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COVID – 19 E AMBIENTI DI LAVORO

Come ormai noto, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi della pandemia da COVID-19, sull’intero territorio nazionale sono adottate e sono tuttora in essere (quantomeno sino al 13 aprile 2020) misure di sospensione di tutte le attività diverse da quelle elencate nell’allegato 1 DPCM 22.03.2020 (come modificato dal D. Ministero Sviluppo Economico 25.03.2020).

Tuttavia, anche alcune altre attività sono consentite: quelle funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1 – previa comunicazione al Prefetto territorialmente competente che ha il potere di sospendere l’attività in questione nella propria provincia – nonché i servizi di pubblica utilità, i servizi essenziali (farmacie, alimentari, edicole) e le attività di ristorazione con consegna a domicilio (cui è riservata una nota informativa a parte, nel nostro sito).

E’ sempre consentita l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici nonché di prodotti agricoli e alimentari. Resta altresì consentita ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza.

  • Come devono comportarsi e come devono organizzarsi i datori di lavoro che gestiscono attività consentite?

Considerata la eccezionalità della situazione, si raccomanda di attenersi esclusivamente alle disposizioni provenienti da fonti istituzionali.

Va premesso che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione, e che devono essere sospese le attività dei reparti aziendali ritenuti non indispensabili.

In particolare, si sottolinea che la responsabilità di tutela del rischio biologico è in capo al datore di lavoro, che si avvale della collaborazione del Medico competente, del Responsabile del Servizio di Protezione Prevenzione e del Rappresentante dei Lavoratori, ai fini della valutazione dei rischi ai sensi del D. Lgs.81/2008.

La Regione Veneto ha pubblicato (ultimo aggiornamento il 26.03.2020) le

Indicazioni operative per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari.

La Regione Veneto precisa che non è necessario aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) in relazione al rischio da COVID-19, ad eccezione del caso in cui il rischio biologico sia un rischio di natura professionale già presente nel contesto espositivo dell’azienda.

È utile tuttavia che l’azienda rediga, in collaborazione con i soggetti sopra indicati, un piano di intervento o una procedura per la gestione dei casi specifici, esemplificativamente analizzati e trattati nella stessa Circolare della Regione Veneto:

  • Lavoratore sottoposto alla misura della quarantena che non rispettando il divieto assoluto di allontanamento dalla propria abitazione o dimora si presenta al lavoro.
  • Lavoratore che riferisce di essere stato nei 14 giorni precedenti a contatto stretto con un caso di COVID-19 che si presenta al lavoro.
  • Lavoratore che, inizialmente asintomatico, durante l’attività lavorativa sviluppa febbre e sintomi respiratori (tosse e difficoltà respiratoria).
  • Lavoratore asintomatico durante l’attività lavorativa che successivamente sviluppa un quadro di COVID-19.
  • Lavoratore in procinto di recarsi all’estero in trasferta lavorativa.
  • Lavoratore in procinto di rientrare dall’estero da trasferta lavorativa.

Sempre nella Circolare della Regione Veneto, troviamo le seguenti

Indicazioni per il Datore di Lavoro (e suoi collaboratori)

  • Tutela della salute pubblica

La diffusione dell’infezione rappresenta una questione di salute pubblica: la gestione delle misure preventive e protettive deve necessariamente seguire i provvedimenti adottati dalle istituzioni competenti in conformità all’evoluzione dello scenario epidemiologico. In ragione di ciò il Datore di Lavoro deve collaborare facendo rispettare i provvedimenti delle istituzioni competenti; in tal senso, anche la semplice diffusione interna delle informazioni e delle raccomandazioni provenienti da soggetti istituzionali costituisce uno strumento utile al contrasto dell’epidemia.

  • Limitazione delle occasioni di contatto

Al fine di limitare i contatti tra le persone, riducendo le occasioni di aggregazione, si riportano alcune misure di precauzione ritenute appropriate, da adattare, qualora possibile anche dal punto di vista organizzativo ed economico, alle peculiarità della propria organizzazione (sono altresì possibili soluzioni alternative o integrative di pari efficacia o più incisive):

