PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE

Le pratiche commerciali scorrette possono essere divise in due grandi categorie: le pratiche ingannevoli e le pratiche aggressive. Mentre in genere il fatto che una pratica commerciale sia o meno ingannevole è oggetto di valutazione caso per caso, negli articoli 23 e 26 del Codice del consumo sono elencate le pratiche che sono considerate scorrette in ogni caso: le c.d. “liste nere”.

Ma quando una pratica commerciale può dirsi in concreto ingannevole? Innanzitutto deve trattarsi di una pratica idonea a raggiungere anche i consumatori anche se non diretta appositamente a loro. Il giudizio poi si basa sul consumatore medio, e non su quello particolarmente debole.

Per quanto concerne l’ambito di applicazione oggettivo, le disposizioni del Codice riguardano i prodotti intesi come qualunque bene e servizio, compresi i beni immobili o i diritti e le obbligazioni.

All’art. 20 è stabilito il divieto delle pratiche commerciali scorrette, cioè contrarie alla diligenza professionale, che sono false o idonee a falsare in modo apprezzabile il comportamento del consumatore medio o del membro medio del gruppo (se diretta a un gruppo determinato). Questa disciplina non si applica però alle espressioni da non prendere alla lettera, eccezione non prevista nella Direttiva e che ha suscitato qualche critica.

Le pratiche commerciali ingannevoli sono previste dagli artt. 21, 22 e 22 bis. L’art. 21 del Codice prevede le azioni ingannevoli: quelle pratiche commerciali che contengono informazioni non corrispondenti al vero o informazioni che, anche se vere, sono comunque idonee a indurre in errore il consumatore o a fargli prendere comportamenti che altrimenti non avrebbe preso. Queste informazioni devono riguardare elementi essenziali del contratto. L’art. 22 disciplina invece le omissioni ingannevoli: cioè l’omissione di informazioni rilevanti o se le informazioni vengono fornite in modo oscuro, ambiguo o intempestivo. Il comportamento del professionista dev’essere idoneo a indurre in errore il consumatore, non serve che lo induca concretamente.

Infine, all’art. 23 del Codice sono indicate le pratiche commerciali considerate ingannevoli in ogni caso. In questi casi non serve provare la malafede né l’idoneità a falsare il comportamento del consumatore, sono valutate così in re ipsa dal legislatore. Deve trattarsi di molestie, coercizioni o indebiti condizionamenti tali da limitare considerevolmente la libertà di scelta del consumatore medio, e di indurlo a prendere una decisione che non avrebbe altrimenti preso.

Le conseguenze amministrative per la violazione delle disposizioni elencate sono regolate dall’art. 27 del Codice dei consumatori e l’autorità competente è l’AGCM. Se non sussiste una manifesta scorrettezza da parte del professionista si può anche definire la questione con una c.d. procedura amichevole. Il professionista si impegna a far venire meno la scorrettezza della pratica e l’Autorità rende obbligatorio l’impegno anche per il futuro. In questo caso non si applicherà la sanzione. In caso di inadempimento reiterato l’AGCM può sospendere l’attività d’impresa fino a 30 giorni.

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