IL TESTAMENTO BIOLOGICO

La legge n. 219 del 2017 introduce nel nostro ordinamento il c.d. testamento biologico (o biotestamento). A quasi un anno di distanza dalla pubblicazione della legge (poi entrata in vigore dal 31 gennaio 2018), ben sette italiani su dieci non conoscono l’istituto o lo hanno solo sentito nominare.

In Italia, l’istituto è stato rinominato in “Disposizioni anticipate di trattamento” (o, più brevemente, DAT) ed è disciplinato all’art. 4 della succitata legge. L’articolo in esame riconosce il diritto a «ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere» di esprimere il proprio «consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche a singoli trattamenti sanitari» in caso di una futura ed eventuale «incapacità di autodeterminarsi». Continua a leggere

COME COMPORTARSI IN CASO DI DATA BREACH

Il Data Breach (in italiano „violazione dei dati personali”) è definito dall’art. 4 del Regolamento europeo 2016/679 (GDPR) come: “la violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati“.  Continua a leggere

FALLIMENTO: E’ ONERE DEL CURATORE COMUNICARE AI CREDITORI IL RENDICONTO

Con la recente ordinanza n. 30821 del 28 novembre 2018, la Cassazione ha confermato quanto già deciso dalla Corte d’Appello di Roma con sentenza depositata in data 30 ottobre 2012, in merito ad un procedimento vertente su una domanda di risarcimento richiesto al Curatore dal legale di una procedura fallimentare.

In particolare, il Curatore della procedura concorsuale aveva omesso di comunicare all’Avvocato il decreto con cui il Giudice Delegato ordinava di depositare il rendiconto e con cui fissava l’udienza per le relative osservazioni, impedendo di fatto al legale di formulare le proprie osservazioni a riguardo. Continua a leggere

PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE

Le pratiche commerciali scorrette possono essere divise in due grandi categorie: le pratiche ingannevoli e le pratiche aggressive. Mentre in genere il fatto che una pratica commerciale sia o meno ingannevole è oggetto di valutazione caso per caso, negli articoli 23 e 26 del Codice del consumo sono elencate le pratiche che sono considerate scorrette in ogni caso: le c.d. “liste nere”.

Ma quando una pratica commerciale può dirsi in concreto ingannevole? Innanzitutto deve trattarsi di una pratica idonea a raggiungere anche i consumatori anche se non diretta appositamente a loro. Il giudizio poi si basa sul consumatore medio, e non su quello particolarmente debole. Continua a leggere

La nullità dei contratti di fideiussione omnibus stipulati in conformità al modello ABI del 2003

Il modello ABI del 2003, in conformità del quale sono stati stipulati innumerevoli contratti di fideiussione omnibus, è stato sottoposto al vaglio della Banca d’Italia che, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, ha sancito la contrarietà di alcuni articoli in esso contenuti all’art. 2, comma 2, lett. A, l. n. 287 del 1990. Mediante tale pronuncia è stato imposto all’ABI di trasmettere alle imprese aderenti un modello emendato da quegli articoli. Le banche tuttavia, nell’arco temporale tra la redazione del modello ABI 2003 e la pronuncia della Banca d’Italia del 2005, avevano fatto uso di quei modelli successivamente dichiarati contrari alla normativa antitrust; si è venuta quindi a creare una situazione di incertezza relativamente alla sorte dei contratti di fideiussione riproducenti il modello giudicato anticoncorrenziale stipulati prima del provvedimento della Banca d’Italia. Continua a leggere

L’ASSEGNO DIVORZILE

L’art. 5, co. 6 della L.898/70 prevede l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno divorzile, quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Continua a leggere

CONTO CORRENTE COINTESTATO: IL VERSAMENTO DI DENARO È DONAZIONE?

Sulle operazioni bancarie in genere. La giurisprudenza ha affrontato il tema del trasferimento di denaro o di strumenti finanziari, effettuati per spirito di liberalità, dal conto corrente o di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario. Continua a leggere

Le commissioni di massimo scoperto alla luce della sentenza delle Sezioni Unite n. 16303 del 20 giugno 2018

Con sentenza n. 16303 del 20 giugno 2018 la Corte di Cassazione risolve la vexata quaestio della rilevanza della commissione di massimo scoperto ai fini del calcolo del TEG (tasso effettivo globale) per il periodo antecedente al 1 gennaio 2010, definendo la nozione di commissione di massimo scoperto, confermando quella fornita dalla Banca d’Italia nelle “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” emanate il 30 settembre 1996 (e confermate fino a dicembre 2009). Continua a leggere

LA LIQUIDAZIONE DELL’INDENNIZZO DOVUTO IN CASO DI REVOCA DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO: IL RISCHIO DI UN’OTTEMPERANZA “ANOMALA”.

Un’impresa risultata provvisoriamente aggiudicataria di una procedura di project financing per la progettazione, costruzione e gestione di un impianto di dissalazione di acque marine per uso potabile, vede revocare gli atti di gara dalla P.A. la quale, alla luce delle previsioni del nuovo piano regionale generale delle acque, ritiene non più giustificabile la stipulazione dell’atto in questione sotto il profilo dell’interesse pubblico. L’impresa, soccombente in primo grado, si appella al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, eccependo l’illegittimità del provvedimento di autotutela e chiedendo la condanna della P.A. alla corresponsione dell’indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinquies L. n. 241/1990. Tale articolo prevede un generale obbligo della P.A. di compensare i pregiudizi subiti dai privati per effetto di un legittimo provvedimento di revoca alla luce del principio di buona fede nei rapporti tra privati e P.A.