  • promuovere la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti di periodi di congedo, ferie e altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva e favorire il massimo utilizzo delle modalità del lavoro a distanza (cosiddetto “lavoro agile” o “smart working”);
  • adottare misure organizzative per favorire orari di ingresso/uscita scaglionati, al fine di limitare al massimo le occasioni di contatto nelle zone di ingresso/uscita;
  • limitare al massimo gli spostamenti all’interno dei siti produttivi;
  • limitare al massimo l’accesso ai visitatori;
  • individuare procedure di ingresso, transito e uscita di fornitori esterni, mediante modalità, percorsi e tempistiche predefinite, al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale aziendale;
  • evitare l’organizzazione e la partecipazione a incontri collettivi in situazioni di affollamento in ambienti chiusi (es. congressi, convegni), privilegiando soluzioni di comunicazione a distanza;
  • privilegiare, nello svolgimento di incontri o riunioni, le modalità di collegamento da remoto, o in alternativa dare disposizioni di rispettare il “criterio di distanza droplet” (almeno 1 metro di separazione);
  • regolamentare l’accesso a spazi comuni, spogliatoi, spazi destinati alla ristorazione (es. mense), allo svago o simili (es. aree relax, sala caffè, aree fumatori), limitando il numero di presenze contemporanee, il tempo di permanenza massima e dando in ogni caso disposizioni di rispettare il “criterio di distanza droplet” (almeno 1 metro di separazione);
  • laddove presente un servizio di trasporto organizzato dall’azienda, dare disposizioni di rispettare il “criterio di distanza droplet” (almeno 1 metro di separazione);
  • qualora, infine, non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di 1 metro come principale misura di contenimento, o non fossero possibili altre soluzioni organizzative, adottare strumenti di protezione individuale.
  • Norme di comportamento e corretta prassi igienica

Oltre alle misure organizzative sopra riportate, si ritiene necessario che il Datore di Lavoro, in collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione, con il Medico Competente e con i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, disponga misure rafforzative delle ordinarie norme di comportamento e corretta prassi igienica, sia a tutela dei lavoratori, sia degli utenti esterni (anche occasionali), da estendere anche ai possibili utenti esterni (visitatori, fornitori, trasportatori, lavoratori autonomi, imprese appaltatrici). Tali misure comprendono:

 informare tutti i lavoratori che in caso di febbre (>37.5 °C), tosse o difficoltà respiratoria non si presentino al lavoro;

  • evitare contatti stretti con soggetti che presentano sintomi respiratori senza adottare opportune precauzioni;
  • sensibilizzare al rispetto delle corrette indicazioni per l’igiene delle mani e delle secrezioni respiratorie, mettendo altresì a disposizione idonei mezzi detergenti per le mani;
  • disporre una adeguata pulizia dei locali e delle postazioni di lavoro più facilmente toccate da lavoratori e utenti esterni; a tal proposito, per gli utenti esterni (fornitori, trasportatori, altro personale), individuare servizi igienici dedicati e vietare l’utilizzo di quelli del personale aziendale.

Per la pulizia di ambienti non sanitari (es. postazioni di lavoro, uffici, mezzi di trasporto) dove abbiano eventualmente soggiornato casi di COVID-19, applicare le misure straordinarie di seguito riportate: a causa della possibile sopravvivenza del virus nell’ambiente per diverso tempo, i luoghi e le aree potenzialmente contaminati devono essere sottoposti a completa pulizia con acqua e detergenti comuni prima di essere nuovamente utilizzati. Per la decontaminazione, si raccomanda l’uso di ipoclorito di sodio 0.1% dopo pulizia. Per le superfici che possono essere danneggiate dall’ipoclorito di sodio, utilizzare etanolo al 70% dopo pulizia con un detergente neutro. Durante le operazioni di pulizia con prodotti chimici, assicurare la ventilazione degli ambienti. Tutte le operazioni di pulizia devono essere condotte da personale provvisto di DPI (filtrante respiratorio FFP2 o FFP3, protezione facciale, guanti monouso, camice monouso impermeabile a maniche lunghe) e seguire le misure indicate per la rimozione in sicurezza dei DPI. Dopo l’uso, i DPI monouso vanno smaltiti come materiale potenzialmente infetto.

