Wise Legal & Tax, con l’Avv. Riccardo Rocca e l’Avv. Andrea Rinaldi, ha visto accogliere dalla Corte Suprema di Cassazione, con l’ordinanza del 19.12.2023 n. 35497, il proprio ricorso avente ad oggetto l’annullamento della cartella di pagamento emessa a carico di un proprio Cliente dall’Ente riscossore (all’epoca, Equitalia S.p.a.) per omesso versamento di IRAP, IRES a IVA da parte della Società di capitale, nel frattempo fallita, di cui egli era stato socio e amministratore.
La pretesa del Fisco trovava (preteso fondamento) della disciplina di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 602 del 1973, secondo cui, eccezionalmente rispetto al principio della separazione patrimoniale perfetta che si applica alle persone giuridiche (tra cui, appunto, rientrano le società di capitale), dei debiti tributari relativi alle imposte sui redditi dovute per il periodo della liquidazione e per quelle anteriori, rispondono personalmente i liquidatori (ove questi in fase di liquidazione abbiano provveduto a soddisfare crediti di ordine inferiore a quelli tributari, ovvero abbiano assegnato beni a soci o associati senza aver soddisfatto prima i crediti medesimi), nonché gli amministratori (laddove, in presenza di una causa di scioglimento, non abbiano provveduto alla messa in liquidazione della società con nomina dei liquidatori, ovvero abbiano commesso nel biennio antecedente alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione o atti di occultamento di attività sociali) nonché infine agli stessi soci (limitatamente al denaro e ai beni da questi ricevuti dagli amministratori nel corso degli ultimi 2 periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione, ed ai beni ricevuti dal liquidatore durante il tempo della liquidazione).
In primo grado, l’impugnazione del Cliente avverso la detta cartella di pagamento era stata accolta dalla Commissione tributaria provinciale, in base al duplice rilievo che la cartella di pagamento impugnata non era stata preceduta da alcun atto di accertamento, rimanendo così la responsabilità in capo alla Società, «in quanto così dispone l’art. 7 del D.L. n. 269 del 30.9.2003», e che l’Ufficio avrebbe dovuto notificare propedeutico avviso bonario, «secondo la normativa riferita all’art. 6, comma 5, L. 212/ 2000».
In secondo grado, invece, la Commissione tributaria regionale aveva accolto l’appello dell’Ufficio, in quanto «dall’esame degli atti e documenti del processo emerge c[om]e la pretesa fiscale contenuta nella cartella non sia oggetto di contestazione specifica, ovverosia non risulta esser stata dimostrata una sostanziale difformità fra le somme iscritte a ruolo e quelle da versare. La responsabilità degli amministratori per le imposte dovute dalla società è sancita dall’art. 36 DPR 602/73 e trae origine da una obbligazione ex lege derivante dalle norme civilistiche in materia societaria […]. Per quanto concerne l’obbligo della notifica dell’avviso bonario la Suprema Corte ha confermato, sent. 13343/2012, che sussiste tale obbligo soltanto qualora dal controllo automatico emergano errori nella dichiarazione. Orbene, nel caso di specie, non è dato rilevare alcun errore nella dichiarazione né il contribuente si è attivato a provarne l’esistenza. Al di fuori del caso in cui sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione non è fatto obbligo di notificare al contribuente avviso bonario (ord. Cass. n. 22035/2010). Il contribuente, pertanto, nella sua qualità di amministratore, è tenuto al pagamento delle somme portate in cartella[,] in quanto responsabile del mancato o ritardato pagamento delle imposte societarie».