Con sentenza n. 479/2017, il C.G.A. respinge la richiesta di caducazione del provvedimento ed accoglie la richiesta di condanna dell’Amministrazione a corrispondere l’indennizzo previsto in caso di revoca. Il C.G.A., nella la pronuncia in commento, ai fini della liquidazione dell’indennizzo, decide di ricorrere al “metodo” di cui all’art. 34 comma 4 c.p.a., il quale prevede che “in caso di condanna pecuniaria, il giudice può in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve porre a favore del creditore, il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titoli I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta oppure l’adempimento degli obblighi ineseguiti”.

Tale pronuncia deve senz’altro ritenersi definitiva e non interlocutoria chiudendo la stessa il giudizio senza lasciare la possibilità di aprire una parentesi di cognizione. Di conseguenza, le eventuali successive contestazioni tra le parti, per la mancata conclusione dell’accordo sul quantum o per il relativo inadempimento, sono attratte nel giudizio di ottemperanza, trattandosi comunque di vicende riconducibili all’esecuzione del dictum che definisce il processo di cognizione.

Si precisa che il giudizio sulla spettanza della pretesa risarcitoria (an debeatur) e sui criteri a cui le parti devono attenersi ai fini del raggiungimento dell’accordo, non è rimesso al giudice dell’ottemperanza bensì al giudice della cognizione.

Elemento significativo di tale sentenza è che la determinazione dei criteri da parte del giudice della cognizione sembra essere stata posta in secondo piano nella pronuncia in questione.

In primo luogo, la determinazione di tali criteri presuppone una delibazione circa l’effettiva sussistenza sia dell’an che del quantum debeatur (seppure non individuato nel suo preciso ammontare) posto che, in primis, il comma 4 dell’art. 34 c.p.c. prevede che in caso di disaccordo, le parti possano ricorrere al giudice dell’ottemperanza per la determinazione della “somma dovuta”, (sembra dunque che la liquidazione debba portare inevitabilmente all’individuazione di un certo ammontare). In secondo luogo, ad ammettere che nulla possa spettare al danneggiato, si dovrebbe ritenere che al giudice dell’ottemperanza sia affidato il compito di accertare l’effettiva spettanza di un quantum e la sua relativa liquidazione, funzione assai simile a quella che il g.o. nel processo di cognizione, svolge in seguito ad una sentenza di condanna generica ex art 278 c.p.c.

Alla luce di questi rilievi, per la liquidazione dell’indennizzo in caso di revoca di provvedimento della P.A. verrebbe alla luce un’ipotesi di giudizio di ottemperanza “anomalo” poiché il giudice sarebbe chiamato non già a garantire l’esecuzione della sentenza, bensì ad integrarne il contenuto, nella parte relativa alla quantificazione della somma dovuta.

Tali considerazioni inducono a ritenere che i criteri sulla liquidazione debbano essere precisi e aderenti al caso concreto e non generici al fine di evitare un’equiparazione fra condanna sui criteri ex art 34 comma 4 c.p.a. e condanna ex art 278 c.p.c.

Se si mantiene ferma la distinzione fra condanna ex art. 34 comma 4 c.p.a. e condanna ex art. 278 c.p.c., enfatizzando il ruolo dei criteri nella prima, ci si accorge che il giudice dell’ottemperanza è chiamato a un ruolo non diverso da quello suo proprio e cioè attuare il dictum che definisce la fase di cognizione anche per mezzo di integrazioni, specificazioni e chiarimenti.

Inoltre, la previsione di criteri puntuali rende l’ottemperanza non “così” anomala in quanto il giudizio si muoverebbe entro i confini tracciati dal giudice della cognizione.

La condanna “sui criteri” rappresenta dunque uno strumento in grado di agevolare il compito del giudice della cognizione senza forzare il rito dell’ottemperanza: l’equilibrio sta nella puntale definizione dei criteri stessi che rende possibile distinguere tale forma di condanna ex art. 34 comma 4 c.p.a. da quella generica ex art. 278 c.p.c. e che evita che il rito dell’ottemperanza, eventualmente insorto per mancato accordo sul quantum o per via della sua mancata esecuzione, si trasformi in un anomalo processo di cognizione.

Genitori attenzione ad essere troppo social!

Con una recente sentenza il Tribunale di Roma ha ordinato ad una madre che aveva postato di continuo informazioni ed immagini del proprio figlio minorenne, coinvolto in una tormentata vicenda di separazione giudiziale, “l’immediata cessazione della diffusione… in social network di immagini, notizie e dettagli relativi ai dati personali e alla vicenda giudiziaria inerente il figlio”, nonché la rimozione dai “social” delle “immagini, informazioni, ogni dato personale relativo al figlio ed alla vicenda processuale” anzidetta, entro il 1 febbraio 2018, determinando una somma di denaro da essa dovuta al tutore del minore (per conto di questi) in caso di mancata ottemperanza a tali obblighi.

L’importanza del provvedimento non sta solo nell’attualità che riveste la tematica della diffusione di informazioni e immagini riguardanti i minori sui social network da parte di uno o di entrambi i genitori, ma anche nel fatto che esso sia stato assunto d’ufficio.

Ciò discende dall’applicazione di principi generali dell’ordinamento fondati sulla necessaria tutela del minore e sui poteri d’ufficio riconosciuti in tale materia (Tribunale di Roma 23.12.2018).