Malasanità: errore diagnostico per omessa rilevazione di una neoformazione espansiva in sede cerebellare mediana
Lo Studio ha definito con esito favorevole il caso di una bambina di dodici anni che, recatasi presso il pronto soccorso a causa di una intesa cefalea, con conati di vomito ed una transitoria parestesia alla mano destra ed alla lingua, veniva ricoverata, sottoposta ad ulteriori accertamenti e a TAC cerebrale, venendo dimessa pochi giorni dopo. Lo specialista radiologo, con evidente errore di diagnosi, non rilevava una neoformazione espansiva di 1,5-2 centimetri di diametro presente in sede cerebellare mediana. Da tale omissione derivava la necessità di sottoporre la paziente, dopo circa un anno e mezzo, ad un intervento chirurgico altamente invasivo, a causa dell’aumento del volume della massa tumorale avvenuto nel frattempo.
Con l’assistenza degli avvocati dello studio, la paziente è riuscita ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (euro 270.000) patiti in conseguenza dell’omessa diagnosi della neoformazione nella delicata sede cerebellare.
La vicenda clinica e l’omessa diagnosi della neoformazione in sede cerebellare
La paziente, all’età di dodici anni, veniva accompagnata dai genitori presso il locale Pronto Soccorso, poiché lamentava una intensa cefalea. La stessa veniva, quindi, sottoposta ad una visita specialistica e ad un elettroencefalogramma, dal quale non veniva rilevato nulla di anomalo. Pochi giorni dopo, la paziente si recava nuovamente presso il Pronto Soccorso, a causa di una intensa cefalea con conati di vomito. Nell’occasione riferiva al neurologo anche una transitoria parestesia alla mano destra ed alla lingua. Veniva, quindi, ricoverata per un breve periodo di osservazione e veniva sottoposta ad ulteriori accertamenti. Lo specialista prescriveva una TAC cerebrale, che escludeva reperti patologici. Il radiologo commentatore della TAC cerebrale, con un evidente errore di diagnosi, non rilevava una neoformazione espansiva di 1,5-2 centimetri di diametro, presente in sede cerebellare mediana.
La paziente veniva curata con farmaci che facevano regredire i disturbi e veniva dimessa.
Dopo regolari controlli periodici, la paziente, dopo circa un anno e mezzo dal primo accesso al pronto soccorso, si sottoponeva ad una visita oculistica e lo specialista, nell’occasione, rilevava un edema papillare bilaterale e suggeriva l’esame del campo visivo. Un mese dopo la paziente veniva sottoposta ad una nuova visita oculistica durante la quale lo specialista rilevate alcune anomalie, prescriveva una visita neurologica con TAC cerebellare urgente.
Dalla TAC, eseguita lo stesso giorno, emergeva che in sede cerebellare mediana vi era una neoformazione di circa 5 centimetri di diametro.
La bambina il giorno stesso veniva sottoposta ad intervento di terzoventricolostomia, finalizzato alla riduzione dell’ipertensione endocranica e dell’idrocefalo e, dopo circa dieci giorni veniva sottoposta ad un ulteriore intervento chirurgico in cui veniva praticata la craniectomia sub occipitale con asportazione di circa l’80% della neoformazione, che poi veniva riconosciuta essere un medulloblastoma, una delle neoplasie più frequenti dell’infanzia.
A seguito dell’intervento, la paziente presentava, quali conseguenze dell’operazione, disartria (un disturbo all’articolazione della parola), strabismo convergente e difficoltà a deambulare. La degenza ospedaliera, durata oltre un mese, attestava che la paziente presentava una depressione reattiva, una atassia cerebellare (che comporta una andatura cosiddetta “da ubriaco”), una lieve emiparesi dell’arto superiore sinistro, diplopia e strabismo convergente. Doveva sottoporsi, in seguito, a cicli di chemioterapia e radioterapia e, negli anni successivi all’intervento, veniva sottoposta anche ad un programma di riabilitazione neuro-psicologica, logopedia, neuro-motoria, a visite oculistiche ed a periodici controlli presso la clinica di oncoematologia pediatrica dell’azienda ospedaliera del capoluogo di Provincia.
Le conseguenze della negligenza dei sanitari
La perizia medico legale di parte evidenziava un errore di diagnosi del medico radiologo commentatore della prima TAC alla quale veniva sottoposta la paziente, non avendo rilevato una neo-formazione espansiva del diametro di 1,5-2 centimetri di diametro, presente in sede cerebellare mediana. Una diagnosi tempestiva avrebbe consentito un approccio terapeutico meno aggressivo, con elevate probabilità di limitare, se non annullare, le complicanze chirurgiche e radioterapiche. L’intervento chirurgico a cui la paziente veniva sottoposta dopo un anno e mezzo dalla prima TAC consistette nell’asportazione di una massa tumorale che nel frattempo era raddoppiata di dimensioni, con la conseguente necessità di asportare anche il tessuto sano in percentuali maggiori, con gravi conseguenze menomanti.
Le trattative e la risoluzione in via transattiva dell’episodio di malasanità
Istruito il caso, lo Studio formalizzava una richiesta risarcitoria in via stragiudiziale, quantificando i danni di natura patrimoniale e non patrimoniale patiti dalla paziente.
Le trattative duravano qualche mese e non portavano ad una soluzione della vertenza.
Si decideva, pertanto, di procedere con il deposito di un ricorso ex art. 696 bis c.p.c., non essendovi ancora l’obbligo, imposto dalla successiva legge Gelli Bianco, di precedere ex art. 702 bis c.p.c.
Incardinato il giudizio nei confronti della struttura ospedaliera, che chiamava in causa la compagnia di assicurazione, veniva disposta una consulenza tecnica d’ufficio.
Il procedimento, agli esiti della CTU, che confermava la responsabilità del personale sanitario, si concludeva nel giro di pochi mesi e si addiveniva ad una transazione, con un risarcimento dei danni per malasanità pari ad euro 270.000, corrisposti dalla compagnia assicurativa.
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