Vanno pulite con particolare attenzione tutte le superfici toccate di frequente, quali superfici di muri, porte e finestre, superfici dei servizi igienici e sanitari. Per la pulizia di ambienti non frequentati da casi di COVID-19, è sufficiente procedere alle pulizie ordinarie degli ambienti con i comuni detergenti, avendo cura di pulire con particolare attenzione tutte le superfici toccate di frequente (es. muri, porte, finestre, superfici dei servizi igienici)

  • Sorveglianza sanitaria

Considerato che, per la durata delle misure di restrizione disposte dai provvedimenti citati in premessa, le attività non indispensabili devono essere sospese e che devono essere incentivate ferie, congedi e altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva, si ritiene che i lavoratori non effettivamente in servizio non debbano essere inviati alla visita medica periodica finalizzata all’espressione del giudizio di idoneità alla mansione, se in scadenza e/o scaduta. In ogni caso, per quanto riguarda l’attività di sorveglianza sanitaria, si rimanda alle indicazioni riportate nella sezione successiva “Indicazioni per il Medico Competente (e suoi collaboratori)”

Ricordiamo che il datore di lavoro, prima dell’accesso al luogo di lavoro, può sottoporre il personale al controllo della temperatura corporea. Può anche vietare l’accesso a chiunque risulti avere una temperatura superiore a 37,5° C.

In presenza di febbre (oltre 37.5° C) o altri sintomi influenzali, il lavoratore ha l’obbligo di restare nel proprio domicilio e avvisare il medico di famiglia e l’autorità sanitaria.

Il Garante per la protezione dei dati personali ha chiarito che i datori di lavoro devono astenersi dal raccogliere a priori e in modo sistematico e generalizzato informazioni su eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o che comunque rientrano nella sfera extralavorativa. Resta tuttavia fermo per i lavoratori l’obbligo di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.

  • Verifiche e manutenzioni periodiche

 Ai sensi del D.l. n. 18/2020 tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020 conservano la loro validità fino al 15 giugno 2020. Si ritiene che tale disposizione sia applicabile anche agli adempimenti e alle manutenzioni ordinarie degli impianti e dei presidi di sicurezza negli ambienti di lavoro previste dal D.Lgs. n. 81/2008

  • Risposte ad alcuni dubbi
  • Quale tipo di mascherine è necessario fornire ai lavoratori?

Salvo diverse future indicazioni, ad oggi le mascherine FFP2 o FFP3 sono previste solo per:

  • personale sanitario in contatto con un caso sospetto o confermato di COVID-19 (utilizzare sempre FFP3 per le procedure che generano aerosol);
  • personale addetto alle operazioni di pulizia di ambienti dove abbiano soggiornato casi confermati di COVID-19 prima di essere stati ospedalizzati.

Al di fuori di questi casi, non è previsto l’utilizzo di tali DPI, a meno che i rischi specifici legati all’attività svolta non lo prevedano già (necessità di protezione da polveri, fumo e aerosol solidi e liquidi tossici e dannosi per la salute).

La mascherina del tipo “chirurgico” non è strettamente obbligatoria ma fortemente consigliata, ma deve invece essere necessariamente utilizzata dai lavoratori che non possono lavorare sistematicamente a distanza superiore ad un metro.

Le mascherine chirurgiche devono essere utilizzate in conformità a quanto previsto dalle
indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità.

  • Cosa si intende per “stretto contatto”? 

E’ importante comprendere cosa si intenda per “stretto contatto”, tenendo presente che il collegamento epidemiologico può essere avvenuto entro un periodo di 14 giorni prima dell’insorgenza della malattia nel caso in esame.

Si riportano i criteri per stabilire il concetto di stretto ad alto rischio di esposizione (Fonte Circolare Ministero della Salute 27 febbraio 2020):

  • persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19;
  • persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (es. stretta di mano);
  • persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (es. toccare a mani nude fazzoletti di carta usati);
  • persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore di 15 minuti;
  • persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa, veicolo) con un caso di COVID-19 per almeno 15 minuti, a distanza minore di 2 metri;
  • persona che abbia viaggiato seduta in aereo nei due posti adiacenti, in qualsiasi direzione, di un caso di COVID-19, i compagni di viaggio o le persone addette all’assistenza e i membri dell’equipaggio addetti alla sezione dell’aereo dove il caso indice era seduto (qualora il caso indice abbia una sintomatologia grave o abbia effettuato spostamenti all’interno dell’aereo determinando una maggiore esposizione dei passeggeri, considerare come contatti stretti tutti i passeggeri seduti nella stessa sezione dell’aereo o in tutto l’aereo).
  • Infine, alcuni documenti particolarmente utili per orientare le imprese in questa situazione di emergenza.