Contro tale pronuncia, ha quindi proposto ricorso per cassazione il Cliente, assistito dai detti professionisti di Wise Legal & Tax, denunciando, tra l’altro:
- la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36, commi 5 e 6, d.p.r. 602/73 e dell’art. 24 cost., per difetto di preventivo avviso d’accertamento»”: sostenevano al riguardo gli Avvocati di Wise Legal & Tax che la sentenza impugnata, sebbene riconoscesse correttamente l’applicabilità nel caso di specie dell’art. 36 d.p.r. 602 del 1973, incorreva nella sua violazione per avere erroneamente trascurato che il comma 5 di detto articolo prevede testualmente che “la responsabilità di cui ai commi precedenti” (ossia la responsabilità di liquidatori, amministratori e soci per debiti fiscali della società anche di capitali) “è accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”, sicché, dalla previsione dell’art. 36, comma 5, DPR 602/73 deriva la necessità che, prima della notifica della cartella di pagamento, sia notificato un atto d’accertamento che la giustifichi; e, per di più, l’omessa notifica al ricorrente di qualunque atto d’accertamento prima della notifica della cartella di pagamento aveva anche compromesso gravemente il suo diritto di difesa del contribuente, comportando così sia la violazione dell’art. 36, comma 6, D.P.R. 602/73 (secondo cui “avverso l’atto di accertamento” di cui al precedente comma 5 “è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario”), che più in generale la violazione dell’art. 24 cost., mentre il difetto di avviso bonario ex art. 6, comma 5, L. 212/2000 era una questione appena marginale tra quelle sollevate dal ricorrente, il quale fin dal ricorso di primo grado aveva esplicitamente denunciato che la cartella di pagamento (…) non era preceduta dalla notifica di alcun atto di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria;
- la «violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 36, commi 1, 2 e 4, DPR 602/73 e art. 19 d.lgs. 46/1999) per avere posto a carico dell’amministratore i debiti fiscali della s.r.l. per IVA e IRAP», nonostante l’art. 36 D.P.R. 602/73, trattando della responsabilità in proprio dell’amministratore per il mancato pagamento delle imposte societarie, si riferisse, all’epoca dei periodi d’imposta considerati nella cartella esattoriale in questione (anno 2007), soltanto alle imposte sui redditi, in quanto l’art. 19 D.Lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999, nella sua formulazione allora vigente, includeva il predetto art. 36 del DPR 602/73 tra le disposizioni sulla riscossione applicabili soltanto a tal genere di imposte, con la conseguenza che non poteva in alcun modo giustificarsi la pretesa del Fisco di porre a carico del ricorrente, quale amministratore di una società di capitali, i debiti fiscali di questa per IVA e IRAP, non rientrando tali tributi nel novero delle imposte sul reddito.
La Corte di Cassazione, aderendo integralmente ai suddetti motivi di ricorso e richiamando le sue più recenti decisioni sul punto (in particolare, Cass., 20.7.2020, n. 15378; ma nello stesso senso di erano pronunciate in precedenza anche Cass., 25.6.2019, n. 17020; Cass., 14.4.2014, n. 8701; Cass., 13.7.2012, n. 11968; Cass., 11.5.2012, n. 7327; e si sono pronunciate, in seguito, anche Cass., 22.9.2021, n. 25710/2021; e l’ancor più recente Cass., 31.1.2023, n. 2906) ha accolto il ricorso affermando che «il contribuente è stato attinto solo dalla cartella di pagamento oggetto di impugnazione e non anche, prioritariamente, da apposito avviso di accertamento ex art. 36, comma 5, DPR n. 602 del 1972, peraltro autonomamente impugnabile (ai sensi del comma 6 del medesimo articolo): cartella che dunque assume un’inesistente sua automatica corresponsabilità, in via solidale, per tutti i debiti della società, compresi quelli afferenti agli omessi versamenti di IRAP ed IVA, ancorché, alla stregua della disciplina applicabile “ratione temporis”, essendo in questione recuperi per l’anno d’imposta 2007, anteriore alla novella di cui all’art. 28 D.Lgs. n. 175 del 2014, liquidatori, amministratori e soci potessero essere chiamati a rispondere solo per i debiti relativi alle imposte sui redditi e non (anche) per quelli di natura diversa (siccome afferenti ad omessi versamenti di IRAP ed IVA); ciò in dispregio della tralaticia esegesi che, come visto, costruisce la responsabilità ex art. 36 DPR n. 602 del 1973 quale autonoma obbligazione sussidiaria, e non solidale, in quanto di natura civilistica, e non fiscale».
In conclusione, dunque, la Corte, ritenendo che non fossero necessari altri accertamenti in via di fatto, ha accolto nel merito il ricorso del Cliente, ha annullato la cartella di pagamento impugnata dichiarando che nulla egli dovesse al Fisco, e infine ha condannato quest’ultimo alle spese di causa.
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