell’11 marzo 2020 e successive proroghe, il Governo ha sospeso tutte le attività commerciali al dettaglio (fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità), nonché le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) e le attività inerenti ai servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti).

Le conseguenze di tale provvedimento sui contratti di locazione degli immobili in cui si svolgono e dette attività non sono purtroppo sicure.

Va infatti precisato che i detti divieti non incidono sulla prestazione principale del locatore, ovvero la messa a disposizione di locali idonei all’uso che ne è consentito ai sensi del contratto, in quanto non hanno alcuna attinenza all’immobile in cui si svolge l’attività, alle sue caratteristiche o alla sua idoneità all’uso pattuito; del pari non è affatto scontato che, in termini di rigorosa causalità, la chiusura temporanea dell’attività renda impossibile la prestazione principale del conduttore consistente nel pagamento del canone di locazione e delle spese accessorie, tanto più che ai sensi del D.P.C.M. 11/03/2020 l’attività di ristorazione è consentita con consegna a domicilio ed è altresì permesso il commercio di qualsiasi tipo di prodotto via internet e per corrispondenza.

Tuttavia, è inevitabile che per il conduttore, a causa dell’oggettivo crollo del fatturato e degli incassi conseguente alla “chiusura” dell’attività commerciale, possano insorgere una crisi di liquidità e con essa serie difficoltà a pagare il canone di locazione di un immobile commerciale divenuto giocoforza improduttivo.

Le soluzioni possono essere, in astratto, le seguenti:

–       può dirsi anzitutto che  resta ferma l’applicabilità dell’art. art. 27, ottavo comma, della legge 392/1978, ai sensi del quale il conduttore può recedere dal contratto in caso di “gravi motivi” (che potrebbero ben rinvenirsi nell’emergenza coronavirus e nei conseguenti provvedimenti di sospensione delle attività commerciali), ma in tal caso deve concedere al locatore un preavviso di almeno sei mesi e dunque è in ogni caso tenuto a corrispondergli il canone di locazione per tutto il semestre di preavviso;

–       in alternativa, il conduttore potrebbe domandare al giudice la pronuncia della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., facendo valere la grave alterazione dell’equilibrio tra il valore delle prestazioni corrispettive causata da eventi straordinari, imprevedibili e successivi all’assunzione dell’impegno, quali sono senza subbio l’emergenza Coronavirus e i conseguenti provvedimenti governativi: in tal caso, benché il rimedio previsto dal codice civile sia la risoluzione del contratto, il creditore (ossia il locatore) può evitarla offrendo una equa modifica delle condizioni (cfr. ultimo comma art. 1467 c.c.);

–       altrimenti, si potrebbe sostenere che, a causa delle dette circostanze, si è determinata un’impossibilità sopravvenuta di realizzazione dello scopo pratico per cui è stato concluso il contratto di locazione (ossia lo svolgimento delle dette attività commerciali), il che determina l’automatica e immediata risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., senza che sia necessaria alcuna pronuncia giudiziaria, bastando invece la semplice comunicazione del contraente che intende avvalersene (e possono essere entrambi) all’altro: tuttavia, da un lato, si potrebbe obiettare che l’impossibilità in questione è solo temporanea e, dunque, non può giustificare la risoluzione del contratto, ma semmai solo la sua sospensione e, dall’altro, la risoluzione del contratto potrebbe non corrispondere all’interesse né del locatore né del conduttore, essendo entrambi interessati, seppure per diversi motivi, alla conservazione del rapporto.

Si potrebbe allora sostenere che le circostanze in questione, se anche non giustificassero la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta (trattandosi di impossibilità solo temporanea), possono comunque determinare la sospensione dell’esecuzione del contratto finché esse perdurano, comportando dunque anche la sospensione dell’obbligo del conduttore di pagare il canone di locazione e del diritto del locatore di pretenderlo, non potendo dunque il secondo intimare al primo lo sfatto per morosità: tuttavia, una tale soluzione  dovrebbe corrispettivamente comportare anche la “restituzione” al locatore, durante la sospensione del contratto, della disponibilità dell’immobile locato, mancando un solido riferimento normativo che consenta di conduttore di “tenersi” la disponibilità del bene locato senza avere l’obbligo di pagarne il corrispondente compenso al locatore (anche il precitato D.L. 18/2020, Cura Italia, infatti, non lo prevede espressamente, limitandosi solo a riconoscere, per l’anno 2020, ai soggetti esercenti attività d’impresa, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, dei soli negozi e botteghe chiusi in seguito alla sospensione delle suddette attività commerciali).

Pertanto – anche in ragione dell’interesse di entrambe le parti a conservare il rapporto di locazione, sebbene temporaneamente sospeso, e il loro interesse reciproco a non dovere, il conduttore, sgomberare l’immobile, ovvero a non dovere, il locatore curare la custodia dei beni mobili che vi si trovano – la soluzione migliore al problema, anche al fine di evitare gli inevitabili contenziosi, parrebbe non poter essere che quella di un accordo tra le parti, che preveda ad esempio, in analogia con quanto previsto dall’art. 65 del D.L. Cura Italia, la riduzione del 60% del canone di locazione durante la sospensione del contratto

Sarà quindi opportuno che il conduttore formalizzi tempestivamente al locatore, con le relative motivazioni, la richiesta di riduzione o sospensione del canone di locazione, adducendo le ragioni di sopravvenuta impossibilità ad adempiere agli obblighi contrattuali per causa di forza maggiore (motivi straordinari e imprevedibili), al fine di giungere ad una soluzione conciliativa, fermo restando che sarà comunque rimessa alla discrezionalità del locatore l’accettazione o meno della proposta di riduzione o sospensione.


[1] I soggetti interessati dal D.L. n. 9/2020 sono i seguenti: a) i soggetti nei confronti dei quali è stata disposta quarantena, b) soggetti domiciliati o destinatari di un provvedimento di divieto di allontanamento nelle aree interessate dal contagio; c) dai soggetti risultanti positivi al virus COVID-19; d) dai soggetti che hanno programmato soggiorni o viaggi con partenza o arrivo nelle aree interessate dal contagio, e) soggetti che hanno programmato la partecipazione a concorsi pubblici o procedure di selezione pubblica, a manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, a eventi e a ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico, annullati, sospesi o rinviati dalle autorità competenti in attuazione dei provvedimenti adottati, f) soggetti intestatari di titolo di viaggio, acquistati in Italia, avente destinazione in stati esteri, dove sia impedito o vietato lo sbarco, l’approdo o l’arrivo in ragione dell’epidemia del COVID-19.