Anzitutto:

COVID-19: Sintesi delle principali disposizioni e indicazioni fornite per i Datori di Lavoro

a cura del Servizio SPISAL Azienda AULSS 9 Scaligera

Facciamo presente che ancora in data 14.03.2020 le parti sociali hanno condiviso con il Governo un

Protocollo Condiviso di Regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro

In applicazione di tale Protocollo, sono stati elaborati Protocolli di Settore con indicazioni di dettaglio per alcuni settori produttivi; si veda

Scheda riassuntiva dei Protocolli condivisi con le parti sociali (Settore del Trasporto e della Logistica; Cantieri Edili; Regione Veneto: accordo per l’applicazione del Protocollo Condiviso sottoscritto a Roma il 14.03.2020;)

Anch’esso a cura del Servizio SPISAL Azienda AULSS 9 Scaligera

Particolarmente utile, poi, potrebbe risultare il fac-simile di

Protocollo aziendale di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro

predisposto da Confindustria, da utilizzare (una volta debitamente compilato, previa consultazione delle rappresentanze sindacali e/o del RLS) per adottare singoli Protocolli aziendali, da ritenersi quantomai opportuni.

La stessa Confindustria ha proposto inoltre un modello di

Informativa sul trattamento dei dati personali

relativa ai dati che possono venire trattati in occasione della emergenza COVID-19 (temperatura corporea, informazioni sugli spostamenti o contatti con persone a rischio ecc.).

CORONAVIRUS E ATTIVITÀ PROFESSIONALI

Sommario:  1. Premesse; 2. Impossibilità temporanea e parziale ovvero impossibilità permanente e assoluta della prestazione professionale; le relative conseguenze: sospensione del rapporto, risoluzione o recesso; 3. Le attività professionali continuative.

  1. Premesse.

Anche le attività professionali possono risentire degli effetti negativi del Covid-19, in quanto:

  1. il professionista incaricato potrebbe trovarsi nell’impossibilità di svolgere la propria prestazione (impossibilità che può derivare, ad esempio, dai provvedimenti governativi che hanno limitato gli spostamenti e in genere il movimento delle persone, imponendo inoltre il loro distanziamento sociale, oppure dallo stato di malattia o quarantena o isolamento del professionista); oppure
  2. la prestazione professionale potrebbe diventare inutile, a causa della sopravvenuta irrealizzabilità dello scopo per cui le parti avevano contrattato (ad esempio, la progettazione di uno stand fieristico laddove la fiera sia stata annullata sempre in ragione delle norme sul distanziamento sociale); oppure
  3. le prestazioni a carico dell’una e dell’altra parte (ossia l’attività professionale e il pagamento del corrispettivo) potrebbero diventare tra loro sproporzionate o squilibrate nel loro valore “reale”, rispetto a quanto era stato originariamente convenuto, a causa delle circostanze conseguenti al diffondersi della pandemia.

Ebbene, la regola generale è che, nel rapporto di lavoro autonomo qual è solitamente quello professionale, il rischio grava in linea di principio sul prestatore d’opera (professionista), con la conseguenza che chi si impegna a compiere un’opera o fornire un servizio si assume il rischio di non poterla compiere (o che il suo “guadagno” perda valore) per cause che esulano dalla propria sfera d’azione: non a caso, l’assunzione del rischio rappresenta uno degli indici maggiormente rappresentativi del rapporto d’opera professionale e, in genere, del lavoro autonomo.

  1. Impossibilità temporanea e parziale ovvero permanente e assoluta della prestazione professionale; le relative conseguenze: sospensione del rapporto, risoluzione o recesso.

In generale, trattandosi di contratti a prestazioni corrispettive,  le dette circostanze determinano l’impossibilità sopravvenuta della prestazione (ovvero del raggiungimento dello scopo del contratto) o l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione a carico dell’una o dell’altra parte, il che comporta (qualora l’impossibilità e/o inutilità sopravvenuta siano permanenti e assolute) la risoluzione del contratto, con la conseguenza che questo si scioglie e che la parte onerata della prestazione divenuta impossibile o inutile o eccessivamente onerosa non è più tenuta ad eseguirla e che l’altra parte non è più tenuta a pagarne il prezzo e ha anzi diritto alla sua restituzione, se l’ha già pagato (artt. 1463 e 1467 c.c.).

