Responsabilità medica per errato trattamento di una frattura/lussazione del gomito riportata da un bambino di undici anni
Lo studio legale ha ottenuto il risarcimento dei danni (euro 25.000) subiti da un bambino di unici anni che, a seguito di una caduta in bicicletta, si procurava una frattura/lussazione al gomito destro, trattata con la riduzione incruenta anziché con la riduzione chirurgica mediante placca e filo di K.
A causa dell’errore professionale, il paziente riportava postumi invalidanti permanenti e non riacquistava la piena funzionalità dell’articolazione del gomito destro.
Il caso di malpractice
Il caso riguarda un bambino di undici anni, che, a seguito di una caduta in bicicletta, veniva portato al locale pronto soccorso, dove veniva diagnosticata la frattura e la lussazione del gomito destro, che veniva immobilizzato in doccia di posizione. Il paziente veniva, quindi, trasferito presso un altro ospedale del territorio, dove veniva sottoposto in urgenza a riduzione incruenta e confezionamento di doccia gessata. Dopo la rimozione del gesso, poiché il bambino accusava rigidità del gomito, veniva sottoposto ad ulteriori esami presso un’altra struttura ospedaliera, dove, accertate le gravi limitazioni funzionali dell’articolazione del gomito destro, “guarito in viziosa posizione”, veniva consigliato l’intervento chirurgico di riallineamento con sintesi del capitello radiale. Veniva, quindi, eseguito un intervento di osteotomia correttiva del radio e sintesi con filo di K e placca-viti e a rieducazione funzionale.
Le conseguenze della negligenza dei sanitari
Il consulente medico legale di parte, all’esito del lungo periodo di cure ed interventi chirurgici, accertava una riduzione dell’iperestensione fisiologica dell’avambraccio, un deficit di 10° della flessione dell’avambraccio e prono-supinazione quasi abolita. Il professionista ravvisava un errore professionale in occasione del primo trattamento della frattura-lussazione del gomito destro: la lesione subita dal paziente richiedeva sin dall’inizio un intervento di riduzione chirurgica della frattura mediante placca e filo di K, non la riduzione incruenta. Tale tipo di intervento avrebbe evitato i successivi ricoveri per sintetizzazione chirurgica della frattura e per asportazione dell’ossificazione eterotopico-anchilosante e con buona probabilità avrebbe evitato anche discreta parte della rigidità articolare oggi presente, riducendo altresì gli esiti cicatriziali.
Il medico legale accertava, quindi, che le conseguenze derivate dalla condotta censurabile dell’ortopedico che eseguiva il primo intervento determinavano un danno biologico permanente del 10-12%, oltre al danno biologico temporaneo.
Le trattative e la risoluzione dell’episodio di malasanità
Istruito il caso, lo Studio formalizzava una richiesta risarcitoria in via stragiudiziale nei confronti dell’azienda sanitaria che per prima aveva avuto in cura il bambino, quantificando i danni di natura patrimoniale e non patrimoniale patiti dal paziente.
Le trattative duravano qualche mese e non portavano ad una soluzione della vertenza, poiché la controparte si ostinava a negare la sussistenza della responsabilità.
Si decideva, pertanto, di procedere con il deposito di un ricorso ex art. 696 bis c.p.c., non essendovi ancora l’obbligo, imposto dalla successiva legge Gelli Bianco, di precedere ex art. 702 bis c.p.c.
Incardinato il giudizio nei confronti dell’azienda sanitaria, che chiamava in causa la compagnia di assicurazioni, veniva disposta una consulenza tecnica d’ufficio.
Il procedimento, agli esiti della CTU, che confermava la responsabilità del personale sanitario, si concludeva con una transazione con un risarcimento dei danni per malasanità pari ad euro 25.000, corrisposti dalla compagnia assicurativa.
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