Ciò posto in termini generali, è però necessario considerare il caso concreto, sia perché la disciplina di ciascun tipo contrattuale può contenere norme specifiche, sia perché la regolamentazione contrattuale adottata tra le parti potrebbe avere concordato previsioni particolari, sia ancora perché, più in generale, è di volta in volta possibile che l’emergenza coronavirus determini un’impossibilità di svolgere la prestazione professionale (o la sua “inutilità”, nel senso suddetto di irrealizzabilità dello scopo) parziale anziché totale o temporanea anziché permanente, con la conseguenza che i contraenti possono evitare la risoluzione e mantenere in vita il contratto concordandone una modifica nel senso della riduzione e/o rinvio della prestazione professionale ovvero della riduzione del compenso (artt. 1464 e 1467, terzo comma, c.c.).

Ebbene, immaginando dunque che l’impossibilità sia solo temporanea (perché è prevedibile o almeno auspicabile che l’emergenza sanitaria termini, così come la vigenza dei conseguenti provvedimenti governativi), può sostenersi che in tal caso il contratto sia semplicemente “sospeso”, nel senso che il committente (cliente) non potrà pretendere l’esecuzione finché perdura la detta impossibilità e il prestatore d’opera (professionista) dunque non sarà tenuto a nessun risarcimento per il ritardo nell’esecuzione dell’opera.

Si può del resto anche immaginare che l’impossibilità in questione sia solo parziale (sia perché il lavoro professionale può generalmente svolgersi “a distanza” e con modalità smart working, sia perché l’Allegato 1 del DPCM 23 marzo 2020 ha comunque stabilito che, tra le attività “non sospese” per l’emergenza coronavirus, rientrino anche, a titolo di esempio, le attività legali e contabili, nonché le attività degli studi di architettura e di ingegneria): in tal caso, dunque, il professionista sarà obbligato ad eseguire la propria prestazione e il cliente sarà obbligato a pagarlo.

In entrambe le ipotesi, si ripete, resta però ferma, sia per il committente che per il professionista, la possibilità:

  1. di risolvere il contratto per impossibilità sopravenuta ex art. 1463 c.c., qualora ne sussistano la condizioni di impossibilità totale (ad esempio, perché qualora ai fini dell’esecuzione del suo lavoro il professionista debba necessariamente recarsi in studio e/o azienda e/o cantiere e ciò non gli sia consentito a causa dei provvedimenti dell’Autorità pubblica) e permanente, ovvero qualora le parti non abbiano intesse alla sua esecuzione parziale o “rinviata” nel tempo (ma, in tal caso, l’altra parte potrà evitare la risoluzione proponendo una diminuzione della prestazione rimasta possibile, ex art. 1464 c.c.): in tal caso, il professionista ha comunque diritto ad avere un compenso per il lavoro prestato, in proporzione all’utilità per il cliente della parte dell’opera compiuta, ex art. 2228 c.c.;
  2. di risolvere il contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., qualora a causa del “verificarsi dell’avvenimento straordinario ed imprevedibile” senza dubbio costituito dall’emergenza coronavirus, la sua prestazione sia diventata eccessivamente “squilibrata” o “sproporzionata” rispetto alla controprestazione a carico della controparte (ma, ugualmente, l’altra parte potrà evitare la risoluzione proponendo una diminuzione della prestazione rimasta possibile, ex art. 1467, terzo comma, c.c.): anche in tal caso, il professionista ha comunque diritto ad avere un compenso per il lavoro prestato, in proporzione all’utilità per il cliente della parte dell’opera compiuta, ex art. 2228 c.c.;
  3. di recedere dal contratto ex artt. 2227 e 2237 c.c. (possibilità che va riconosciuta al cliente ma anche al professionista, rappresentando l’emergenza coronavirus una “giusta causa” ex art. 2237, secondo comma, c.c., con la precisazione però che il suo recesso deve comunque avvenire “in modo da evitare pregiudizio al cliente” ex art. 2237, terzo comma, c.c.): in tal caso, il professionista ha diritto al rimborso delle spese sostenute e al compenso per l’opera professionale eventualmente già svolta, che va però rapportato, nel solo caso di suo recesso, non solo e non tanto all’opera svolta (com’è invece nel caso di recesso del cliente), ma anche e soprattutto all’utilità che ne abbia tratto il cliente e al valore del risultato  da questi ottenuto; al riguardo, si ricorda che anche in caso di impossibilità sopravvenuta nel contratto d’appalto, all’appaltatore spetta ex art. 1672 c.c. un  compenso per l’opera svolta, rapportato però non solo all’utilità che il committente ne abbia conseguito (come abbiamo appena visto essere nel caso di contratto d’opera e d’opera professionale), ma anche al prezzo pattuito per l’opera intera.
  1. Le attività professionali continuative.

Pare poi opportuno distinguere, tra le attività professionali, quelle che non consistono nel compimento di una singola opera specifica e, diremmo, puntuale, ma piuttosto nello svolgimento di un “servizio” (ad esempio, una generale consulenza) continuativo o comunque duraturo, prolungato o ripetuto nel tempo, con o senza previsione di un termine finale, determinando così in buona sostanza una sorta di collaborazione coordinata e continuativa a favore del committente.

In questi casi, premesso che gli obblighi previsti dal d.lgs. n. 81 del 2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro trovano applicazione anche in riferimento ai lavoratori autonomi che svolgano l’attività nell’ambito dell’organizzazione del committente, occorre infatti chiedersi se l’eventuale sospensione delle attività di quest’ultimo possa legittimare la sospensione del rapporto e con quali conseguenze sul piano del compenso dei primi.

Ebbene, trattandosi come detto di una sorta di collaborazione coordinata e continuativa svolta nell’ambito dell’organizzazione aziendale del committente, sembra corretto sostenere che tale questione vada affrontata come quella analoga che può porsi in riferimento al rapporto di lavoro subordinato (sebbene, nel caso di lavoro libero professionale o in genere autonomo, non sia possibile il ricorso agli strumenti previdenziali, come ad esempio la Cassa integrazione, previsti a sostegno del lavoratore dipendente).

Occorre quindi distinguere le diverse possibili ipotesi:

  1. se la prestazione può essere svolta a distanza, non può parlarsi di impossibilità assoluta e dunque la prestazione potrà essere resa, con diritto del professionista al corrispettivo;
  2. se la prestazione non può essere svolta a distanza, ma richiede la presenza in azienda (e/o cantiere) ed essa è impraticabile, occorre verificare:
  3. se ci si trova in un’ipotesi di impossibilità oggettiva, non imputabile ad alcuna delle parti (ma, ad esempio, conseguente ai provvedimenti restrittivi del Governo o altra Autorità pubblica), nel qual caso si avrà sospensione di entrambe le obbligazioni, cioè sia di quella del professionista di compiere l’opera o il servizio, sia di quella del cliente di pagargli il compenso, salva la possibilità di risoluzione (ex artt. 1463 e 1467 c.c.) e di recesso (ex artt. 1464, 2227 e 2237 c.c.) già viste in precedenza;
  4. se la situazione sia imputabile al committente (che decida unilateralmente di sospendere le attività senza esservi tenuto), nel qual caso il prestatore d’opera avrà diritto al compenso;
  5. se l’impossibilità di rendere la prestazione dipende da cause inerenti al prestatore (quali, ad esempio, una condizione di malattia ovvero l’obbligo di isolamento domiciliare che renda impraticabile la continuazione dell’attività), nel qual caso deve ritenersi che il rischio gravi sul lavoratore, che non potrà rivendicare il diritto al compenso (salvo il diritto di valersi di sostituti ex art. 2232 c.c.) né ad altre forme di tutela indennitaria (salvo che questo sia previsto dallo specifico contratto): l’unica tutela, in questo frangente, è infatti rappresentata dall’art. 14 della legge n. 81 del 2017, che prevede che la malattia del lavoratore autonomo che presti la propria attività per il committente in via continuativa non comporta l’estinzione del rapporto, la cui esecuzione può essere sospesa su richiesta del lavoratore, senza diritto al corrispettivo e per un periodo non superiore a 150 giorni, salvo che il committente non provi di non avere interesse alla permanenza del rapporto.

In ogni caso, fuori del caso di impossibilità, il recesso ante tempus del cliente comporterà l’obbligo di risarcire il collaboratore libero professionista del mancato guadagno sino alla scadenza del contratto, mentre in caso di rapporto a tempo indeterminato sarà possibile recedere solo con congruo preavviso ex art. 3 della citata legge n. 81 del 2017.

In tutte queste ipotesi, peraltro, occorre rammentare che se la prestazione diventa solo parzialmente impossibile, potrà trovare applicazione la disciplina codicistica in materia di impossibilità parziale (art. 1464 c.c.) e le parti potranno convenire una riduzione della prestazione e del corrispettivo, mentre potranno recedere dal contratto solo se non vi è alcun interesse all’adempimento parziale.

In ogni caso, correttezza e buona fede dovrebbero imporre a tutte le parti approcci cautelativi e volti a consentire, magari previa rinegoziazione, la conservazione del rapporto.